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Nell'oscurità le sembrava che le pareti della sua prigione pulsassero. Heather era sdraiata sulla schiena, con il viso coperto da un braccio, come se volesse impedire che gli occhi le rotolassero fuori dalle orbite.

«Kelley... non mi sento bene...».

Dall'altra parte della parete la nuova ragazza aveva ripreso a gridare. Urlando, imprecando, chiedendo che la facessero uscire da lì. Per un paio di dolcissime ore era stata zitta; poi aveva raccontato a Heather e a Kelley quello che era successo a sua sorella, che aveva aperto la porta di casa, aspettando di trovarsi davanti il fattorino della pizzeria che faceva le consegne a domicilio, e si era invece vista davanti il Carnaro.

Come tutto era finito ricoperto di sangue...

Ma la calma era stata piacevole, anche se era durata poco. «Kellev?»

«Shhh... sono qui, Heather. È tutto OK. Hai bisogno di dormire un po', tutto qui».

«Credo che la carne... avesse un sapore strano...».

Silenzio.

«Strano? Come sarebbe a dire, strano?»

«Maureen, la ragazza nuova. Ha detto che sua sorella era diabetica, e che si faceva delle iniezioni... a me è sembrato che avesse uno strano sapore... oh, mio Dio...».

Attraverso le sbarre Kelley strinse una mano di Heather. «I diabetici si fanno delle iniezioni di insulina; è una sostanza che il corpo umano produce naturalmente, ma nei diabetici è carente, quindi se la iniettano da soli. E comunque, dubito che l'insulina abbia resistito alla cottura. Forse hai picchiato la testa e adesso soffri di commozione cerebrale?»

«Forse...».

Maureen smise di urlare ed Heather emise un sospiro di sollievo.

Ma dopo pochi minuti ricominciò. «Queste grida non aiutano granché».

Heather si aspettava che il signor Nuovo apparisse e le dicesse che parlare così era crudele, ma non accadde; stava forse strapazzando il fantasma di Duncan? Da quando era arrivata Kelley quello stronzo di suo marito si era fatto vedere sempre più raramente. E se fosse colpa mia, si chiese Heather? Forse Duncan non viene perché si è accorto che col passare dei giorni sto diventando sempre meno matta? Che sto lentamente ritrovando la mia sanità mentale, ora che non sono più rinchiusa da sola.

Pensandoci le venne da ridere. Poi si lamentò; e poi pensò di vomitare.

«Dovresti prendere le medicine, sai? Lui mi ha fatto promettere che ti avrei dato le medicine, se non ti sentivi bene».

«Non mi sento bene».

Kelley le lasciò la mano e si sentì uno stropiccìo; e poco dopo Heather sentì che un piccolo involucro di carta stagnola le veniva pressato nella mano. Dentro c'erano due pillole. «Devi prendere queste medicine e devi guarire. Se non le prendi, Lui tornerà e mi farà del male. Non farmi fare del male...».

Heather non voleva prenderle.

«Su, tesoro, prendile», Duncan le diede una pacca su una spalla. «Dove sei stato?»

«Heather? Sono qui».

«Heather, prendi le medicine».

«Ma chissà che roba è!».

«Tesoro, se avesse voluto farti del male, avrebbe potuto trasformarti in braciole di vitello in qualsiasi momento, non credi?»

«Ma...».

«Ma, niente. Non stai bene, ricordi? Hai picchiato la testa, ricordi? E se non prendi le medicine, farà del male a Kelley. Vuoi che le faccia del male?».

Con un dito Heather sfiorò le pillole. «No».

«E quindi prendile, così nessuno dovrà morire».

CENTRALINISTA: Emergenza, di quale servizio ha bisogno?

VOCE DI DONNA: È lui! Quello dei giornali, della TV! Quello della carne!

CENTRALINISTA: Sì, signora, stiamo...

VOCE DI DONNA: L'ho visto! Ho guardato dalla finestra sul retro e l'ho visto! Ha scavalcato la staccionata!

CENTRALINISTA: È nel suo giardino, signora?

VOCE DI DONNA: No, non nel mio, in quello della casa accanto! L'ho visto – aveva il grembiule e la maschera! Ed è entrato nella casa dalla porta sul retro!

