Capitolo 8

«Cosa?». La signora Milne ritirò il mento verso il collo, riempiendolo di rughe. «No. Non ha nessun tatuaggio. Perché mai dovrebbe avere un tatuaggio?».

Logan si fece avanti. «Allora non si tratta di Martin, signora Milne: il corpo ritrovato ieri aveva un tatuaggio».

Lei si afflosciò lì dov’era, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. «Oh, grazie a Dio». Un altro respiro, con la mano premuta contro il petto. «Ma guardatemi. Scusate. Vi prego, entrate».

L’ingresso era luminoso e arioso, con delle foto e dei disegni infantili a matite colorate incorniciati sulle pareti.

La signora Milne li condusse in cucina, dove un bambino se ne stava seduto a un tavolo rustico, entrambe le mani strette intorno a un bicchiere di succo d’arancia. Capelli biondi, felpa rossa, maglietta bianca e pantaloni neri. Il braccio destro ingessato. Il profumo del burro che friggeva in padella riempiva l’aria.

«Vi va del tè, del caffè, o qualcosa d’altro? Magari delle frittelle? Le sto facendo per Ethan».

Il bambino li fissò da dietro un paio di occhiali simili a quelli della madre.

Logan si sfilò il giubbotto catarifrangente e lo sistemò sullo schienale di una sedia, da dove cominciò a gocciolare sul pavimento di marmo. «Del tè sarebbe meraviglioso. Ma non si preoccupi, ci può pensare l’agente Quirrel a prepararlo. Giusto, agente?».

Un cenno di assenso. «Non voglio certo che le frittelle di Ethan gli arrivino in ritardo».

«Oh. Molto gentile, da parte sua». La donna tornò ai fornelli, mentre Ciuffo cercava un bollitore nella credenza.

Quella cucina doveva essere costata una fortuna. Era grande abbastanza per ospitare un tavolo da pranzo, un’isola centrale con fornelli e lavello, mobili coordinati intorno alle pareti fatti di quello che sembrava legno di quercia, dei piani da lavoro in granito, marmo sul pavimento, un enorme frigo in stile americano. E uno di quei rubinetti alla moda che fornivano acqua già bollente. Decisamente diversa dalla cucina di Logan, messa insieme con quanto di più economico si trovava da b&q e Argos.

C’era un’altra decina di disegni fatti con le matite colorate, lì dentro, per la maggior parte raffiguranti quelle che sembravano patate con gambe e braccia, ma invece di essere attaccati sullo sportello del frigo, come in una casa normale, erano appesi alle pareti, in eleganti cornici di legno.

Logan si sedette e fece un cenno al bambino. «Accidenti, che bel gesso hai lì, Ethan. Cosa è successo al tuo braccio?».

Lui ricambiò lo sguardo in silenzio.

Okay…

La signora Milne scosse la testa. «Lo adoro, mi creda, ma a volte è un po’ troppo maldestro. Non è vero, Ethan?».

Il bambino si strinse nelle spalle e tornò a bere il suo succo d’arancia.

«È un bambino timido». La donna versò della pastella in padella e offrì loro un gran sorriso. «Allora, chi vuole delle frittelle?».

Logan andò alla finestra, arrotolando una frittella spalmata di burro e marmellata di lamponi come se fosse un sigaro. Ne morse l’estremità e masticò.

All’esterno, Ethan sguazzava sotto la pioggia, la mano sana in quella della madre e l’altro braccio stretto al petto. Un minivan rosso attendeva accanto al marciapiede e, mentre lo raggiungevano, il finestrino dal lato del guidatore si abbassò, mostrando il viso di una donna corpulenta con un caschetto da personaggio della Lego e un sorriso allegro stampato in faccia.

La signora Milne si chinò a baciare il bambino sulla guancia, lo ripulì dalla macchia di rossetto e lo aiutò a salire sul sedile posteriore. Si assicurò che allacciasse la cintura e poi restò lì, sotto la pioggia, a salutarlo con la mano mentre l’auto usciva dal piccolo complesso di villette, raggiungendo la strada e sparendo in lontananza. Restò lì per qualche secondo ancora. Infine si voltò e tornò verso casa.

Ciuffo si fermò accanto a Logan. Sorseggiò il suo tè da una tazza di Winnie the Pooh. «Non mi sembra un bambino molto felice».

«Suo padre è scomparso».

«Già».

Un altro morso alla frittella. «E poi c’è quel braccio rotto».

«Io a cinque anni non facevo che cadere dagli alberi».

«Lasciami indovinare: hai sbattuto la testa un sacco di volte». Logan si accigliò, fissando la pioggia. «Dai un’occhiata al database dei Servizi Sociali e fammi sapere se qualcuno ha fatto denunce in merito a Ethan. Medici, ospedali, insegnanti. Vediamo quanto è davvero “maldestro”».

«Sì, sergente».

