31

 

 

Lorenzo

 

 

Giovedì 2 Giugno 08:45 a.m.

 

Il continuo trillare del mio telefono mi scaraventa a calci fuori da un favoloso sonno.

Un po’ intontito schiudo gli occhi, godendomi la favolosa visione del corpo nudo della mia Bamby disteso a pancia sotto vicino a me, con le lenzuola azzurre che la celano a stento da metà sedere in giù.

Afferrando distrattamente il telefono per rispondere a chiunque osi rompermi durante la mia mattinata libera, scopro del tutto il favoloso corpo di colei che da nemmeno un giorno è la mia ragazza… diamine se mi fa strano! Soprattutto se consideriamo il piccolissimo dettaglio che io una ragazza vera e propria non l’ho mai avuta!

Mi chino per baciarle e leccarle quelle due natiche favolose invitanti come due metà di pesche succose. Mmm… chissà se Bamby ha della cioccolata in casa da poterci spalmare sopra?

«Pronto?» rispondo con le labbra premute sulla sua pelle vellutata, morbida e ancora calda di sonno.

«Lorenzo devi correre al lavoro.» mi ordina la voce tutta trafelata di Alex all’altro capo della linea.

Scatto a sedere come un giocattolo a molla. «Cosa è successo?» chiedo un po’ allarmato scendendo dal letto precipitandomi a vestirmi.

«Un incendio verso l’interno. Molte autopompe sono già lì, ma Paolo vuole tutti sul posto. A quanto pare è una cosa piuttosto grossa!»

Merda! «Dieci minuti e arrivo!» chiudo la conversazione infilandomi svelto i jeans.

«Cosa succede?» sento chiedermi da un’assonnata Bamby alle mie spalle.

Mi volto nuovamente verso di lei e come lo faccio posso sentire il mio cuore fermarsi non appena vedo quella visione celestiale. Nuda, con i capelli arruffati e lo sguardo assonnato. Se potessi non le farei lasciare questo letto per tutto il giorno! Ma devo correre via.

«Era Alex. C’è un incendio qua nelle vicinanze e dobbiamo andare tutti sul posto.» le spiego infilandomi calzini e scarpe.

Bamby scatta immediatamente in ginocchio, facendomi venire ancora meno voglia di andare via.

No Lorenzo. Da bravo. C’è un lavoro urgente!

«Un incendio? Oddio!» esclama allarmata scendendo dal letto infilandosi svelta la sua solita t-shirt dei Nirvana. «Mi prometti che farai attenzione?» mi viene incontro abbracciandomi forte.

Ricambio la stretta stampandole un piccolo bacio sulla testa arruffata come un rovo. «Tranquilla piccola. Andrà tutto bene. Tu che farai oggi?» le chiedo andando in soggiorno per cercare la mia maglietta.

«Credo che andrò al mare.» sbadiglia vistosamente, mentre stiracchia le braccia verso l’alto, facendomi sbavare peggio di un cane davanti a un osso come noto che non si è ancora rimessa gli slip.

Il lavoro. C’è un incendio. Incendio! Dio! Ancora un minuto e servirà a me la pompa idraulica!

«Al solito posto?» mi informo afferrando le mie cose precipitandomi alla porta.

«Sì. Con Lucrezia probabilmente!» si appoggia allo stipite bianco.

«Allora appena ho fatto ti raggiungo, okay? Forse in tempo per pranzare tutti insieme. Dato che c’è Lucrezia porto anche Alex così passiamo il resto della giornata a rilassarci, che ne dici?» mi chino verso di lei per stamparle un bacio veloce sulle sue labbra dischiuse in un sorriso.

«Ottimo! Ti aspetto allora!» mi regala un altro bacio prima che io prenda ad allontanarmi.

«A dopo!» le lancio un occhiolino avviandomi alle scale.

«Ren!» urla affacciandosi alla balaustra in legno.

Sollevo lo sguardo per incrociarlo col suo carico di apprensione e per un attimo il cuore mi si ferma nel petto nel vederla così preoccupata per me, mentre due semplici parole prendono a scalpitarmi in bocca.

