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Aver Paura d’Innamorarsi Troppo

LUCIO BATTISTI

– Dentelli&Associati, sono Rocco, in cosa posso aiutarla?

– Sono zia Irvana.

– Zia Irvana, scusi. Non l’ho più chiamata.

– Me ne sono accorta. Puoi parlare?

– Sì, sono solo.

– Allora raccontami, che sono curiosa. E continua a darmi del tu.

– Parlo sottovoce, perché non vorrei che mi sentisse qualcuno.

– Sì, però parla.

– Va bene. In effetti, le cose stanno succedendo da sole.

– Cioè state insieme?

– Cioè non so. Però c’è stato di nuovo qualcosa.

– Bene, bene. E vi vedete spesso?

– In realtà ci siamo rivisti solo un’altra volta. Prima che scoppiasse il casino.

– Che casino?

– Lui ha detto a Viola del bacio e lei è scappata di casa.

– La solita donna stronza. Però, forse è meglio se mi racconti tutto di persona o mi telefoni da casa. Non vorrei crearti problemi sul lavoro.

Prima di chiudere, zia Irvana gli raccomandò di stare dietro a CarloG: era preoccupata nel vederlo sentimentalmente irrequieto e instabile. Chissà che l’ondata romantica del suo migliore amico non potesse contagiare anche lui.

Dopo aver messo giù, Rocco sorrise ancora un po’ pensando a zia Irvana. A quando gli aveva confidato del suo ritorno ormonale, a cinquantacinque anni. D’improvviso si sentì in colpa nei confronti degli amici. Non aveva chiamato né CarloG né Marina per condividere con loro la nuova esperienza. Perché un po’ era imbarazzato – gli amici pretendono informazioni esatte, e subito – un po’ scaramantico. Per cui aveva preferito aspettare che un nuovo incontro gli desse conferma di quello che stava succedendo. La telefonata ricevuta dopo il match Daniele-Viola l’aveva tranquillizzato, mi chiama quindi ci tiene. Il rischio di un ripensamento era tuttavia ancora possibile.

Telefonò a Daniele, l’ansia della conferma, ma scelse un momento poco opportuno. Una di quelle chiamate che cominciano con “dimmi” e se non hai nulla di sensato da chiedere sei fregato. L’account supervisor era esagitato. Gli era appena stato detto che sarebbe andato in Australia a seguire lo spot di Sweetie. Alla fine, non solo il cliente aveva scelto la strada più nuova, ma anche quella più bella da realizzare:Natale ad Ayers Rock. Un’idea che stravolgeva l’ingrediente base di molti spot del settore: la famiglia unita davanti al dolce di Natale. Per coprire una nicchia sempre maggiore di consumatori single, Roxanne aveva quindi suggerito un trenta secondi alternativo molto spettacolare. Protagonista una modella aborigena, che sale in cima al monolito più famoso d’Australia per gustare in pace il sapore unico di Sweetie. Ancora una volta, aveva avuto ragione lei – l’intuito, la forma più primitiva del talento – e a beneficiarne era stato anche Daniele. Sarebbe stato spedito sul set per accompagnare il signor cliente. L’importanza della notizia era tale che era passato tutto in secondo piano, come Rocco poté verificare perfettamente.

– Volevo solo sapere come stavi.

– Ti avevo detto che ti avrei chiamato io.

– Lo so, ma ero in pensiero per Viola.

– È tornata. Quindi, tutto a posto.

– Non mi sembri così contento.

– Lo sono, invece. È che mi becchi in un momento di casini in ufficio. Mi mandano in Australia per seguire uno spot.

– Quello delcheesecake?

– Sì.

– Quanto starai via?

– Almeno una settimana.

– E quando parti?

– Tra un paio di giorni, forse tre. Dipende dai voli.

– Riusciremo a vederci prima?

Daniele stava per rispondere male, la cicatrice sempre più scura, ma riuscì a trattenersi.

