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Together Again
JANET JACKSON
– Dentelli&Associati, sono Rocco, in che cosa posso aiutarla?
– Si può sapere dove sei stato ieri sera?
– Ciaooo. Quando sei tornata?
– Non fare il premuroso adesso, che hai avuto due giorni per chiamarmi e te ne sei altamente fregato.
– Comunque ieri sono andato al cinema.
– Al cinema?
– Sì, con un’amica.
– Amica o amichetta?
– Amica. Potenziale amichetta. Felicemente fidanzata. Simpatica. Divertente.
– Vado via una settimana e succedono gli eventi.
– Marina, tu vai via una settimana ogni tre.
– Non è colpa mia se ho un sacco di ferie arretrate.
– Di vacanze.
– Sì, di ferie.
– Vabbè. Mi inviti a cena stasera?
– Dài, così ti racconto del mio fidanzato tedesco di Mykonos: il mitico Thorsten.
– Sei sempre la stessa.
– No, è che sono sempre in ferie.
– In vacanza.
– Ma perché ripeti quello che dico? Ora vado che è arrivato un cliente. Ti aspetto dalle otto in poi.
– Ciao ciao.
– A dopo.
Marina era stata compagna di Rocco molto prima di CarloG. Per la precisione, dalle elementari in su. E Rocco aveva seguito le prese in giro sulle sue tette in ogni periodo dello sviluppo. In effetti, le tette grandi non sono proprio facili da portare. Se le nascondi ti cadono. Se le metti in mostra ti danno della zoccola. E se provi a fartele ridurre scopri che non te lo puoi permettere. Più facile il processo inverso. Pamela Anderson docet.
Dopo aver sopportato anni di battute idiote, Marina decise di ribellarsi. Avvenne intorno alla quarta liceo. Imparò a essere sorda alle cattiverie gratuite, a riderne anche lei. E scoprì una forma di seduzione che non aveva mai preso in considerazione: la sua voce. Ruvida come il tedesco doc ma con le stesse, inattese potenzialità: capace di emettere i suoni più dolci e le vibrazioni più calde, i velluti. Cominciò così per diletto a fare la speaker in una piccola radio locale. La musica dei teen-ager trasmessa da una teen-ager. Il programma, in onda la domenica pomeriggio, era seguito praticamente solo dal suo liceo. Quanto bastò, comunque, per far impennare immediatamente la popolarità di Marina, soprattutto tra i ragazzi. Cominciarono i primi appuntamenti e le prime sicurezze. E, soprattutto, cominciarono a toccarle le tette. Il fenomeno continuò anche durante l’università. Dopo la laurea in Economia, passò cinque test e pile di colloqui per finire in una banca, a seguire i mutui di chi acquista la prima casa. Per lei che non voleva avere radici, i suoi clienti erano la categoria peggiore: coppiette coccolate dai risparmi dei genitori, che fanno il mutuo solo per poter comprare mobili di prima scelta. Ma spesso le capitavano anche i single squattrinati – meno ambizioni e più sogni – che cercava di agevolare in ogni modo. Lo sapeva di essere un po’ sprecata, lì. Ma i vantaggi della piccola impiegata erano tanti: orario di sette ore e trenta spaccate – mi dispiace per la vostra casa, signori, ma l’ufficio chiude – quindici mensilità, premi vari e vacanze in ogni periodo dell’anno, previa autorizzazione scritta del direttore.
Quando usciva, c’era ancora la sua radio ad attenderla, almeno due sere a settimana, anche se nessuno dei colleghi ne era a conoscenza. Ora aveva cambiato frequenze e programma. Teneva una rubrica tutta sua, Pink Link in FM, rivolta ai nottambuli che avevano voglia di curiosità e pettegolezzi. In realtà, la maggior parte delle storie che raccontava erano opera della sua fantasia. Tanto, diceva, in questo settore nessuna voce era veramente attendibile. Meglio quindi spararle più grosse. Un’impiegata dalla doppia vita, insomma. Regolare e bastarda, competente e inaffidabile.
