Capitolo Diciassette

«Jordan.»

Il prete in ginocchio di fronte a me non smise di pregare e non si voltò a guardarmi. Anzi, continuò a mormorare tra sé tenendo lo stesso ritmo moderato; lo conoscevo abbastanza bene da comprendere che fosse il suo modo educato di dirmi di andare a quel paese, fin quando non avesse finito.

Mi sedetti nel banco dietro di lui.

Jordan era l’unico prete che conoscevo di persona che recitava ancora la Liturgia delle Ore, una pratica monastica ormai quasi obsoleta, e questa era in parte la ragione per cui la trovava interessante. Come me, era un amante dei riti antichi, ma la sua passione andava oltre la pura lettura e gli incontri spirituali occasionali. Viveva come un monaco medievale, una vita quasi del tutto dedita alla preghiera e alle celebrazioni. Era la sua natura mistica e ultraterrena a portare così tanti giovani nella sua parrocchia. Negli ultimi tre anni, grazie alla sua presenza, quella vecchia chiesa in centro a Kansas City era rinata: era andata molto vicina alla chiusura, prima che lui la prendesse in carico e la trasformasse in una realtà viva ed energica.

Jordan finì di pregare e si fece il segno della croce, alzandosi in piedi per affrontarmi con studiata lentezza.

«Padre Bell» disse formale.

Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo. Era sempre stato così: distaccato e forte. Perfino l’unica volta in cui per sbaglio aveva bevuto troppo a una grigliata del seminario e avevo dovuto fargli da balia per tutta la notte mentre vomitava. Ma ciò che sembrava essere arroganza o freddezza, in realtà era solo il prodotto di una vita interiore vibrante, della costante atmosfera di santità e ispirazione in cui viveva, che per lui era così palpabile da non capire come mai le altre persone non la sentissero altrettanto.

«Padre Brady» risposi.

«Immagino tu sia qui per una confessione?»

«Sì.»

Mi squadrò dalla testa ai piedi. Ci fu una lunga pausa, un momento interminabile in cui il suo volto passò dall’essere confuso, a triste, fino a farsi indecifrabile.

«Non oggi» disse alla fine, voltandosi e incamminandosi verso il suo ufficio.

Confuso e perplesso, gli domandai: «Non oggi? Nel senso che oggi non confessi? Sei impegnato in altre cose?»

«No, non sono impegnato» rispose continuando a camminare.

Corrugai la fronte e le sopracciglia si unirono. Negare la confessione a qualcuno era legale secondo la legge ecclesiastica? Ero abbastanza sicuro di no.

«Ehi, aspetta!» esclamai.

Non lo fece. Non si voltò neppure per constatare che avessi detto qualcosa o che lo stessi rincorrendo.

Lo raggiunsi nel piccolo corridoio con porte su entrambi i lati e lo seguii nel suo ufficio, pensando che quello non fosse il suo solito modo di agire. Padre Jordan Brady era sconvolto.

E di sicuro non lo era stato al mio arrivo.

«Amico» dissi, chiudendo la porta dell’ufficio dietro di me. «Ma che cavolo?»

Si sedette dietro alla scrivania; la luce del mattino dipingeva d’oro i suoi capelli biondi. Jordan era un bel ragazzo, dal colorito sano e con il tipo di capelli che si vedevano di solito nelle pubblicità della Calvin Klein. Era anche in ottima forma fisica; avevamo legato durante il primo semestre del corso di Teologia, dopo esserci incontrati più volte nella palestra del paese. Nei due anni successivi, avevamo finito per condividere l’appartamento, ed ero quasi sicuro di essere la cosa più vicina a un amico che quel ragazzo avesse avuto.

Ecco perché mi rifiutavo di venir ignorato.

Tenne lo sguardo abbassato mentre accendeva il computer. «Torna un’altra volta, Padre Bell. Non oggi.»

«La legge canonica prevede che tu debba ascoltare la mia confessione.»

«La legge canonica non è tutto.»

La sua risposta mi sorprese. Jordan non era uno che trasgrediva le regole. Piuttosto, lo si sarebbe detto a due passi dal somigliare all’inquietante assassino del Codice Da Vinci.