Ti amo.

Glielo volevo dire già ieri sera.

L’avevo capito già quella domenica che mi sono perdutamente innamorato della mia migliore amica, e mentre ero via ne ho avuto la conferma, ma proprio come immaginavo, se glielo avessi detto l’avrei fatta schizzare via peggio di una saponetta quando hai le mani bagnate. Bamby non è come le ragazze normali. A lei certe parole la spaventano. Ricordo ancora il mezzo attacco di panico quando gliel’ha detto Alessio e lei scioccata gli ha replicato con un semplice «Sei serio?»

Non sto a dirvi quanto lui ci sia rimasto male, mentre io sono scoppiato a ridere quando lei me l’ha raccontato!

Ma per Barbara è così. Non è facile per lei esternare i propri sentimenti. La spaventa a morte. Forse perché con quella famiglia così anaffettiva non ha mai imparato. Certo! Ci sono sempre stati i suoi nonni materni e sua zia, ma non bastano a compensare tutte le mancanze di sua madre e suo padre, quindi lei ha imparato a schermare i suoi veri sentimenti e raramente li mostra.

Come ora.

Le posso leggere perfettamente tutta la paura che ha per me e io devo resistere come un matto per non urlare a lei e a tutto il condominio quello che provo realmente.

Ma mi tengo buono dicendomi che tanto ho tutto il tempo che voglio per farlo. Abbiamo realmente tutta la vita davanti a noi d’ora in poi!

«Fai attenzione. Ti prego!» ripete con gli occhi lucidi e il labbro tremulo.

Cerco di regalarle il sorriso più rassicurante del mio repertorio. «Tranquilla Bamby! Starò attentissimo!» le butto un bacio e poi volo fuori dal palazzo.

 

Monto in sella alla mia bici e mi scapicollo alla caserma.

Si vede che è un giorno di festa, perché nonostante sia mattina presto il centro è già parecchio trafficato e le spiagge sono super gremite di gente.

Zigzagando fra svariati pedoni, turisti, altri ciclisti e infiniti motorini, finalmente arrivo al lavoro.

Sono già sudato fradicio e ho un po’ il fiato corto per aver pedalato come un forsennato, ma non mi do nemmeno il tempo di riprendere respiro. Mi fiondo al mio armadietto e scambiandomi un veloce saluto con gli altri colleghi richiamati all’ultimo, mi cambio per uscire con l’autopompa.

È da un po’ che non ci capita un incendio da queste parti. Qui è più facile essere chiamati in seguito a un incidente, o, nell’ultimo periodo, un’alluvione o un terremoto. Ma di incendi non ne capitano molti e sono un po’ teso. Fortuna che sono fresco di corso d’aggiornamento!

«Pronto Lorenzo?» chiede Paolo come mi vede comparire fuori dagli spogliatoi.

«Sì. Andiamo.» rispondo sicuro, sistemandomi i guanti e il casco.

 

Giovedì 2 Giugno 09:50 a.m.

 

Il tragitto dura solo venti minuti e più ci avviciniamo, più riesco a vedere meglio l’alta colonna di fumo nero e come arriviamo capisco che la situazione è ben più grave di quanto mi ero figurato.

Il centro dell’incendio è una vecchia casa nella campagna vicino a Cevolabbate e a giudicare dalla densità del fumo, direi che in parte doveva essere in legno. Le fiamme sono arrivate a intaccare persino la stalla accanto, ma fortunatamente i colleghi sopraggiunti prima di noi lo hanno già quasi completamente estinto. A differenza di quello della casa principale, il quale sembra davvero un lavoro complicato.

Parcheggiando nello spiazzale di selciato accanto alle altre autopompe, scorgo vicino a un’ambulanza quelli che desumo essere i proprietari della tenuta, attorniati da altre persone, i vicini immagino e alcuni paramedici. Hanno i volti e i vestiti completamente sporchi di fuliggine e fumo, ma almeno sembrano stare tutti bene!

Veloce smonto dal camion e tutti ci prepariamo a eseguire gli ordini di Paolo.

