28

«Miseria ladra...». L'ispettore Steel gonfiò le guance e sbuffò. «Che ore sono?».

Logan tirò indietro il polsino elasticizzato della sua tuta bianca e guardò l'orologio. «Quasi le sette e mezza». Lunedì mattina, ed era cominciato male – erano già in piedi da tre ore e nessuna traccia di un raggio di sole.

L'ispettore si lasciò sfuggire un lamento. «Oggi sarà un'altra lunga, fottutissima giornata», fece un passo indietro per lasciar passare uno dei tecnici della Scientifica che portava una scatola di plastica per la raccolta dei reperti. «Cosa diavolo c'è lì dentro?», chiese.

«Tutto quello che c'era nel congelatore», rispose l'uomo facendole dare un'occhiata.

Steel rovistò un po' nella scatola. «Piselli, mais, bastoncini di pesce...», tirò fuori qualcosa di scuro avvolto in pellicola trasparente e lo mostrò a Logan. «Cosa ti sembra? Spezzatino, fettine, carne da brodo?»

«Potrebbe anche essere del macinato».

La Steel rimise il pezzo nella scatola e ne tirò fuori un'altro, rosa-rossiccio. «Aha, questo invece è più interessante! Carne umana?». Logan si strinse nelle spalle – a lui sembrava tutta carne. «E allora?», disse l'ispettore all'uomo che reggeva ancora la scatola, «Non startene lì così! Falla analizzare!».

«Sì, signora», rispose il tecnico, borbottando sottovoce «brutta vacca...», mentre portava la scatola al furgone della Scientifica. L'ispettore Steel si frugò nelle tasche. «Logan, ho un brutto presentimento su questo caso; me lo sento nella vescica, come una ciste». Si fece avanti verso il soggiorno e osservò i tecnici in tuta bianca occupati a raccogliere possibili prove, usando piccoli aspirapolvere e spargendo la polverina per le impronte sulle superfici. «Fino a questo momento l'unica cosa che impedisce alla stampa di incularci con un cactus è che tutti sanno che Wiseman è colpevole». Si girò verso Logan; «Wiseman è colpevole, vero?»

«Faulds sostiene che venti anni fa pensavano che Wiseman avesse avuto un complice. E se adesso questo complice avesse deciso di operare da solo?».

La Steel lo guardò storto. «Credevo che aveste già preso il complice; come si chiama... suo cognato?».

Logan tossì. «Già... E se non fosse lui?»

«Cristo, dici davvero?», l'ispettore fece un rapido dietro front e si diresse su per la scala al piano superiore, con la tuta che faceva swish-swosh mentre saliva. Logan la seguì, sul pianerottolo e nella camera da letto dei genitori, dove la Steel aprì la finestra e accese una sigaretta. Fuori, nel giardino sul retro, due agenti in divisa e tuta bianca stavano meticolosamente frugando nei cespugli e nel baracchino, con l'erba che luccicava per la brina mattutina.

«Teste di cazzo dei superiori...», osservò la Steel, scuotendo la cenere nell'aria fredda del mattino. «Come diavolo credono che potrò risolvere questo caso?»

«C'è una conferenza stampa alle undici e mezza. Vuole che...». «Non si può esattamente dire che quegli altri bastardi ci siano riusciti, e loro ci hanno provato per anni!». Si passò una mano sul viso. «Mi credi se ti dico che stamattina alle tre e mezza ho dovuto telefonare al nostro dirigente generale per dirgli che avevamo preso una cantonata? "Signore, abbiamo appena scoperto che Wiseman non è il Carnaro; siamo veramente spiacenti; sa?". Vedessi come l'ha presa!». Logan le lasciò continuare la sua lamentela, mentre dava un'occhiata ai comodini vicino al letto. Un cassetto per i calzini, uno per mutande e canottiere, uno per tutte le cianfrusaglie che un uomo accumula; fazzoletti, carte da gioco, segnalibri, una piccola suora a molla che forse avrebbe dovuto camminare, ma che invece si muoveva in modo osceno. Vicino alla lampada sul comodino c'era una fotografia in cornice; Tom e Hazel Stephen, le ultime vittime del Carnaro.

Erano stati fotografati a un ricevimento – lui in un sobrio doppiopetto e cravatta, lei in un abitino nero dall'ampia scollatura. Sembravano felici.

«...in acque profonde e senza salvagente. Mi sai dire perché quegli stronzi non chiusero il caso venti anni fa, come avrebbero dovuto? E come mai all'improvviso è tutta colpa mia?». Si sedette sull'orlo del letto. «E

quel piccolo stronzetto di Alec mi segue da giorni; ovunque io vada c'è quella sua fottutissima videocamera.

Non posso neanche andare a cacare senza che la BBC sia lì a filmare l'evento».

Fece cadere due centimetri di cenere sul tappeto grigio e la calpestò con la soprascarpa di plastica blu.

«Ancora un paio di giorni di questa storia e farò anch'io la fine di Insch».