Uscita dall’ufficio, fece un giro anche quel giorno con le sue migliori amiche del pomeriggio: le vetrine. Si lasciò impapocchiare da una commessa più abile delle altre – i negozianti la chiamavano “la parruccona”, per via della sua chioma esplosiva, ma lei non lo sapeva – e si concesse un paio di scarpe che avrebbe messo solo tre volte. Dopo essere passata dal solito fruttivendolo, s’impantofolò a casa nell’attesa di Rocco.
Din don.
– Marina, sono CarloG. Posso farti un’intervista?
– Certo che puoi, tesoro. Sali.
Lo accolse in slip e T-shirt, la mise di una sorella, i capelli impazziti dietro un nastro rosa confetto.
– Madonna che abbronzata...
– Anche tu mi piaci con questa camicia a fiori. Fa molto Sanremo.
– Fa molto che non ne avevo un’altra pulita.
– Sai che stavo aspettando Rocco? Mi deve parlare d’ammore.
– “Ci” deve parlare d’ammore. Perché voglio sapere tutto anch’io di questa qua del treno.
E così, come due vecchie amiche, cominciarono a fare supposizioni sulla love story del loro amato compagno di banco. Rocco, Marina e CarloG erano un trio talmente affiatato al liceo da risultare a prima vista insopportabile: troppo uniti e troppo simili, gli uguali s’incontrano sempre, dicevano. Marina era la regina, CarloG e Rocco i suoi vassalli. Non era tuttavia mai esistito regno dove si volessero così bene.
Quando Rocco arrivò, gli altri due erano sulla moquette del salotto circondati da lattine di birra vuote e posacenere sovraccarichi. Ridevano davanti al PC dopo aver simulato l’ennesima intervista sul whisky. Anche Marina, ovviamente – ti prego, dài, ci conosciamo da tanto tempo – era una “Frequent Interviewed” di CarloG. Povero Glen Grant.
Rocco posò la sua borsa da ufficio, si tolse le scarpe e aprì subito una lattina. Cercò di recuperare il livello alcolico, ma gli altri erano troppo distanti.
Dopo aver riconquistato un po’ di lucidità, Marina cominciò a preparare il suo cavallo di battaglia per cena: riso pilaf, pollo grigliato e verdure. Da quando aveva scoperto quella ricetta, la riciclava ogni volta – in fondo aveva un costante bisogno di conferme, Marina – cambiando solo la verza con il cavolo bollito.
– Allora, Rocco, ci vuoi raccontare di questa ragazza?
CarloG ruppe il ghiaccio, dal basso del pavimento. Rocco stette un attimo in silenzio, chiedendosi se fosse già il caso di una confessione. Ma le facce dei suoi spettatori non lasciavano vie d’uscita. Così raccontò dell’incontro in treno a Pisa, dei croissant col cappuccino, del bacio davanti a DiCaprio – non della lingua nell’orecchio – dell’invito a cena da parte di Daniele e della pizza senza dopo pizza. Sotto il piacevole effetto della birra, Marina e CarloG suggerivano strategie strampalate. Diede più per il piacere di dire che di risolvere. Rocco un po’ li ascoltava, un po’ rideva con loro. Era, quello, un rituale che si ripeteva in ogni loro storia d’amore o di presunto tale.
– Adesso parlaci di Thorsten.
Rocco provò a spostare l’asse della conversazione. Lo chiese per gentilezza, nel gioco dell’amicizia si parla, ma soprattutto si chiede. Marina prese tempo adagiando sulla moquette i piatti fumanti.
– Be’, fisicamente sarebbe piaciuto molto a CarloG: rasato, addome a quadretti e sorriso Kinder. Solo un po’ stupido.
– Almeno te l’ha trovato il punto G?
