Capitolo 8
Il sudore gli colava sulla fronte, anche se aveva cercato di andare con calma con quel caldo. Era arrivato puntuale, giocandosi la maglietta, che era completamente fradicia.
Nathaniel si passò la mano sulla fronte e se la asciugò sui pantaloni. Il dottor Jack Sorenson era stato uno dei migliori amici dei suoi genitori, ma non gli piaceva usare conoscenti della famiglia: se l’era cavata da solo fino a quel momento, e intendeva finire da solo. Ma sua sorella maggiore Martha aveva preso appuntamento per lui, e gli aveva fatto una lunga predica al telefono su quello che sarebbe successo se non si fosse presentato. Era già abbastanza che fosse sua sorella maggiore, non c’era bisogno che si mettesse a fargli anche da madre.
Nathaniel premette il campanello, che mise in moto qualcosa che assomigliava di più a un carillon di campane che a un normale squillo. La porta si aprì, e Jack gli apparve sorridente, con indosso un grembiule da cucina.
Gli tese la mano. «Ciao! Benvenuto, è un bel pezzo che non ci si vede».
Aveva un volto di età indefinibile, con un paio di occhi azzurro intenso che attiravano tutta l’attenzione. La sua stretta di mano era energica, e Nathaniel si sorprese a tentare di ricambiare con altrettanta forza.
«Entra, sto preparando da mangiare al nipotino».
«Grazie mille» disse Nathaniel ed entrò.
«Niente in contrario se ci sediamo in cucina?» Jack vi si stava già dirigendo, ancor prima che Nathaniel facesse in tempo a rispondere.
Un bimbetto dai capelli biondi e dagli occhi azzurri tanto quanto quelli del nonno era seduto in un seggiolone vicino al tavolo della cucina. C’erano giochi sparpagliati su tutta la tavola, ma il bambino non sembrava granché interessato. Invece fissò intensamente Nathaniel, e poi gli sorrise.
Jack si avvicinò ai fornelli e mescolò il contenuto di una pentola. «Questo è il figlio di mio figlio, si chiama Derek. Di’ ciao a Nathaniel, Derek».
Derek sorrise ed emise una serie di suoni che potevano assomigliare a parole.
«Parla come una cascata, nella sua propria lingua, beninteso. Dice mamma e papà, ma ancora non molto altro. Diana e Mark sono in viaggio all’estero, perciò questa settimana io lavoro a casa e faccio il baby-sitter».
Nathaniel sedette sulla sedia accanto a Derek e prese una macchinina che era al di fuori della portata di quest’ultimo. I bambini erano divertenti, finché non era lui ad averne la responsabilità. Qualche volta aveva fatto il babysitter per sua sorella maggiore, ma dopo che si era trasferito non si poteva dire che ne avesse sentito la mancanza.
Nathaniel fece avanzare la macchinina lentamente verso Derek.
«Brum» disse il bimbo.
«Le macchine noiose fanno brum. Questa è una macchina sportiva, e fa vruuuum!» spiegò Nathaniel.
Derek spedì la macchinina oltre il bordo del tavolo e la fece finire a terra con un piccolo tonfo.
«Forse è ora di mangiare qualcosina» disse Jack, e con una scodella di pappa d’avena in mano si sedette su una sedia dirimpetto a Nathaniel.
Derek guardò il nonno e guardò la scodella con il suo contenuto. Poi si girò verso Nathaniel con uno sguardo che costrinse quest’ultimo a ridere.
Jack prese un cucchiaio di pappa d’avena e lo indirizzò verso la bocca del bambino: «Apri la bocca! Arriva l’aeroplano!»
Alla fine Derek si arrese, ma non prima che diversi cucchiai di pappa d’avena fossero finiti in luoghi non previsti.
Quando il grosso fu mangiato, il nonno lo sollevò dal seggiolone e lo depose sul pavimento. Derek gattonò rapido fino a una sedia e la usò per tirarsi su in piedi.