Si prese il viso tra le mani, col fumo della sigaretta che saliva lentamente. «Dai, su... ancora una volta».

Logan rimise la foto dove l'aveva presa. «Dobbiamo, signora?» «Sì».

«Come vuole lei... allora, la signora della casa a fianco telefona ai servizi d'emergenza all'una e un quarto del mattino; il cane degli Stephen non smette di abbaiare e lei vuole reclamare. Chiama di nuovo alle due, quando il cane ha finalmente smesso; dice che stava proprio per andare da loro per raccontargliene quattro, ma ha guardato dalla finestra e ha visto qualcuno con addosso un grembiule da macellaio e una maschera di Margaret Thatcher che stava caricando delle borse di plastica nel baule dell'auto degli Stephen».

La Steel non rispose e Logan cominciava a pensare che si fosse addormentata, quando improvvisamente la sentì dire: «E poi?» «E poi... niente».

«Logan, com'è venuto fin qui? È andato via con la loro macchina; ma qui, come ci è arrivato? Se lo stronzo fosse salito sull'autobus numero quindici, col suo grembiule sporco di sangue, immagino che qualcuno lo avrebbe notato, non credi?»

«Farò controllare le targhe di tutte le auto parcheggiate nelle strade del vicinato... diciamo, tre strade?»

«Quattro». Si tolse la sigaretta dalla bocca e tossì. «Non servirà a niente, adesso l'avrà già portata via.

Piuttosto, organizza una ricerca per l'auto degli Stephen».

«Già fatto». Si avvicinò all'altro comodino, quello di Hazel Stephen, sul quale c'era la radiosveglia e una pila di romanzi d'amore tascabili e dei libri su come perdere peso.

«OK...», la Steel si alzò dal letto e si stiracchiò. «Cura la bottega per cinque minuti, vado a fare pipì».

Logan aprì il cassetto in fondo: calze e collant; quello di mezzo: mutandine, cinture e mutande invernali, lunghe. Il primo: reggiseni, un paio di occhiali per leggere, e una rivista della Weight Watchers.

Logan la prese e diede un'occhiata alle foto: le tristi-e-depresse prima della cura e le sorridenti-e-felici dopo. Come aveva detto Rennie? "A Wiseman piacciono bene in carne". Tirò fuori il cellulare e chiese alla Centrale se sapevano se Heather Inglis frequentava le riunioni della Weight Watchers. La risposta fu sì, ci andava. «E Valerie Leith?».

Una pausa, e il ticchettio della tastiera del computer. «Non saprei, ma posso farla parlare con il servizio Assistenza Famiglie». «Sì, grazie».

Un'altra pausa, e poi: «Sì? Cioè, agente Munro?».

Logan pose la stessa domanda.

«Non saprei, ma...».

«Puoi provare a chiedere al marito?»

«Se solo potessi contattarlo! Il poveraccio adesso è stato inserito nello Schema per la Protezione del Teste, e sa benissimo come sono quelle teste di cazzo che lo gestiscono; tutte leggi ad personam. A meno che non siano loro ad aver bisogno di qualche informazione, in qual caso non fanno altro che parlarti di spirito di squadra, tiriamo tutti dalla stessa parte e balle varie. Mi creda, sergente...».

«C'è qualcosa nella routine quotidiana di Valerie Leith che indicasse la sua partecipazione alle riunioni?»

«Cosa? Oh, no; e nessuna delle sue amiche me ne ha parlato. E non c'è niente neanche nella sua agenda».

«Puoi parlare con quelli del Programma Protezione del Teste e fare in modo che qualcuno di loro lo chieda al marito?»

«Ci proverò, ma non si aspetti una risposta immediata».

Alec entrò in camera da letto, con la videocamera che gli pendeva da una mano e si appoggiò al muro.

«Nessuno si offenda, ma questa non è televisione di prima qualità. Dov'è Sua Altezza la Regia Brontolona?»

«Pipì. Hanno finito dabbasso?»

«È un'altra scena del crimine inzuppata nel sangue, ma senza che accada niente di positivo, dal punto di vista televisivo; non c'è nessuna sequenza narrativa, e di questo passo metà del programma consisterà di tute bianche che cercano indizi».

«Alec, sono davvero molto spiacente che le nostre indagini su questi omicidi non siano di tuo gradimento».

Il cameraman fece spallucce, non rilevando la velata ironia. «Non è colpa tua. Ma abbiamo bisogno di...».

«Ma piantatela lì?», la Steel apparve sulla soglia della stanza da letto, guardando il tappeto beige e la serie di impronte rosse. «Alec!», disse; le impronte finivano alle soprascarpe di plastica blu del cameraman.

«Oddio... in cucina c'era sangue dappertutto...».

«E adesso c'è sangue in tutta la casa!».

«Mi scusi, signora».

«Alec, hai la minima idea...».

Logan la interruppe prima che potesse cominciare a tartassare il poveraccio. «Abbiamo una probabile traccia: Heather Inglis e Hazel Stephen andavano entrambe alle riunioni della Weight Watchers». «E Valerie Leith?»