CENTRALINISTA: Per favore, mi confermi il suo indirizzo.

VOCE DI DONNA: Io abito al settantatré, Springhill Crescent, Northfield, ma lui è entrato al settantuno! Fate presto! CENTRALINISTA: Signora, voglio che lei stia in casa e che chiuda tutte le porte e finestre. La polizia sta arrivando.

Anderson Drive passò rapidamente dai finestrini dell'auto, con le luci della città che brillavano nell'indaco della sera. Logan tenne il piede a tavoletta, seguendo la scia delle sirene spiegate e le lampeggianti luci blu.

Al suo fianco Faulds alzò il volume della radio.

«Alfa Mike Tre, qui Alfa Sedici, datemi il vostro ETA (Estimated Time of Arrivai (tempo stimato per l'arrivo) , passo». «Siamo alla rotonda di Prevost Frazer Drive, quindi circa», nel sottofondo si sentì il suono di un clacson. «Cristo! Impara a guidare, faccia di merda! Lo hai visto? Prendi il numero di targa di quello stronzo!...».

«Alfa Mike Tre, sto ancora aspettando il vostro ETA, passo». «Sì, giusto... cinque, sei minuti, al massimo».

«OK», disse Faulds, mentre attraversavano un semaforo rosso, col traffico fermo, «chi di voi è stato addestrato all'uso di armi da fuoco?».

Dal sedile posteriore la Steel gridò: «Io no!».

«Alec?».

Il cameraman fece spallucce. «Non è il tipo di addestramento che riceviamo alla BBC».

«Logan?»

«Lo scorso Natale, ma non sono mai stato a un vero e propr...».

«Mi sta bene così», Faulds prese il microfono della ricetrasmittente e schiacciò il pulsante. «Centrale, sono il dirigente generale Mark Faulds. Dite all'agente responsabile per l'unità armata di aspettare il mio arrivo».

«Ma, signore...».

«Agente, ho gestito decine di situazioni simili a questa. Non si diventa dirigente generale nascondendosi sotto una scrivania». Dall'altoparlante si udì il suono di una conversazione smorzata, e poi la voce dell'operatore. «Sì, signore».

Faulds fece l'occhiolino a Logan. «Logan, io e te saremo lì, alla resa dei conti».

Era proprio quello che Logan temeva.

Springhill Crescent era uno strano agglomerato dí casette unifamiliari, costruite a due a due; alcune rivestite in intonaco colorato, altre rivestite di legno marrone scuro, che le faceva sembrare come se fossero state trapiantate qui da un quartiere residenziale norvegese. Il numero civico settantuno era la casa di sinistra di una coppia, il cui rivestimento di legno non avrebbe disdegnato una buona verniciata di creosoto. Le luci al piano superiore erano accese, brillanti nel freddo della sera.

Logan si accucciò dietro un SUV, due case più giù. «E sicuro di quello che stiamo facendo?», chiese.

Faulds ghignò. «E tu, sei pronto?»

«Come diavolo li ha convinti?»

«Uno dei vantaggi del grado». Faulds tolse il caricatore dalla Heckler and Koch MP5 pistola mitragliatrice automatica, lo controllò e poi lo reinserì. Poi fece lo stesso con la sua Glock 9mm. Schiacciò il pulsante della radiolina attaccata alla spalliera del suo giubbotto nero antiproiettile. «Squadra Tre, siamo pronti».

Un click. «Roger (Nome proprio inglese che nelle procedure radiorelefoniche civili e militari sta per

"ricevuto" ).

Squadra Tre... Signore, è sicuro che io non possa...». «Sì, ne sono sicuro». Diede un'occhiata da un lato del macchinone. «Qualche cenno di azione?»

«No. L'obiettivo è ancora nella casa».

Logan si aggiustò il sottogola del casco che aveva preso in prestito, tirandoselo stretto sotto il mento; poi, come un cattivo dei western, si coprì la metà inferiore della faccia con una sciarpa nera, che puzzava di cipolle e di fumo di sigarette.

Lo stesso fece anche Faulds. «Sergente, hai paura?»

«Certo che ho paura. Lei no?»

