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Con gambe malferme Logan si lanciò lungo il corridoio all'inseguimento della Carnara e della sua complice, tenendosi il braccio sinistro stretto al petto. La bruciante sensazione che aveva provato finora in tutto il braccio fino alla spalla stava svanendo, sostituita da un totale intorpidimento dell'arto, che era preoccupante. Ma che fosse slogato o rotto era sempre meglio che avere entrambe le mani forate da un punzone, o essere addirittura tagliato in due.

Due doppie porte all'estremità del corridoio portavano all'area dei bovini; un lungo stanzone dalle pareti alte, con un'altra serie di guide per l'avanzamento meccanico fissate al soffitto. Ma questa volta non erano pecore che pendevano a quindici centimetri da terra, bensì mucche e buoi, con le zampe posteriori incatenate agli appigli meccanici tre metri al disopra della testa di Logan. Aveva visto tante mucche nei prati intorno ad Aberdeen, ma non si era mai reso conto di quanto fossero enormi.

Una passerella sopraelevata seguiva il tortuoso percorso delle carcasse; su questa passerella lavoravano uomini e donne in tute bianche e blu, stivaloni di gomma e caschi di plastica, con degli strani utensili. Il locale era permeato dal fetore di grasso in liquefazione, di rame caldo e di carne cruda, e dal vapore saturo di grasso che emanava da fori circolari nel pavimento.

Anche qui usciva musica dagli altoparlanti, ma nessuno stava lavorando; tutti gli occhi erano fissi su Logan e sul suo vestito insanguinato.

Si udì il sibilo di un cilindro idraulico, al quale fece subito seguito un ronzio meccanico; e da un'apertura nella parete uscì l'enorme carcassa di un bue, che cadde su una piattaforma all'altezza del ginocchio. Non dava alcun segno di vita; un uomo con un lungo grembiule verde gli agganciò le catene agli zoccoli posteriori e la carcassa dell'enorme animale fu sollevata dalla piattaforma e si avviò lungo la linea, seguendo le altre.

«Da che parte sono andate?».

Nessuno sembrò aver sentito; il rumore del macchinario e la voce di Tom Jones coprirono le sue parole.

Tre rapidi tagli alla gola e il sangue rosso vivo del bue inondò il pavimento.

Logan ci riprovò. «DA CHE PARTE SONO ANDATE?».

L'uomo dal grembiule verde gli indicò lungo la linea, verso un piccolo padiglione annesso all'estremità del cavernoso stanzone, oltre il punto dove le carcasse, ormai spellate e svuotate dei loro organi interni, venivano segate in due con una sega meccanica appesa al soffitto.

Barcollando, Logan riprese la sua corsa.

Il padiglione era pieno di bidoni di plastica e di scaffalature metalliche, con polmoni, fegati, lingue e altri organi che pendevano da ganci di acciaio inossidabile. Logan scivolò sul pavimento bagnato, e andò a picchiare contro la parete ma fortunatamente non cadde. Girò l'angolo e si trovò in un fetido recesso dove tre centrifughe industriali erano in funzione. Passò barcollando vicino a una donna che stava inserendo lo stomaco di una mucca in una centrifuga; la donna si fermò e lo guardò, sbalordita.

Una delle porte in fondo al locale si richiuse, sbatacchiando. Logan attraversò rapidamente la Tana delle Feci, riaprì la porta e vide le gambe di un pigiama rosa che svanivano in cima alle scale. Le inseguì su per le scale, varcò un'altra soglia e si trovò all'interno della struttura dov'era ubicato il tritaossa.

La Carnara e la sua compagna dal pigiama rosa stavano arrancando su per le scale, verso la tramoggia superiore dell'impianto; quella nella quale era stata trovata la testa di Thomas Stephen. Aggrappandosi alla ringhiera per sostenersi, Logan gridò con quanta voce riuscì a trovarsi in corpo: «ALT! POLIZIA!».

Un'intimazione che raramente aveva l'effetto desiderato, ma questa volta funzionò: quando arrivò in cima alla scala la Carnara e l'altra donna lo stavano aspettando.

Logan cercò di estrarre dalla tasca il suo spray al peperoncino, ma il braccio sinistro non gli funzionava; ogni minimo movimento gli faceva sentire la spalla trafitta da aghi roventi. Riuscì comunque a prenderlo con la mano destra e lo puntò alla Carnara. «Voglio che vi sdraiate per terra. Subito!».

La donna nel pigiama rosa scosse la testa. «Non puoi farlo». «Anche tu; giù per terra».

«Jimmy lo sta facendo per purificarci».

«Jimmy non esiste, è...», e in quel momento Logan capì perché gli era sembrato di riconoscere la donna dal pigiama rosa. «Heather Inglis?... Devi venire con me, Heather. È finita. Ormai lui... lei non può più farti del male». Si rivolse di nuovo alla Carnara. «Ho detto giù per terra, SUBITO!».