Mi accomodai su una delle sedie davanti alla scrivania e incrociai le braccia. «Non me ne andrò via fino a che non mi avrai spiegato con precisione il motivo per cui non vuoi sentire la mia confessione.»

«Non mi importa se resti» rispose con calma.

«Jordan

Strinse le labbra combattuto, poi finalmente alzò lo sguardo; gli occhi marroni preoccupati e penetranti.

«Tyler, come si chiama?»

Paura e adrenalina ebbero un’impennata nel mio corpo. Qualcuno ci aveva visti? Qualcuno aveva intuito cosa stava succedendo e lo aveva detto a Jordan?

«Jordan, io…»

«Lascia perdere le bugie» disse, non con disgusto, ma piuttosto con un’intensità che mi turbò, rendendomi più nervoso di quanto avrebbe fatto la sua rabbia.

«Hai intenzione di confessarmi?» chiesi.

«No.»

«Perché diavolo no?»

«Perché» rispose con cautela, puntando i gomiti sulla scrivania e sporgendosi in avanti, «non sei pronto a smettere. Non sei pronto a lasciarla e fino a quando non lo sarai, non ha senso che io ti assolva.»

Sprofondai nella sedia. Aveva ragione. Non ero disposto a lasciare Poppy. Non volevo smettere. E allora, perché ero andato da lui? Volevo illudermi che Jordan potesse recitare qualche preghiera speciale che avrebbe risolto tutti i miei problemi? Pensavo forse che salvare le apparenze avrebbe cambiato quello che c’era nel mio cuore?

«Come lo sai?» chiesi, abbassando lo sguardo sulle gambe e sperando in Dio che non fosse perché qualcuno aveva visto me e Poppy insieme.

«Me lo ha detto il Signore. Quando sei entrato.» Jordan rispose con semplicità, nello stesso modo in cui qualcuno avrebbe dichiarato in quale negozio comprava i vestiti. «Ed è sempre Lui che mi dice che non è finita. Non sei ancora pronto a confessarti.»

«Te lo ha detto il Signore» ripetei sollevando gli occhi su di lui.

«Sì» annuì con un cenno della testa.

Sembrava folle, ma gli credetti. Se Jordan mi avesse detto che sapeva di preciso quanti angeli sarebbero potuti stare sulla testa di uno spillo, gli avrei creduto. Era quel genere di uomo, con un piede nel nostro mondo, e un piede nell’altro, e grazie alla nostra lunga amicizia lo conoscevo abbastanza da sapere che era davvero in grado di vedere e sentire cose che nessun altro poteva.

Era stato molto meno frustrante quando sotto esame non c’ero stato io.

«Hai infranto i voti» aggiunse con calma.

«Il Signore ti ha detto anche questo?» chiesi, senza preoccuparmi di nascondere l’amarezza nella mia voce.

«No, ma lo vedo. Porti lo stesso fardello di colpa e di gioia.»

Sì, questo riassumeva perfettamente cosa provassi.

Affondai il volto tra le mani, non perché travolto dalle emozioni, ma perché all’improvviso mi sentii sopraffatto, imbarazzato per la mia debolezza di fronte a un uomo che non avrebbe mai ceduto a nessuna tentazione.

«Mi odi?» biascicai sui palmi.

«Sai che non è così. E sai che nemmeno il Signore ti odia. E sai anche che non lo dirò al vescovo.»

Alzai il capo, ancora sopraffatto. «Davvero?»

Scosse la testa. «Non penso che sia quello che Dio vuole in questo momento.»

«Quindi, cosa faccio?»

Jordan mi osservò con un’espressione molto simile alla pietà. «Torna quando sarai pronto a confessarti» disse. «E, fino ad allora, sii estremamente cauto.»

Cauto.

Estremamente cauto.

Ripensai alle sue parole mentre andavo a trovare mamma e papà. Mentre sciacquavo i piatti nel lavandino a casa loro e mentre guidavo per tornare a casa di notte. Mentre furtivo attraversavo il parco per poter di nuovo scopare Poppy.

In quel momento, non c’era niente di cauto in me.