– Penso di sì. Domani disdico l’ora di tennis con Rubens e ci andiamo a mangiare qualcosa. O preferisci giocare?

– Meglio mangiare e parlare.

– Perfetto. Ti saluto, devo andare, mi fanno dei cenni strani. Ti chiamo poi.

Puntuali come in ogni avvio di storia, i primi dubbi s’insinuarono nella testa di Rocco. Ripassò nella memoria tutta la telefonata, ma non riscontrò nessuna vera anomalia. Il tono era un po’ distaccato, è vero, ma in ufficio poteva succedere. Era invece quel finale frettoloso a lasciarlo perplesso. Sapeva che dipendeva dal nuovocheesecake, ma non si sentiva tranquillo. Fu tentato di richiamare – l’ansia della conferma – ma non avrebbe sopportato un secondo “dimmi”. Ci pensò tutta la sera, guardando il telefono muto e impassibile. Quando finalmente suonò, rispose con il cuore in gola.

Era sua madre, che voleva sapere come stava. In quel momento la odiò a morte.

Daniele chiamò il mattino dopo, prima di andare in agenzia. Rocco aveva dormito tutta la notte di fianco a cordless e telefonino accesi. Ogni tanto apriva gli occhi per vedere se c’erano avvisi di chiamata. E puntualmente li richiudeva.

Quando ormai era concentrato sul consueto brufolo in alto a destra, il telefono tuonò nella sua piccola casa. L’apparecchio si sforzò di emettere il secondo squillo, ma non ce la fece. Il “pronto” ansioso di Rocco lo zittì bruscamente.

– Che cos’è questa voce? Stavi uscendo?

– Daniele, sei tu. Pensavo mi chiamassi ieri sera.

– Non ce l’ho fatta. Sono tornato tardi e ho parlato con Viola fino alle tre passate. Stasera ti racconto. A proposito: dove ci vediamo?

In un attimo, Rocco dimenticò tutti i dubbi e gongolò davanti allo specchio.

– Perché non vieni a cena da me? Così vedi dove abito.

– E vada. Facciamo alle nove, Mr Becker? Preferirei passare da casa prima.

– Questo significa che lo dirai a Viola?

– Questo significa che Viola lo sa già.

Dopo una dichiarazione simile, la chiamata procedette in modo meccanico e un po’ formale: dimmi l’indirizzo esatto, a chi devo citofonare, preferisci vino bianco o rosso, bla bla.

Rocco era sempre più sorpreso delle proprie reazioni. Per quanto fosse tutto nuovo e un po’ tabù per lui, era già geloso di Viola. Lei, la sua preda iniziale. Lolita presa e dimenticata. Ora la temeva. Era più forte di quanto credesse. Un angelo con le ali d’acciaio.

Si vestì turbato. Ma il frigo deserto lo riportò a una realtà con diritto di precedenza: la cena di quella sera. Arrivato in ufficio, si fiondò subito dalla segretaria personale del dottor Manzoni. Una signorina Rottermeier triste, sola, acida e servizievole. Senza marito, senza nipoti di cui parlare. Però bravissima in cucina, come tutte le colleghe della Dentelli&Associati potevano testimoniare. Gli suggerì piatti semplici e colorati: salmone in salsa all’aneto, penne con zucchine e gamberi, insalata di mele e noci. Rocco prendeva appunti frettolosi. Il dottor Manzoni poteva arrivare da un momento all’altro. Eccolo, infatti.

– Cosa fa qui, dottore? Vuole sedurre la mia segretaria?

– Buongiorno, dottor Manzoni. Ecco... veramente, mi stava spiegando come accedere al nostro archivio fotografico. Vado a prenderle il nuovo editoriale e la raggiungo subito.

– Vedo che si sta svegliando, dottore. Bene, bene. Avanti così.