«Stai dietro a me e non ti preoccupare». Gli diede una leggera pacca sulla schiena. «Il Carnaro ha solo un coltello e una pistola captiva, e il tuo giubbotto ti proteggerà da entrambe. OK?» «Tutte le squadre...

posizionarsi per l'intervento».

«Eccoci qua...».

Corsero verso la porta d'ingresso, tenendosi bassi; attraverso il cancelletto e su per il breve vialetto d'accesso in cemento. La Squadra Uno arrivò lì per prima, posizionandosi spalle al muro a un lato della porta, con Logan e Faulds sull'altro lato. E poi una sagoma tutta in nero si avvicinò alla porta, portando con sé un ariete metallico, di quelli usati per sfondare le porte; ne piazzò l'estremità di sfondamento contro la serratura e guardò Faulds.

Il dirigente generale cliccò di nuovo la radiolina. «Squadra Due?». «Giardino sul retro coperto. Pronti a intervenire».

«OK, gente... pronti; tre, due, uno...».

L'agente tirò indietro l'ariete e poi – BANG - la serratura fu divelta dallo stipite ed entrarono in casa.

La Squadra Uno invase il soggiorno, la Due la cucina, Logan e Faulds corsero su per le scale al piano di sopra.

Pianerottolo: «Libero!», con un calcio Faulds scardinò la porta del bagno: «Libero!», stessa cosa alla stanza da letto principale: «Libera!», un altro calcio di Faulds fece sbatacchiare la porta della seconda camera contro la parete. «Mani sulla testa! MANI SULLA

TESTA, SUBITO!».

Logan si precipitò nella stanza subito dietro a Faulds, con in mano la pistola pesante e fredda, nonostante i guanti.

Una donna di mezz'età giaceva legata sul letto, nuda e coperta di sangue, urlando da dietro un bavaglio improvvisato. Il Carnaro torreggiava su di lei, con il coltello in una mano e un viscido pezzo di frattaglie nell'altra, con la faccia imperscrutabile, coperta com'era dalla maschera di gomma di Margaret Thatcher.

«HO DETTO MANI SULLA TESTA!».

Il Carnaro lasciò cadere il coltello. Era nudo dalla vita in giù, e la sua erezione era visibilissima; il caratteristico grembiule da macellaio che era solito indossare era stato buttato sul manubrio di una cyclette in un angolo della stanza.

Faulds puntò la pistola al pene e il Carnaro ci mise subito le mani sopra.

«Sull'altra testa, stronzo!».

Le urla attutite dal letto divennero più intense; la donna gridava e si agitava contro i legami che la immobilizzavano, mentre Faulds forzava il Carnaro a inginocchiarsi puntandogli la pistola alla tempia. Logan si precipitò al letto e sciolse la sciarpa di seta che la imbavagliava.

«Aaaaaaagh... Brutto bastardo!».

«Non abbia paura, signora, adesso è al sicuro! Siamo della polizia». Faulds intanto aveva tirato le mani del Carnaro dietro la schiena e lo aveva ammanettato.

La donna si dimenava, tirando le sciarpe che le legavano i polsi e le caviglie alla testata e ai piedi del letto.

«Brutto stronzo di un bastardo!».

Logan le guardò il corpo nudo, cercando di scoprire da dove fosse uscito tutto quel sangue... ma non era sangue.

«È mio marito, stronzo!».

Era passata di pomodoro diluita.

L'agente addetta al servizio stampa era seduta alla scrivania di Logan nell'ufficio Casistica, con le braccia conserte sul tavolo e la testa sulle braccia, gemendo: «Ossignoriddio...».

Faulds era seduto all'altra scrivania, appoggiandosi allo schienale della sedia, con ancora addosso l'uniforme della squadra d'assalto che aveva preso in prestito. «Quando siamo venuti via quella stronza era al telefono con uno di quegli avvocati specializzati nell'ottenere risarcimento per incidenti da enti pubblici, società di assicurazioni, ospedali...».

L'agente si tirò su. «Perché non poteva essere lui il Carnaro? Credevo veramente che fossimo arrivati a scrivere la parola fine a questa fottutissima storia e invece adesso finiremo col trovarci querelati per chissà cosa e con una richiesta di risarcimento per danni morali e materiali e chissà quant'altro. Come se non avessimo abbastanza grane».