«Non lo sappiamo ancora; sto aspettando la risposta dalla Protezione del Teste».

«Sì, e quando arriverà io e te saremo in pensione. Se Valerie Leith andava alle riunioni ce ne sarà qualche prova in casa; qualche alimento a basso contenuto calorico, moduli di iscrizione, pantaloni prima e pantaloni dopo, robe del genere. Andiamo», disse aprendo la cerniera della tuta. «Togliamoci questi pigiamini. Abbiamo una casa da rovistare».

«È molto... è molto importante non farsi prendere dal panico». La voce di questa nuova persona veniva dall'altra parte delle sbarre, dalla parte dove era morto Duncan. Dove il Buio era il più forte. «Mi senti?

Dobbiamo restare calmi...».

Almeno aveva smesso di gridare.

Heather prese un'altra scaloppina dal pacchetto di stagnola, e morse attraverso l'impanatura. Saporita.

«È un piagnucolone, vero?»

«Lascialo stare, ha solo paura».

Heather sentiva il signor Nuovo che brancolava mani e piedi nell'oscurità, aggrappandosi alle sbarre. «Con chi stai parlando? Perché non vuoi dirmi con chi stai parlando? Cosa succede? Cosa...».

Heather interruppe l'accrescere del suo panico, prima che sopraffacesse entrambi. «Sto parlando con mio marito».

«Perché, è lì con... Salve! Perché non mi...».

«Non parlerà con te. Perché è morto».

«Oh, Gesù! Mi hanno rinchiuso con una che è fuori di testa!». Heather annuì, anche se il nuovo arrivato non poteva vederla. «Sì, sono impazzita».

Ci fu una lunga pausa... e poi il signor Nuovo disse: «Come ti chiami?».

Heather finì di masticare, ingoiò e glielo disse.

«Tu sei Heather Inglis? Quella Heather Inglis? Ho letto di te... Oh Gesù...». Cominciò a piangere. «Oh fottutissimo Gesù... era... era lui, vero? Il Carnaro... Oh Gesù fottutissimo Cristo...».

«Chi è il...».

«Non l'ho visto! Io ero... dal giardino sul retro e... oh Dio, Hazel... Cos'è successo a Hazel? DOV'È MIA MOGLIE? HAZEL?». Ricominciò a urlare. «HAZEL!».

«Ma guarda se ci voleva anche questa», disse Duncan lasciandosi cadere sul materasso e annusando il pacchetto di stagnola in mano a Heather. «Che profumino!».

«Ne vuoi?»

«HAZEL!».

«Non posso: sono morto, ricordi?».

«HAZEL!». Gli urli divennero sempre più fiochi, lasciando il posto ai singhiozzi. «Hazel...».

L'uomo cominciò a far pena a Heather. «Hai fame, signor Nuovo? Vuoi qualcosa da mangiare?». Prese una scaloppina e la passò dall'altra parte delle sbarre. «È buona».

«Hazel...».

«Devi mantenerti forte».

«Heather, secondo me non dovresti affezionarti troppo a quest'uomo».

I singhiozzi continuarono per un po', e poi il signor Nuovo accettò un sorso d'acqua e una delle scaloppine.

Heather lo sentì che la stava annusando, e poi lo sentì mordere l'impanatura. «Che roba è?», chiese mentre masticava.

«Vitello, credo... o forse maiale. Difficile dirlo al buio. Forse...». Il signor Nuovo stava sputando, tossendo, forzandosi a vomitare. «Signor Nuovo, cos'hai?»

«Aaaaaaaaaaaaaaagh, Gesù...», si sentì il rumore bagnato, spruzzante, del signor Nuovo che vomitava sul freddo metallo del pavimento della cella... l'acre odore del vomito permeò l'aria. «Non è poi così cattiva».

Il signor Nuovo aveva ripreso a piangere. «E carne umana!... Oh, Gesù... Ma non hai capito? Era al telegiornale: il Carnaro uccide le persone e poi le fa a pezzi per carne da mangiare. Stiamo mangiando carne umana, persone...».

Duncan annuì. «Ha ragione, sai?».

Heather sentì lo stomaco che le si contorceva. «Ma io l'ho mangiata per tanto tempo...».

«Ma non avevi altra scelta! Si trattava di mangiarla o di morire di fame!».

Heather guardò Duncan, ricordando quello che il Macellaio... il Carnaro... gli aveva fatto. «Eri tu, vero? tutto questo tempo... eri tu?». Duncan annuì.

«Oh, Duncan!».

Il suo defunto marito sorrise. «Ehi, almeno ero buono da mangiare, no?». Le indicò il pacchetto di stagnola che aveva in mano. «Non sprecare del buon cibo».

«Ma è... è gente, persone!».

«È solo carne, amore. Alla fin fine, noi tutti non siamo altro che carne».

Heather ne prese un'altra fettina dal pacchetto. «...Non... non posso».

«Sì che puoi».

La casa delle anime morte
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