«Allora, come va?» chiese Jack, cominciando a riordinare il tavolo. «È passato un bel po’ dall’ultima volta che ho visto qualcuno di voi. L’ultima cosa che ho sentito è che Emma era andata all’estero per studiare, e poi che Martha e la sua famiglia si sono trasferiti al sud».
Nathaniel incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della sedia. Non gli piaceva mai parlare della sua famiglia. Era come se tutti si concentrassero sul fatto che i suoi genitori erano morti, come se il mondo si fosse fermato allora e non fosse più andato avanti.
«Be’, le cose sono un po’ cambiate, perlomeno per Emma. Le è venuta una fissa, ha lasciato gli studi a metà anno e ora sta viaggiando con degli amici. In questo momento sono da qualche parte in Sudamerica. Credo che non sappia mai cosa vuole per davvero. Ho cercato di farla studiare nella mia stessa università, ma niente. Comunque troverà la sua strada, prima o poi. Martha e Jacob si sono finalmente sistemati nella loro nuova casa, e insistono più di prima perché io li vada a trovare».
«E tu, come va?»
Nathaniel fece spallucce. Perché la gente si aspettava che uno potesse tradurre la propria condizione in parole come se niente fosse?
Derek era seduto vicino a un cassetto e cercava di estrarlo. Aveva una specie di sicura, ma il bimbo non si dava per vinto.
«È sempre il mio vecchio progetto che assorbe la maggior parte del mio tempo. Almeno finora».
«Mi ricordi tuo padre. Credo che a volte si sia chiesto lui stesso cosa sarebbe successo se tua madre non fosse stata così, ehm, tenace».
A giudicare dalla sua espressione, Jack doveva ricordare qualcosa di particolare. Nathaniel non aveva alcun ricordo della madre, perlomeno nessuno che potesse chiamare suo. Ma la sua cocciutaggine, che condividevano tutti e tre, veniva sempre imputata al lato materno.
Il padre non era stato un uomo molto paziente.
«Ma hai incontrato dei problemi per cui ti serve aiuto, se ho capito bene».
Nathaniel esitò. Odiava dover spiegare il suo progetto ad altri. Arrivava sempre il momento in cui doveva affrontare quegli sguardi disorientati o divertiti. E chiedere aiuto gli risultava altrettanto insopportabile quanto tutti gli sguardi. Anzi, peggio.
«Sì, in un certo senso».
«Allora cerca di spiegarmelo meglio che puoi, e vedremo se un vecchiardo come me può essere di qualche aiuto».
Jack sedette di nuovo al tavolo, e Nathaniel cominciò a spiegare la sua idea. Jack ascoltava e sorrideva, e faceva domande quando non capiva qualcosa. Vennero interrotti solo da Derek, che di colpo era diventato piagnucoloso e coccolone e voleva a tutti i costi star seduto in braccio a Nathaniel.
Con sua sorpresa, ci volle poco tempo a spiegare gli avvenimenti delle ultime settimane.
«Quindi tu sostieni che questi rilevamenti indicano persone con un cervello particolarmente complesso, ho capito bene?»
Nathaniel annuì.
«Ma questo non significa per forza che siano gli esseri umani più intelligenti del pianeta».
«Non lo so. Ma no, non per forza».
Jack si coprì la fronte con la mano e si massaggiò le tempie. Nathaniel non sapeva se fosse un gesto abituale o se Jack avesse mal di testa.
«Ci sono di certo molti modi di interpretare la situazione, ma forse si può dire che tu non hai ancora visto i risultati del tuo lavoro. Sei d’accordo su questo?»
«Non proprio. Le mie ricerche di risultati ne hanno forniti».
«Così come sono ora, si possono usare per qualcosa?»
A Nathaniel non piaceva il tono di Jack, ma non aveva una risposta.