Logan finì il suo rapporto dell'incidente e lo mise nel cestello "evaso". «Io invece tendo a credere che quei due non sporgeranno querela. Ve le immaginate le prime pagine dei giornali? "Irruzione della polizia su coppia intenta in giochi sessuali sul tema del Carnaro", oppure: "Imitatore del Carnaro sorpreso mentre cerca di nascondere il salsicciotto". Non è il miglior modo per rendersi simpatici, vero?».

L'addetta stampa lo guardò. «Erano fotogenici, per caso?» «Non da dove li guardavo io».

«Suppongo sia già qualcosa...».

«Se credete che questo possa esserci d'aiuto», intervenne Faulds, togliendosi il giubbotto antiproiettile,

«domani io ho un appuntamento con quel criminologo strizzacervelli. Potrei chiedergli di scrivere un articolo, nel quale spiegherebbe, con dovizia di particolari, che le persone che si fingono serial killer per gratificazione sessuale corrono il rischio, come conseguenza psicologica, di modificare negativamente il loro patrimonio genetico... cosa ve ne pare?».

L'agente saltò su come se le avessero scaricato addosso 50.000 volt. «Dirigente generale Faulds, signore!

Sta per caso insinuando che la polizia di Grampian dovrebbe abbassarsi a un sotterfugio così meschino al fine di evitare un'azione legale?»

«In effetti, sì».

La ragazza sorrise. «Mi sembra un'ottima idea, signore!».

«Ancora qui? Cosa diavolo ci fa?», gli chiese l'agente Rennie, appoggiandosi all'orlo della scrivania di Logan.

Erano le otto e mezza di sera e la Centrale si stava preparando a un'altra serata di ubriachezza minorile e ai soliti atti di vandalismo.

Logan gli mostrò la pila di scartoffie che aveva ricevuto dalla polizia di Tayside. «Sto cercando di aggiornarmi sul caso di quelle due sorelle che sono sparite a Dundee».

«Una volta mi trovai ad una festa a Dundee... l'addio al celibato di un mio amico. Finimmo in questo club di spogliarelliste e...». «Rennie, cosa vuoi?», lo interruppe Logan.

«OK, ecco il programma», l'agente batté le mani, una volta. «Cominceremo all'Archibald Simpson's, con un paio di pinte; più tardi io e Laura andiamo a una festa in costume», abbassò la voce a un mormorio da cospiratore. «Laura ha noleggiato questo completino da alunna del liceo, con minigonna e tutto il resto. Lo ha indossato ieri sera e mi creda...».

«Rennie, dimmi se questa è una di quelle conversazioni nel corso della quale tu mi racconti i sordidi dettagli della tua vita sessuale mentre io invece sogno di spaccarti la testa a colpi di sedia».

«OK, OK», l'agente alzò le mani in segno di resa. «È brutto essere gelosi», fece una pausa, «ma pensavo a lei e a Jackie e...». «Non pensarci, OK?»

«Ma voi due siete entrambi miei amici e colleghi e...».

«Come ho detto, non pensarci». Logan tirò fuori dal mucchio le fotografie del caso e cominciò a studiarle.

«Volevo solo...».

«Credimi, vivrai più a lungo se smetti di parlare proprio adesso». Ci fu un breve silenzio. «Ma verrà al pub più tardi?»

«Ci sarà anche Jackie?»

«No».

«Allora ci farò un pensierino».

Rennie annuì.

«Se vuole può portare anche il suo Gran Capo Bianco da Birmingham».

«Scherzi? È sparito ore fa!».

«E allora... quando il gatto non c'è, i topi... ci siamo capiti?». Si alzò e si avviò alla porta. «Venga a farsi un paio di pinte, via da questo cesso... provi a passare qualche ora in compagnia dei vivi, tanto per cambiare!».

Nella testa di Heather il mondo si agitava e pulsava. Dentro e fuori, dentro e fuori; suoni che andavano e venivano, nell'oscurità; la voce incorporea di sua madre. «Sei solo un po' giù di corda, tesoro, ma poi vedrai... ti riprenderai e andrà tutto bene». Una mano fredda, cartacea, sulla fronte.