«Vi voglio tutti sulla casa. Dobbiamo riuscire a spegnere l’incendio prima che bruci tutto quanto. Voi ragazzi attaccate i manicotti e portatevi sul lato est, mentre tu Diego vieni con me.»

«Okay!» replica svelto Diego seguendo Paolo dalla parte opposta rispetto a noi.

Io e Alex ci accingiamo ad attaccare i nostri manicotti all’auto pompa per iniziare a domare le fiamme che si stanno mangiando quasi completamente il secondo piano, quando quello che immagino essere il proprietario di casa, mi si accosta tutto trafelato.

«Giovanotto, se può esservi d’aiuto, abbiamo anche un pozzo dietro casa!» mi avvisa indicandomi con una mano tremante la stradina che fa il giro della tenuta in fiamme.

«Sì, grazie! Avviso il mio capo e poi lei mi dice dove posso attaccarmi.»

Il signore annuisce con aria ancora frastornata e io volo verso il resto della squadra.

«Paolo! Il signore dice che dietro casa c’è un pozzo che possiamo sfruttare!» mi affretto a spiegargli, mentre butto un occhio alla situazione attorno a me.

Nonostante i tre getti d’acqua al massimo del volume le fiamme non sembrano volersi arrestare.

Il mio capo mi guarda per un attimo negli occhi con fare assorto, poi getta anche lui un ‘altra occhiata all’incendio. «Andate tu e Alex. Qui la faccenda si sta facendo più complicata del previsto e abbiamo bisogno di più acqua possibile. Ma restate sempre insieme, mi raccomando.» ordina con fare autoritario.

Con un lieve cenno del capo gli faccio capire che sono d’accordo e poi ragguaglio il mio amico sui nuovi ordini. Prendiamo tutto l’occorrente e ci facciamo guidare dal proprietario della tenuta sul retro verso il pozzo.

Mentre io e Alex sistemiamo le manichette, improvvisamente sentiamo delle urla.

Ci blocchiamo e tutti e due puntiamo gli occhi verso la casa.

«Signore siete usciti tutti da lì?» gli chiede Alex preoccupato.

«S-sì… eravamo solo noi tre in casa! Il mio figlio più grande doveva dormire dalla fidanzata!» spiega spaventato, ma un secondo urlo ci rimette sull’allerta.

«In casa c’è qualcuno!» esclamo afferrando la bombola dell’ossigeno e una maschera.

«Lorenzo dove vai?» mi afferra per un braccio Alex. «La casa sta per crollare ed è pericoloso entrarci ora!»

«Ma lì c’è qualcuno!» gli faccio notare liberandomi il braccio e sistemandomi la maschera in volto.

«Ma non puoi entrare da solo!» mi urla dietro.

So che ha ragione, ma non posso ignorare quelle grida spaventate, né lo sguardo terrorizzato del padre di quel ragazzo che nessuno sapeva essere in casa.

«Va da Paolo e digli che è diventata una missione di recupero. Fatevi trovare pronti nel caso dovremo buttarci da qualche finestra!» lo ragguaglio avviandomi alla porta finestra.

«Lorenzo aspetta!»

Lo ignoro e prendendo un profondo respiro aziono la bombola ed entro in casa.

 

Mi trovo da subito in un inferno di nebbia nera.

Sono dentro la cucina e qui le fiamme non ci sono ancora arrivate, in compenso il fumo denso riduce di molto la visibilità.

«C’è qualcuno?» urlo uscendo dalla stanza, ritrovandomi in un stretto corridoio, dal quale vedo spuntare tre porte.

Mi accosto alla prima. Nessun rumore. «C’è qualcuno qui dentro?» niente. Provo ad aprirla e mi ritrovo dentro un bagno vuoto.

Provo con le altre due, ma il risultato è sempre lo stesso. Allora mi dirigo dalla parte opposta dello stretto corridoio.

«C’è qualcuno in casa?» urlo ancora arrivando ai piedi di una rampa di scale, da dove scende una nube di fumo ancora più compatta.