«Comprendo che tu non voglia pensare di aver incontrato un muro, ma per poterti aiutare dobbiamo capire con chiarezza assoluta la tua posizione. Io non ho esperienza di ricerca, ma ho condotto e venduto abbastanza progetti da sapere di cosa sto parlando».
Nathaniel sapeva che Jack aveva ragione, ma ammetterlo sembrava quasi lo stesso che arrendersi.
«Ma qualcosa ce l’ho. Ci sono quattrocentoventuno risultati che si possono verificare, se posso eseguire il test ancora una volta. Uno dei risultati è perfino forte abbastanza da poter essere localizzato con una certa precisione, se faccio qualche modifica».
«Puoi localizzare con esattezza i risultati? Ma questo non me lo avevi detto prima!»
«No, e come ho detto si tratta solo di uno dei risultati. È molto più forte di tutti gli altri».
Nathaniel spostò Derek sull’altra gamba, che non era sul punto di informicolirsi.
«Sei in grado di localizzare quel risultato?»
«No, anzi sì... Ma non con enorme precisione. I risultati hanno un raggio di approssimazione dai tre ai cinque chilometri, ma questo sono riuscito a ridurlo a qualche centinaio di metri».
«Ah, sì? E dunque dove si trova?»
Nathaniel sospirò demoralizzato. «In Norvegia».
«Norvegia» ripeté Jack, annuendo con entrambi i sopraccigli alzati.
«È una zona residenziale, quindi ci sono diverse centinaia di persone. Il famoso ago nel pagliaio».
«Mmh. Sai una cosa, dato che il bambino sta così volentieri in braccio a te, adesso metto su un caffè».
Derek guardò Nathaniel con aria seria e tenne un discorso che fece scambiare ai due adulti uno sguardo meravigliato. Per sicurezza, Nathaniel si dichiarò d’accordo su tutto.
Jack tirò fuori una moka e la mise sul fornello. «Mia moglie ha comprato questo aggeggio per fare il caffè come al bar» disse poi indicando una grande macchina da caffè espresso su uno degli scaffali inferiori del ripiano da cucina. «Ma io preferisco il vecchio metodo, sebbene non possa garantire che il caffè venga più buono».
Nathaniel si chiese se dovesse menzionare il fatto che lui il caffè non lo beveva, perlomeno non l’espresso.
«Non è che per caso potresti fare un caffelatte?» domandò esitante.
«Che ne dici di un cappuccino?»
Nathaniel annuì.
Nella stanza calò il silenzio mentre Jack preparava il caffè. Derek sedeva perso nei propri pensieri e non emetteva un suono. A Nathaniel il silenzio piaceva, ma in quel particolare frangente era come se fosse un orologio ticchettante. Non sapeva nemmeno se desiderava davvero che Jack trovasse una soluzione al problema.
«Da quello che capisco non hai molte possibilità, Nathaniel. Ma forse una c’è: puoi vendere l’intero progetto come una ricerca delle persone più intelligenti del pianeta. Ce n’è abbastanza di gente che per svariati motivi sarebbe interessata a una cosa del genere. Di quanti soldi hai bisogno per ottenere più tempo con i satelliti?»
Nathaniel si sentì uno stupido. «Non lo so».
«Ok, informati e poi vedi se puoi dividere la somma tra sponsor che sarebbero interessati a questa caccia all’intelligenza. Forse ci sono dei fondi di ricerca, o dei programmi nazionali o internazionali di contributi che ti possono servire».
Erano suggerimenti ragionevoli, non fosse stato per il piccolo neo che Nathaniel non si sentiva in grado di vendere un bel niente. E in special modo sapendo che forse stava mentendo sul prodotto.
Se ne andò pedalando con la sensazione di non aver ottenuto un granché, ma almeno Jack era stato sincero e gli aveva dato una prospettiva più realistica. Se per questo Jack gli piacesse più o meno di prima, Nathaniel non era in grado di dirlo.