– Macché. Secondo me non ce l’ho.
CarloG la guardò perplesso.
– È evidente che non ce l’hai, per una ragione molto semplice: il punto G non esiste. È un UFO ginecologico, te lo dico io.
– E chi sarebbe la fonte? Tua zia?
– “Medical Insurance” dello scorso agosto. Se vuoi te lo presto.
Rocco cominciò a ridere. CarloG gli andò dietro quando lo interruppe – che palle, proprio adesso – il suo telefonino.
– Zia Irvana, eccola qua. Che succede?
– Sono rimasta fuori, cazzo.
– Ed è colpa mia?
– Dimmi che sono una cogliona.
– Sei una cogliona.
– FECAVO PER DIRE. Ho tirato la porta e ho lasciato le chiavi dentro. Come faccio adesso, eh?
– Vuoi stare calma? Non muoverti che arrivo.
Zia Irvana era una priorità nella vita di CarloG. Di fatto, lo aveva cresciuto lei. Suo padre era scappato di casa quando era ancora piccolo. Sua madre si era risposata e aveva fatto altri figli. Carlo, purtroppo, rappresentava un passato che lei non amava ricordare: la mamma che dimentica i figli, catastrofe naturale rara, ma non impossibile. Così, a quattordici anni, si era trasferito dalla zia, nonché sua madrina di battesimo e più giovane vedova della storia. Il marito le era morto d’infarto subito dopo il lancio del riso, davanti ad amici e parenti tutti, la morte inopportuna e stupida a volte succede.
Grazie a CarloG, Irvana dovette imparare a fare la mamma, anche se spesso il ruolo di zia prendeva il sopravvento. Quando lui le disse di essere gay, fu più dolce e comprensiva di Mary Poppins. Anzi, trovò in quello shock un motivo per smuovere la sua esistenza frustrata di casalinga con eredità. Approfondì ogni aspetto dell’argomento e venne eletta presidentessa ad honorem dell’associazione Equality, che rappresentava i genitori di figli omosessuali. Per lei esistevano solo due colori: il bianco e il nero. E applicava la loro dicotomia a tutti gli aspetti della vita. O eri IN o eri OUT, senza mezze misure. SÌ Almodóvar NO Wenders. SÌ marijuana NO cocaina. SÌ Mick Jagger NO Paul McCartney. SÌ Parigi NO Londra. SÌ Ollio NO Stanlio. SÌ gay NO straight. SÌ Irvine NO Schumacher. Poi però confessava che, di fatto, la sua passione per Irvine era solo per il cognome. L’avrebbe addirittura sposato, per potersi firmare un giorno “Irvana Irvine”.
Per quanto riguardava gli amici di suo nipote, invece, amava Marina e odiava Rocco. Le stava sul culo. A pelle. O forse ne era semplicemente gelosa. Lui lo sentiva – ci voleva poco, in realtà, a capirlo – e cercava di starle a distanza, anche quando non le era vicino fisicamente. Così evitò di chiedere a CarloG dettagli sull’attuale inconveniente, e lo salutò come se dovesse andare a un appuntamento qualunque.
Rimasto solo con Marina, Rocco lanciò timidamente un invito.
– Allora, mi accompagni tu alla cena? Ho paura di essere troppo imbarazzato con Daniele. Anche se in fondo io e Viola non abbiamo fatto niente, o quasi.
– Va bene. Ma perché non portiamo anche CarloG? Così se tu inizi a fare il provolone con Viola io so con chi parlare.
– Non vorrei sembrare invadente.
– Sei già stato invadente. Quindi, poche storie: andiamo tutti e tre. Ora vai che ho sonno. ’Ste birre mi hanno dato alla testa.
Rocco venne così amabilmente cacciato fuori, e i suoi dubbi con lui.
Marina chiuse la porta. Sul pavimento del suo salotto le apparve improvvisamente la Normandia dopo lo sbarco.