L’incendio si è sviluppato ai piani superiori e da quello che ho visto da fuori, salire è un grosso rischio. Spero di non doverlo fare.

«Lorenzo! Lorenzo sono Alex, mi senti?» mi chiama lui attraverso la radiolina.

«Dimmi Alex!» rispondo premendo sul tasto continuando a studiarmi l’ambiente.

«Sei un coglione!» sbraita in risposta e sento anche in sottofondo le urla del mio capo.

Ridacchio aprendo una porta, dietro la quale scopro esserci la lavanderia. «Grazie! Mi cercavi per dirmi solo questo?»

«No, imbecille! Paolo dice che devi portare immediatamente il tuo culo fuori di lì, perché il tetto e forse gran parte del piano superiore stanno per crollare!»

«Non posso, lo sai. C’è un ragazzino qui dentro e io non esco senza di lui.» replico duro provando con un’altra porta.

«Potevi almeno aspettare che venissi con te!»

«E perdermi te con Paolo che mi date del coglione attraverso la radiolina?»

«Smettila di fare l’idiota…»

«Alex non esco di qua senza il ragazzo. Vi faccio sapere appena l’ho trovato. Passo e chiudo.»

«Lorenzo…»

«Passo e chiudo!» ripeto spegnendo la radio. Tanto oramai sono già nei guai.

Faccio per continuare verso il soggiorno, quando sento nuovamente quella voce.

«So-sono qui di sopra!» è molto ovattata e tremula e capisco a stento cosa dice.

«Arrivo! Non avere paura, ora ti farò uscire di qui!» cerco di rassicurarlo, ma come inizio a salire al secondo piano mi si para di fronte la verità.

L’intero piano è avvolto dalle fiamme e dal fumo nero, e le mura sembrano in procinto di sgretolarsi e crollare.

Ottimo!

«Dove sei?» lo chiamo ancora cercando di passare in mezzo alle lingue di fuoco che tentano di afferrarmi e bruciarmi l’uniforme.

«I-in camera… l’ultima porta in fondo! La prego mi aiuti! Le fiamme e il fumo sono ovunque!» lo sento tossire convulsamente.

Cerco di darmi una mossa, aggirando un punto del pavimento bruciato e in procinto di sbriciolarsi se solo ci mettessi un piede sopra. Mi appoggio con una mano alla parete accanto a me per farmi una sorta di mappa mentale su dove sto andando e su dove potrebbe essere la porta. Tra fiamme e fumo inizio a non vedere più nulla.

Devo sbrigarmi a portarlo fuori di qui prima che sia troppo tardi e muoia intossicato.

Accelerando il passo, evitando per miracolo il crollo di un pezzo di soffitto, e dopo tre porte aperte a vuoto, riesco a trovare quella della sua camera. È avvinta dalle fiamme e dal fumo, e la visibilità è quasi pari a quella del resto del piano.

Guardo attentamente all’interno della stanza in cerca del ragazzo, trovandolo rannicchiato nell’angolo più lontano dalla porta con una maglia ben premuta contro il naso. Come mi vede scatta in piedi e mi viene incontro guardandomi con occhi azzurri lucidi e terrificati.

Sono felice di constatare che per il momento la sua salute sembra non essere stata compromessa.

«Come ti chiami?» gli chiedo avvicinandomi per controllarlo meglio.

«Fi-Filippo…» tossisce rauco.

«Piacere Filippo, io sono Lorenzo e non temere, usciremo di qui!» mi guardo un attimo attorno tentando di farmi venire un’idea brillante e istantanea.

Di tornare indietro non se ne parla. C’è troppo fumo e il fuoco lo ustionerebbe all’istante visto che non ha nulla di ignifugo con cui coprirsi.

«Tieni… prendi la mia maschera per l’ossigeno e cerca di fare dei respiri profondi e lenti.» gli dico togliendomela e assicurandola sul suo viso spigoloso completamente sporco di fumo. «Stammi vicino.» gli intimo fissandolo serio.