Si era addormentata, ma adesso era sveglia. O stava ancora dormendo e sognando di essere sveglia? Si sentiva come ubriaca e stanca e malata... «Voglio vedere il mio Justin...».

«Lo so, tesoro, lo so. Un giorno lo vedrai. Quando morirai. Ma questo non avverrà per ancora tanto, tanto tempo. Il Carnaro si prenderà cura di te, vedrai. La medicina ti farà stare meglio».

«Kelley? Kelley?»

«Shhh... Kelley dorme, tesoro. Anche tu dovresti dormire. Ti sentirai molto meglio domattina».

Le urla fuori della prigione erano ricominciate; Maureen gridava a pieni polmoni che aveva paura e chiedeva che la facessero uscire da li... ma questa volta le parole erano diverse. Terrorizzate... «Ti prego!

Farò tutto ciò che vuoi! Ti prego!», altre urla. «Ti prego! Non lo dirò a nessuno. TI PREGO!».

La madre di Heather la baciò sulla fronte, le carezzò una guancia con una mano; morbida, dolce.

«Ti prego! ti prego, non...». Crack. E le urla cessarono di colpo.

Il silenzio che seguì fu stupendo; bellissimo, ricco, scuro... come cioccolato fondente.

Così bello che Heather non fece neanche caso ai colpi di mannaia che cominciarono a sentirsi poco dopo.

Il pub era pieno di agenti fuori servizio e di studenti, gli uni e gli altri attratti qui dal basso prezzo della birra.

Logan era seduto al tavolo solitamente occupato dall'ispettore Steel – nell'angolo, sotto il televisore – a sorseggiare la sua prima pinta della serata e godendosene ogni sorso.

«Ma se ci pensi», disse Rennie, vestito inspiegabilmente in un sobrio abito scuro, con tanto di colletto sacerdotale, «la domanda viene spontanea. Come mai ogni volta che il Carnaro mette a segno uno dei suoi colpi il nostro cosiddetto dirigente generale Faulds è introvabile?».

Logan aggiunse il suo bicchiere vuoto ai tanti altri che coprivano il tavolino. «Ancora lo stesso disco, eh?»

«E allora mi dica; dov'è stasera?»

«Come credi che io lo sappia!».

«Ecco, allora. Come volevasi dimostrare!», Rennie scolò la sua Stella Artois e aggiunse il bicchiere agli altri.

Logan scosse la testa. «Se è per questo non so neanche dove sia l'ispettore Steel, ma questo non fa di lei Jack lo Squartatore!», indicò i bicchieri vuoti. «Tocca a te», disse.

L'agente si alzò, assunse una posa ecclesiastica, lasciò la sua ragazza e si diresse verso il bar, elargendo benedizioni a dritta e a manca. Rennie non aveva esagerato affatto quando aveva descritto l'uniforme scolastica di Laura – sembrava un'esatta replica di un'alunna della famosa Albyn School di Aberdeen, con la differenza che si era legata i lembi della camicetta sotto i seni rigogliosi, spingendoli in su e creando una spaccatura vertiginosa, oltre a mostrare una vasta area di pelle stomacale. La minigonna poi era così mini che ad ogni movimento delle gambe le si vedevano le mutandine bianche; si era pettinata i capelli in due lunghe trecce bionde e si era persino dipinta delle lentiggini sulle guance.

Logan non era mai stato attratto dalle fantasie sessuali sulle scolarette – gli erano sempre sembrate cose da pedofilo – ma gli altri uomini al tavolo non smettevano di ridere alle spiritosaggini della formosa ragazza di Rennie, mentre al tempo stesso le guardavano le tette.

E quindi quando il suo cellulare squillò Logan riuscì a malapena a sentirlo.

«Sì, qui è Logan McRae?», disse. Ma con tutto il testosterone che permeava l'aria, e il ridere, e il parlare, non riuscì a capire una parola. «Un attimo, che esco fuori...».