Rocco piegò con disinvoltura le ricette, ringraziò con lo sguardo la Rottermeier e tornò rapidamente in ufficio. Il dottor Manzoni sembrava di buonumore, l’autunno che filtrava dalle finestre regalava colori forti. Usò la pausa pranzo per fare la spesa al supermercato: oltre alla lista già decisa, si scatenò negli antipasti del reparto gastronomia. Si accorse di aver esagerato solo quando arrivò alla cassa. Diede tutta la colpa alle mousse di tonno in gelatina.

Quel pomeriggio scrisse ogni articolo alla velocità della luce. Fu concentrato, concreto, diretto, originale. Uno di quei giorni in cui ti riesce tutto e pensi di poter ambire alla carriera. Alle sei in punto uscì. Aveva tre ore di tempo per preparare e prepararsi. Alle otto era già tutto finito: tavolo a lume di candela, piatti decorati di olive e mozzarelle, vino rosso e buono, profumi nell’aria. Unica assente, una grande nemica: la rucola. L’invitata più presenzialista delle ultime cene cui era andato.

Anche se era già pronto, trascorse l’ultima ora ad assistere alla lite furibonda tra il gel e i suoi capelli, i ricci irrequieti. Per darsi una calmata, chiamò Marina. Si scusò per non essersi fatto sentire prima e lei cominciò la sua solita predica noiosa. Ma il citofono non le permise di continuare.

Bye-bye, baby.

Mentre Daniele saliva, Rocco si diede l’ultima benedizione allo specchio. Per migliorare l’atmosfera, aveva perfino creato un certo disordine nel soggiorno, che faceva tanto “scusa-sai-ma-sono-appena-rientrato”.

Le luci erano basse, forse troppo, Michael Nyman dava lezioni di piano. Si abbracciarono come nei film americani, ma durò poco. Posata la giacca e il vino, Daniele cominciò a scrutare la casa del suo agitatissimo ospite. Rocco lo spiava con la coda dell’occhio – guarda cosa guarda, lo conoscerai meglio – e ogni tanto interveniva con frasi di circostanza.

Era una casa vera. A Daniele piacque un sacco, ma non lo disse. L’atmosfera romantica della tavola lo metteva a disagio, così cercò di rendere tutto più leggero, a rischio di sembrare invadente. Alzò le luci e cambiò musica. Mise i Motel Connection. La serata cambiò ritmo e colore. Rocco si rese conto di aver esagerato nei preparativi, ma ormai era fatta. Sapevano entrambi di doversi parlare in modo più serio. Per ora, tuttavia, andava bene latitare nel cazzeggio.

Dopo il salmone erano già pieni. Rocco stava scolando la pasta, quando Daniele si alzò e lo raggiunse. Un raptus, quasi. Buttati ora, o mai più. Cominciarono i baci. Se ne diedero mille, poi cento, poi mille ancora, i baci della confidenza. Catullo sarebbe stato fiero di loro. Però questa volta le mani non stettero ferme.

Si spogliarono con la foga di una passione incontenibile. Quando si ritrovarono nudi, ebbero un momento di smarrimento. Non gli era mai capitato di trovarsi di fronte un corpo speculare e non opposto al proprio. Si rifugiarono di nuovo nei baci. Nel contatto dei corpi, l’eccitazione tornò alle stelle. Si accarezzarono senza limiti né inibizioni né fretta. Ebbero un orgasmo poetico: un piacere non violento, ma intenso e sottile.

Finito l’effetto, arrivò la botta. Si ritrovarono soli con la loro confusione. Il disordine che avevano seminato li aiutò a distrarsi. Un calzino era finito sul tavolo, una canottiera non della salute faceva compagnia al televisore. I jeans intrecciati sotto le gambe del tavolo. Ma il viaggio più lungo l’aveva fatto uno slip: direttamente sul sugo di zucchine e gamberetti che nessuno avrebbe assaggiato mai. Povera signorina Rottermeier.