Lui annuisce terrorizzato e fa come da me ordinato, prendendo dei profondi respiri aggrappandosi alla mia divisa.

Continuo a guardarmi attorno. L’unica via di fuga è la finestra.

L’apro e mi ci affaccio. Fuori c’è abbastanza spazio per stendere il telone, così non ci penso due volte, riaccendo la radiolina e chiamo i miei colleghi, preparandomi mentalmente al cazziatone.

«Sono Lorenzo. Mi trovo in una camera del secondo piano con il figlio più grande. Sta bene, ma non possiamo tornare indietro e ci occorre il telone per poter saltare giù dalla finestra!» spiego velocemente, stringendomi al fianco il ragazzo che trema come una foglia, mentre continua a prendere dei profondi respiri con la mia mascherina.

«Ricevuto Lorenzo. Arriviamo subito.» riconosco immediatamente la voce di Paolo dall’altra parte. «E comunque non credere di essere al riparo da una bella strigliata e da un mese sicuro di punizione!» brontola seccato in seguito.

«Sì, sì! Va bene, ma ora venite con quel telone, forza!» tossisco riappoggiando la radiolina dentro la mia tuta. «Stanno arrivando.» sorrido a Filippo che continua a guardarsi attorno impaurito.

«Tu tutto bene? Ti sei fatto male o bruciato?» gli domando controllandolo ancora preoccupato.

«N-no…» nega con la testa. «Ho solo respirato molto fumo.» spiega allarmato.

Gli passo una mano fra i capelli castani arruffati. Non avrà più di 17 anni.

«Tranquillo, in ospedale ti risolveranno tutto e tornerai come nuovo.» gli lancio un occhiolino, gettando uno sguardo fuori dalla finestra, dove vedo i miei colleghi sistemare il telone.

«Grazie per essere venuto a cercarmi! I-io ero bloccato! Non riuscivo a muovermi non… non ho pensato alla finestra… non ho…»

«Ehi tranquillo! Tutto okay. Ho fatto solo il mio dovere, non preoccuparti. Anche io al posto tuo mi sarei spaventato a morte!» lo fisso intensamente negli occhi i quali iniziano a bruciarmi per colpa del fumo sempre più presente nella stanza nonostante la finestra aperta e la mia maschera.

Filippo annuisce piano, ricacciando indietro le lacrime.

«Bene e ora coraggio. Fai un bel salto.» mi riprendo la maschera aiutandolo a scavalcare il cornicione.

Lui mi getta una veloce occhiata corredata da un lieve sorriso di gratitudine e poi si getta di fuori.

«Bravo ragazzo!» sento esclamare Paolo prima di puntare il suo sguardo severo nel mio. «Muoviti a saltare!» sbraita davvero arrabbiato.

Non me la farà passare liscia e per molto tempo! Pazienza! In fondo ho fatto solo il mio lavoro e sono più che certo che lui al mio posto avrebbe agito nel medesimo modo.

Sto per scavalcare a mia volta la finestra, quando una forte esplosione mi blocca.

Non faccio in tempo a voltarmi per vedere cosa sta succedendo, che il crollo del soffitto mi travolge completamente, sommergendomi sotto un cumolo di macerie, cemento, legno e le grida preoccupate dei miei colleghi all’esterno.

Ho perso la mascherina per l’ossigeno e fatico a respirare sempre di più. Ho un fortissimo dolore a una gamba e persino un fianco mi fa talmente male da togliermi quel poco di fiato che mi resta in corpo.

Pian piano percepisco la mia vista offuscarsi e non per colpa del fumo, sto perdendo i sensi, lo so, mentre il fragore del fuoco e di un altro crollo vengono interamente sostituiti da un potente fischio all’interno delle mie orecchie.

Poco prima di lasciarmi andare all’oblio, un unico pensiero popola la mia mente.

Un unico volto.

Un unico nome.

Bamby.

E la certezza di non aver fatto in tempo a dirle cosa realmente provo per lei mi fa ancora più male di ogni singola parte di me schiacciata sotto a questa montagna di cemento armato e legno.

Poi, all’improvviso è tutto nero.