L'ingresso dell'Archibald Simpson's era protetto da un portico di granito, sostenuto da delle enormi colonne ioniche, un piccolo e perfetto paradiso per i fumatori che non potendo fumare dentro, erano costretti a uscire fuori per avvelenarsi i polmoni. Logan si fece strada tra le nuvole di fumo e si avvicinò all'orlo del portico, nella sera fredda e piovosa.

Era Colin Miller. «Sei di nuovo al pub? Dio solo sa come soffre il tuo fegato... Comunque, ascolta. Ho fatto una ricerca su tutte le vittime, OK? Non solo quelle di Aberdeen, ma su ogni vittima del Carnaro. E ho scoperto che circa tre o quattro settimane prima di morire ognuna di esse era stata oggetto di un articolo in qualche giornale. Con una regolarità simile a quella di un orologio».

«Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo. Ognuna di loro. E questo dato sarà la base del mio articolo di prima pagina di domani. "La notorietà causa la morte alle vittime del Carnaro!". Continua alle pagine sette, otto e nove».

«Mi potresti mandare una e-mail con i riscontri che hai trovato?» «Chi credi che io sia, la tua segretaria?»

«Dai, Colin... non avresti niente da scrivere se io non ti avessi dato...».

«OK, OK... non cominciare a fare la primadonna...». Ma promise di mandargliela subito. «A proposito, spero che tu non abbia dimenticato che sei in debito per una cena all'indiana. Questa settimana, OK?»

«Quale ristorante preferisci, il Khyber Pass oppure il Light of Bengal?». Stavano ancora discutendo se consumare il pasto al ristorante o se optare per la cena da asporto, quando qualcuno diede una spintarella a Logan. «In nome del cielo, fatti in là... mi sto infradiciando d'acqua!».

L'ispettore Steel gli si mise accanto; si passò le mani nei capelli bagnati, scuotendo l'acqua sui pantaloni di Logan, mentre lui salutava Colin e riattaccava.

«Ehi, non mi faccia la doccia!».

«Oh, piantala di fare il piagnone...», si diede un'ultima passata nei capelli, – lasciandoli stranamente in ordine, cosa insolita – poi tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla giacca bagnata e ne accese una. «E come mai hai un aspetto così allegro? Qualcuno ti ha dato una lucidata al manganello, non so se mi spiego?»

«Ho trovato un nesso».

«Sono stata dal dottore; ho fatto quattro ore di sala d'aspetto! Hai idea di quante persone si stiano facendo testare per l'HIV e per l'epatite C? Migliaia! Servizio sanitario del cazzo!».

«Perché non è andata dal medico della Centrale?»

«Non permetterò a quel bastardo di venirmi vicino con un ago in mano. Mi piaceva il dottor Wilson», aspirò e fece una smorfia.

«Sarà stato uno stronzo malato di cancro, ma almeno gli potevi raccontare una barzelletta sconcia!».

Che probabilmente non era l'epitaffio che il dottor Wilson, il fu medico della Centrale, avrebbe sperato di ricevere. «Non solo, ma... ehi, quale nesso?».

Logan le disse degli articoli che erano apparsi prima della morte delle vittime del Carnaro.

«Cazzo!», la Steel si tolse la sigaretta di bocca, lo prese per le spalle e gli piantò un bacione alla nicotina sulle labbra. «Laz, ti amo! Chiama la Centrale e diglielo; e poi torna dentro e io ti pago un doppio!».

Logan telefonò e diede le disposizioni del caso, e quando ebbe finito la Steel lo stava aspettando con un doppio Highland Park. «E allora?», chiese porgendogli il bicchiere. «Cosa hanno...», smise di parlare, guardando la ragazza di Rennie, mentre l'agente pronunciava il clou della barzelletta sconcia che stava raccontando. Laura tirò indietro la testa ridendo, esponendo la morbida e liscia pelle dalla gola fino ai seni, facendoli tremolare mentre rideva.

«OOOOOh», disse la Steel. «Sono sicura che è qualcosa di illegale». Per un attimo sembrò persa in qualche ricordo, ma si riprese subito. «Bene, comunque sia, diamoci da fare. Non possiamo passare l'intera serata a osservare il torso di nubili fanciulle: dobbiamo finire quello che abbiamo da bere!».

La casa delle anime morte
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