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You’ve Got a Friend

CAROLE KING

Roxanne abitava in un residence per gente ricca. Sul citofono non c’erano scritti i cognomi, ma le iniziali o i numeri. Daniele arrivò alle nove spaccate. Citofonò e attese. Roxanne si presentò come non l’aveva vista mai. Sorridente. Abito lungo a fiori, cappottino di lapin e doccia di profumo alle rose. Senza piercing al naso era quasi irriconoscibile. Dopo due baci sonanti, salì in macchina facendo la spiritosa.

Daniele era sempre più sorpreso, ma non lasciò trasparire nulla, vivere non pensare. Chiese a Roxanne la strada più breve per il ristorante e le obbedì passivo. Il nuovo giapponese in città si chiamava Nobu: l’ennesimo tentativo d’interpretazione dell’“Oriente fashion”. Roxanne, ormai, era cliente abituale. Il maître l’accolse con il tappeto rosso, conducendola personalmente al tavolo riservato. Più che un tavolo, un aspirante tavolo: basso, con posti a sedere scavati nel legno e posture quasi obbligate da Paolina Bonaparte. Prima di mettersi a sedere, dovettero togliersi le scarpe. Un momento di panico prese Daniele. Il possibile buco nel gambaletto lo avrebbe marchiato per il resto della serata. Gli andò bene. Una scritta oro “filo di Scozia” campeggiava sotto la pianta del suo piede. In quel momento fu molto fiero di sé.

– Preferisci sushi o sashimi?

– Sushi, decisamente sushi.

– Anch’io.

– Roxanne?

– Sì?

– Cos’è il sashimi?

– È come il sushi, ma senza riso.

– Allora sushi.

– Ma perché non me l’hai chiesto?

– Non volevo irritarti.

Roxanne lo guardò come se avesse avuto una rivelazione, un momento di lucidità in cui il mondo sembra spiegabile in una frase breve, semplice, che nessuno aveva mai detto ma stava lì, alla portata di tutti.

– Sai che sei strano? Chi pensi che io sia, una terrorista?

– Stasera no. Ma se ti posso fare una confidenza, a volte fai davvero paura.

– Non esagerare. Non sono cattiva. È che mi disegnano così.

Daniele rise, e fu una risata abbastanza sincera.

– Devo dire che un po’ ci assomigli, a Jessica Rabbit.

– Grazie.

– Vino o birra?

– Decidi tu.

– Allora vino. Bianco.

– Bene, così beviamo alla nostra nuova campagna.

Daniele rimase in dubbio se parlare o no.

– Perché non lo dedichiamo a noi, il brindisi?

– Mi sembra una valida alternativa.

– A questa serata, allora.

Roxanne avvicinò il bicchiere a quello di Daniele, ma senza toccarlo, la classe dissimulata.

Santé. Non avrei mai detto che tu fossi così intraprendente. Mi piaci.

– Mai sottovalutare i sottoposti.

– Mai.

Daniele non sapeva bene come comportarsi. Cercò di essere naturale. Roxanne sembrava particolarmente ricettiva e disponibile. Dopo un paio di bicchieri – bevi, bevi e tutto sarà più facile – si sentirono davvero seduti allo stesso tavolo. Daniele osò più di quanto potesse immaginare.

– Ti sei mai chiesta come sarebbe la tua vita senza l’advertising?

– Puoi ripetere?

– No... dicevo... ti sei mai chiesta cosa avresti fatto se non fossi stata un direttore creativo?

La domanda più impensabile mai udita da Roxanne, la più vietata dal protocollo. Gli occhi ebbero un momento di ribellione.

– Boh. Se posso dirtelo sinceramente, non so come sarei stata senza pubblicità. Probabilmente anonima, triste e senza soldi.

– Ne sei sicura?

– No. Ma il mio lavoro è l’unica certezza che ho. È tutto per me: io non ho più una famiglia. O meglio, ce l’ho ma non mi vuole più. L’unica storia che ho avuto è stata con un musicista, un paio di anni fa. Stava con me solo per i soldi. Quando mi sono accorta che me li fregava dal conto, l’ho mandato a stendere. E da allora non ne ho più voluto sapere.

Daniele prese tempo aggiungendo del rafano alla sua salsa di soia.