E in quel momento la Carnara si portò alle spalle di Heather, la sollevò con entrambe le braccia e la spinse sopra e al di là della ringhiera unta che girava tutt'intorno alla tramoggia. Heather gridò e riuscì a restare in piedi sulla piattaforma, ma dall'altra parte della ringhiera, tenendosi ben stretta con entrambe le mani.

Logan diede una rapidissima occhiata alle pareti inclinate dell'enorme cassone metallico. Era quasi vuoto; gli ingranaggi in fondo stavano tritando le ultima ossa del cassone in pezzi più piccoli, scaricandoli nella tramoggia sottostante.

Alzò le mani, in un gesto placante e riconciliante. «È finita, Elizabeth», disse. «Domattina la tua faccia sarà su tutti i giornali e su tutte le reti TV del paese; non ci sarà un posto dove tu possa nasconderti». Cominciò ad avanzare verso di lei, pochi centimetri per volta, con gli occhi che scrutavano le pareti del locale, cercando l'interruttore del motore del tritaossa.

«Su, Elizabeth. Sono sicuro che non vorrai farle del male; Heather ha mangiato il tuo cibo, no? Quindi è pura!».

La Carnara si portò una mano tremante al viso e si tolse la maschera di Margaret Thatcher. Era Elizabeth, e allo stesso tempo non lo era; il suo volto era ben diverso da quando Logan l'aveva vista a casa sua. E questo non perché avesse il naso rotto e sanguinante o una guancia gonfia, ma perché sembrava che sotto la maschera di gomma ne avesse un'altra.

Elizabeth buttò la maschera di Margaret Thatcher nella tramoggia e Logan la vide rimbalzare contro una delle pareti e poi scivolare verso gli ingranaggi metallici che la tritarono come se fosse stata una fetta di pan bagnato.

«Ascolta, Elizabeth... sono sicuro che non vuoi fare una cosa del genere, vero?».

Ci fu una lunga pausa, e poi: «No», rispose.

Heather si girò e la guardò; poi tolse una mano dalla ringhiera e le toccò il viso. «Ma io voglio farlo, Kelley.

Per te».

Logan si avvicinò ancora un po'. «Su, Heather non fare una stupidaggine: sei sopravvissuta a troppe sofferenze, per buttare tutto via così inutilmente».

Elizabeth si chinò in avanti e la baciò su una guancia. Ed Heather si lasciò cadere nella tramoggia.

«Merda!», Logan si lanciò in avanti, e con la destra afferrò una manciata del pigiama di Heather proprio mentre lei si staccava dalla ringhiera. Logan era sbilanciato e fu tirato in avanti dal peso della donna che cadeva; andò a sbattere con lo stomaco pieno di cicatrici contro la ringhiera, e il dolore fu immediato e intenso. Aprì la bocca cercando di gridare ma riuscì a emettere solo un rantolo ansimante.

Non aveva forza nella mano.

Cercò di afferrarla con l'altra mano e sentì qualcosa che cedeva nella spalla sinistra. Gli sembrò di svenire dal dolore.

Heather gli stava sfuggendo di mano.

I loro sguardi si incrociarono. Heather gli sembrò stranamente serena, come se fosse in pace con se stessa; e cadde nella tramoggia. I piedi della donna picchiarono contro la parete inclinata sottostante e le scivolarono sotto il corpo. CLANG, ed Heather stava scivolando all'indietro. Poi per un attimo il piede sinistro si sollevò nell'aria, ricadde e finì negli ingranaggi.

L'unico rumore udibile era quello dell'asse motore.

Piede. Caviglia. Stinco. E poi Heather cominciò a gridare, spingendo contro la parete con l'altro piede, con il pigiama già sporco di sangue fresco e con le mani che disperatamente cercavano un appiglio contro le pareti della tramoggia, unte e scivolose.

La porta del locale di cottura dei residui, o miscelatore di proteine, come gli addetti ai lavori preferivano chiamarlo, si spalancò di colpo e ne venne fuori Jackie, con le mani strette al petto. Si fermò di colpo, impietrita, osservando i pezzi di gamba che cadevano nella tramoggia di sotto. Con uno sforzo Logan riuscì a rimettersi in piedi e barcollando corse verso l'interruttore, dando un colpo col palmo della mano al bottone rosso; il ronzio del motore cambiò di tono e si fermò.

Logan scavalcò la ringhiera e si lasciò cadere nella tramoggia, al fianco di Heather, gridando a pieni polmoni.

«CHIAMA UN'AMBULANZA! ».

Ma la Carnara era sparita.

La casa delle anime morte
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