IlCD era finito. Il silenzio rimbombava in tutta la casa. L’aria si era come materializzata, la realtà irreale diventava tangibile. Si rifugiarono in bagno a turno. Per rompere gli imbarazzi – cosa abbiamo fatto e perché – i Motel Connection concedettero il bis. Si accovacciarono tutti e due sul divano, increduli e spossati.

– Vuoi mangiare ancora qualcosa?

– No. Anzi, sì.

– Scaldo la pasta, anzi, no, la faccio di nuovo. O preferisci qualcos’altro?

Rocco cercò di rendersi immediatamente operativo. Rovistava nel frigo come se stesse cercando le chiavi di casa.

– Ho voglia di qualcosa di dolce.

– Tiramisù o avanzo di Viennetta al caffè?

– Il tiramisù è perfetto.

Rocco ne fece due porzioni – siamo in due, siamo solo noi due – mentre Daniele si mise i jeans senza maglietta. Per un attimo gli era venuta una gran voglia di fuggire, ma la depressionepost coitum durò solo pochi secondi. Stettero lì, vicini, senza parole. Quando parlavano, non andavano al di là di “buono-questo-tiramisù-di-che-marca-è”?

Finito il dessert, Rocco si avvicinò a passi leggeri e diede a Daniele una pacca sulla spalla, la mano senza intenzioni. Lui reagì con un sorriso a occhi bassi.

– Adesso parlami di Viola. Vuoi?

– Sì, non sarebbe giusto evitarla, stasera.

Daniele stette un attimo a riflettere, quasi che i suoi pensieri avessero bisogno di molto tempo, prima di prendere forma. In realtà non voleva pensarli affatto – vivere, non pensare – ma sentiva che almeno una volta sarebbe stato necessario, anche se di sfuggita.

– Vedi, quando le ho raccontato cosa era successo, ho pensato veramente di perderla. Era il ritratto della disperazione. Poi ci ha dormito su ed è riuscita a rielaborare tutto con una velocità disarmante. È stata fantastica.

Rocco si sentì sollevato, non dire altro ti prego, ma solo fino a un certo punto.

– Son contento.

– Anch’io. Lei è troppo importante per me.

Calò triste il silenzio.

– E io?

– Tu sei la curiosità. Il gioco proibito. La cosa che non ti sarebbe mai venuta in mente. Ed è affascinante che sia un’esperienza nuova anche per te.

Daniele scuoteva la testa e quasi gli veniva da ridere. Non voleva sapere dove stava andando, era solo sorpreso dal nuovo viaggio. Rocco era molto più serio.

– Come la prenderà Viola se continueremo a vederci?

– Ci siamo scritti e ne abbiamo parlato a lungo. Mi ha detto che avrebbe provato ad accettarlo. Che questa specie di condivisione poteva valere un tentativo.

– Quindi?

– Quindi ora dipende tutto da te.

Fu Rocco ad abbassare la testa, stavolta. Faceva cenno di sì. Se ne fregava di tutti i “che-cazzo-stai-facendo” alle sue orecchie. Era l’ultimo appello per la follia, quello. Poi ci sarebbe stato posto solo per il lavoro, una moglie laureata o quasi, uno o due bambini a seconda degli stipendi, tanto Blockbuster e un viaggio organizzato con sette giorni di tour e sette giorni di mare.

Non ci stava capendo niente. Però aveva ancora il coraggio, o la sfrontatezza, delle proprie pulsioni: si sedette a cavalcioni sulle gambe di Daniele e gli diede ancora un bacio. Durò tantissimo, senza diventare mai un esplicito richiamo sessuale. Era la firma di un patto non scritto, insicuro quanto insolito, eccitante quanto pericoloso.

Il break australiano di Daniele li avrebbe probabilmente aiutati a comprendere l’accaduto. Dieci giorni sembravano tanti. Ma dopo un bacio così, Rocco capì all’istante lo spirito che per tutti quegli anni mosse Penelope ad aspettare Ulisse.