– Mi dispiace. Ma non pensi che nella vita ci sia anche altro?

– Tipo?

– Non so, i viaggi, i weekend, gli amici.

Roxanne prese un pezzo di tonno e lo inzuppò nella ciotola non sua, invasione di campo per dominare l’imbarazzo, ma guarda che domande mi fa questo stasera.

– Io faccio un sacco di viaggi. Siamo appena andati in Australia. Per la nuova produzione magari scegliamo una location in Sudafrica. E poi ho un sacco di amici in tutto il mondo: fotografi, modelle, registi... Cosa vuoi di più?

– Il lavoro non è tutto.

Roxanne si fece di colpo seria, le mani inchiodate al tavolo a tenere ferma la tovaglia.

– Originale come pensiero.

– Non volevo offenderti.

– Non mi hai offeso. Mi hai solo detto quello che pensi, e un po’ mi fa male.

– Perché?

Roxanne ordinò un’altra bottiglia dello stesso vino, finirà prima o poi.

– Perché è fottutamente vero. Ma non ci posso fare niente. Come ti sembra questo sushi?

– Ottimo.

Anche Viola, nel frattempo, stava gustando la sua cena. Nello specifico, zuppa di ortiche preparata da Alice.

Voleva approfittare dell’assenza di Daniele per parlarle. Aveva deciso di aspettare qualche giorno, sperando che la sorella si rendesse conto da sola di quanto fosse scomoda la sua presenza. Invece la situazione stava peggiorando a vista d’occhio. Voleva andare sempre lei a fare la spesa. Ma solo per acquistare prodotti biologici. E cominciava a intervenire pesantemente nell’intimità tra Viola e Daniele. In soli tre giorni si era già intromessa in piccole discussioni, deliberando sulla disposizione dei mobili e su come vestirsi. Viola sentiva il dovere di fermarla.

– Sai, io ci ho pensato.

– A cosa?

– Al fatto che tu sia qui.

Alice sorrise, pronta al più puro dei complimenti.

– È bello, vero?

– Se ti piacciono gli incubi, è bello.

Ad Alice cadde il cucchiaio sul suo bis di zuppa alle ortiche.

– Cosa vorresti insinuare, che ti sono di peso?

Viola abbassò lo sguardo sul piatto, non guardarla o ti sentirai in colpa.

– E tutte le volte che sei venuta tu, allora? Che avrei dovuto dire?

Viola alzò la testa, incredula.

– Alice, io sono venuta a trovarti solo per qualche weekend.

– L’anno scorso ti sei fermata una settimana.

– Una settimana, appunto. Non due mesi. E se mai mi fosse venuto in mente di trasferirmi da te, te l’avrei detto. Non mi sarei presentata dietro la tua porta con la mia casa appresso.

Alice si alzò dal tavolo, inferocita. Lesa sul suo territorio di sorella maggiore.

– Okay, domani me ne vado.

– Alice, aspetta un attimo.

– Quello che dovevi dire l’hai già detto e in modo molto chiaro. Quindi basta. Buonanotte.

Viola la lasciò andare senza provare a fermarla. Era incazzatissima. Buttò con piacere gli avanzi di zuppa alle ortiche e andò a dormire senza dirle una parola.

Daniele e Roxanne – Davide e Golia – erano intanto arrivati al gelato al tè verde.

– Che ne dici se caffè e amaro ce li prendiamo da me, anziché qui? Così vedi la casa di un direttore creativo.

– Comprato. Chiedo il conto a andiamo.

– Vuoi scherzare? Stasera sei mio ospite. Non ammetto discussioni.

Roxanne consegnò la sua carta di credito e firmò senza guardare la cifra. Sulla via del ritorno, Daniele accelerò più del solito. Si chiedeva se avesse fatto bene a sollevare tutte quelle domande personali. Forse aveva esagerato, forse se ne sarebbe pentito. Però le aveva in gola da più di un anno. E il microfono per dire certe cose passa una volta sola. Roxanne sembrava tranquilla. Aveva disteso lo schienale per stare più comoda e teneva i piedi sul cruscotto, piedi di pelle nera, carissimi. Dal finestrino abbassato entrava un’aria gelida. Quando arrivarono al residence, cominciò la sagra del telecomando: cancello, controcancello, ascensore e antifurto. Poi, finalmente, la casa: uno splendido appartamento a terrazza che dava su un campo da tennis in terra battuta. Poco più in là, una piscina.

– Giochi mai?

– No. Qualche volta faccio una nuotata, in estate.

Il suo megasoggiorno era l’edizione aggiornata del catalogo Bang & Olufsen. Dipinti delle ultime avanguardie facevano compagnia a grandi statue neoclassiche, qualche oggetto stonava per rendere il discorso meno monotono. Il pavimento era un inno all’antica Persia. In poche parole, una casa borghese con ambizioni “AD”. Roxanne aprì il frigo e stappò una bottiglia di Cristal.

– È il momento del secondo brindisi.

Roxanne riempì due calici. Ne porse uno a Daniele. Bevve tutto d’un fiato e si riempì nuovamente il bicchiere, bevi e tutto sarà più facile. Daniele sorrideva ma la teneva d’occhio, attento che la situazione non gli sfuggisse di mano. Si concentrò sull’argenteria, facendo domande di curiosità generale. Quando non sentì più risposte, Roxanne era alle sue spalle. Gli cinse la vita cominciando a baciargli i lobi delle orecchie. Daniele si ritrasse – che cazzo sta facendo – ma la presa era troppo forte.

– Su, non essere rigido. Dopo tutto quello che mi hai detto, non vorrai deludermi proprio adesso?

Daniele si tolse di dosso le braccia di lei. Lo fece con decisione e con garbo, come se alla situazione ci fosse ancora riparo.

– Hai bevuto troppo, Roxanne. Forse è meglio se ti sdrai un po’ di là.

Roxanne tornò a farsi sotto con i suoi tentacoli, dimenticandosi di tutti i divieti imposti dal protocollo.

– Sì, ma tu ti sdrai con me.

– Non posso. E poi sono fidanzato.

– Quindi mi stai dicendo di no?

– Sì. Ti sto dicendo di no. Stasera non mi sembra proprio il caso.

– Allora domani.

– Non è possibile neanche domani. Dormici sopra. Vedrai che ti sarà tutto più chiaro.

– Io posso aiutarti, se voglio. Lo sai?

Daniele cominciò a scuotere la testa.

– Non rovinare tutto, Roxanne. E smettila di bere.

– Allora muovi il tuo fantastico culo e vattene.

– Sei sicura?

– Non farmelo ripetere una seconda volta.

Daniele cercò ancora di calmarla, con le sue braccia rassicuranti. Venne respinto in malo modo da una forza nervosa e brutale.

Uscì chiudendo piano la porta, senza pensare a niente.

Roxanne si guardò intorno, sperduta nel suo regno. Nulla in quel momento sembrava le appartenesse davvero. Afferrò un vaso cinese che si era fatta spedire da Shangai, roba decisamente kitsch per chi non se ne intende. Lo sollevò. Lo tenne lì, sospeso, in balia del suo responso. Decise di graziarlo e lo rimise a terra.

Ma la seconda onda d’ira fu troppo forte per poter essere controllata. Gli tirò un calcio colpendolo in pieno. Si ruppe senza avere neanche il tempo di cadere, innocente, un vaso che aveva attraversato il mondo per morire lì. La gamba destra cominciò a sanguinare per i tagli, ma Roxanne non la sentiva neppure.

Andò in cucina e afferrò un coltello. Tornò di corsa nei suoi saloni. Si fermò davanti al suo quadro preferito: un incompiuto di Fernand Léger, appeso senza cornice. Cominciò a pugnalarlo. Lo fece tre volte, poi lasciò cadere a terra il coltello.

Entrò in camera da letto. La vide terribilmente deserta. Ripensò a Daniele e cominciò a imprecare. Una bestemmia dietro l’altra.

Le bestemmie divennero presto lacrime.

E altre lacrime. E altre ancora. Afferrò la boccetta del Lexotan che teneva sul comodino. Versò pazientemente tutte le gocce in un bicchiere da whisky. Lo posò per terra. Scrisse un biglietto e se lo infilò nel reggiseno. Poi si buttò sul letto. Riprese in mano il bicchiere. Lo guardò. Bevve.

Mentre sul cuore le battevano le parole della sua ultima headline: “Tutto è bene ciò che finisce”.