Uno scatto e un tonfo, e la signora Milne tornò in cucina, fradicia. Li guardò con una smorfia. «Poverino, sta avendo dei problemi a scuola. Alcuni dei suoi compagni gli danno il tormento per via della scomparsa di Martin. Che cosa crudele, non trovate?». Si tamponò i lunghi capelli neri con uno strofinaccio. «Ieri, un ragazzino gli ha detto che Martin è scappato con una donna più giovane. E che non gli vuole più bene». Rabbrividì. «Be’, lo sapete anche voi come sono i bambini. Orribili mostriciattoli».

Ciuffo le sorrise con gentilezza. «Mi scusi per il disturbo, ma posso usare il bagno? Temo di aver bevuto un po’ troppo tè».

«Certo, seconda porta a destra nel corridoio».

«Grazie». A quel punto uscì dalla cucina, sganciando già la ricetrasmittente dal giubbotto. Non proprio furtivo.

Che idiota.

Logan finì la frittella e si succhiò i residui dalle dita. «Sa se suo marito ha la funzione di Internet Banking sul suo conto? E, se ce l’ha, lei ha per caso le chiavi d’accesso?»

«Martin non è scappato con un’altra. Non ci farebbe mai una cosa simile». La donna distolse lo sguardo, abbassando la voce. «Lui ci vuole bene».

«Signora Milne? Mi scusi, per il conto in banca…».

«Oh, sì, certo. Abbiamo un conto cointestato». La donna andò alla credenza e aprì un cassetto, tirando fuori un piccolo portatile. «Avrebbe dovuto sentirli, quando ci siamo sposati: “Lui è troppo giovane per lei”, “È un toy boy”, “Quella è una vecchia sporcacciona”, “Deve essere come portarsi a letto sua madre”».

Posò il portatile sul tavolo della cucina, accendendolo. Ronzò e si svegliò, illuminandosi.

«I bambini non sono gli unici mostri». Si collegò. «Immagino che imparino tutto dai genitori».

Logan si sedette accanto a lei. «Ha detto che Ethan ogni tanto è un po’ maldestro?»

«Mi scusi, attenda un momento: vuole installare degli aggiornamenti…». La signora Milne si chinò sulla tastiera, muovendo le dita sui tasti. «Intende per il braccio? Mi ha detto che è caduto in cortile, a scuola, ma io non ci credo molto. Perché gli insegnanti non vedono mai niente? Insomma, se un bambino cade e si rompe un braccio, dovrebbero vedere qualcosa». Poi si raddrizzò. «Ecco fatto. Allora, cosa le serve sapere?».

Logan indicò lo schermo, dove era comparsa la pagina di riepilogo del conto. «Può controllare le transazioni più recenti? Vorremmo scoprire se Martin ha usato la sua carta di credito o il bancomat».

La donna esitò. «Pensate davvero che sia scappato».

«Stiamo solo cercando di rintracciare qualche indizio per capire dove si trovi. Per esempio, se avesse prelevato del denaro a Dundee, potremmo chiedere alla polizia del posto di cercarlo».

Lei si morse di nuovo il labbro inferiore, poi armeggiò con il mouse, facendo comparire la lista delle ultime dieci transazioni della carta di credito. Indicò. «Queste sono per la maggior parte mie: Tesco, Tesco, un paio di scarpe per Ethan, Tesco, ancora Tesco, l’olio per la caldaia. Questa è di Martin: il benzinaio di Peterhead, venerdì. E poi ci sono altre spese da Tesco».

«E per quanto riguarda i prelievi sul conto?»

«Ehm…». Lei cliccò di nuovo. «Niente di nuovo da lunedì. Ho prelevato cinquanta sterline per pagare la pulizia delle finestre».

Milne era scomparso da domenica sera e non aveva comprato niente con la carta di credito, né ritirato una singola sterlina dal conto in banca. Se davvero fosse fuggito e fosse in giro da tre giorni e quattro notti, di certo avrebbe dovuto spendere qualcosa. «E non ha altri conti in banca? Magari uno precedente al matrimonio?»

«Io e Martin non abbiamo segreti». La signora Milne sollevò il mento. «Se avesse un altro conto in banca, lo saprei».

Sì, certo, continua pure a raccontarti certe balle. Tutti hanno dei segreti.

Logan accennò allo schermo. «Pensa di potermi stampare questi dati e quelli degli ultimi tre mesi?».

Lei appoggiò le dita sulla tastiera, fissandosi le unghie mangiucchiate. «E se gli è successo qualcosa? Se…». Si schiarì la gola. «E se hanno ragione? Se non gli importa niente di noi, se pensa di poter stare meglio altrove con una donna della sua età? E se è morto?».

Probabilmente lo era, ma non aveva senso dirglielo adesso.

Logan le posò una mano sulla spalla. La sua felpa era umida e fredda. «Faremo tutto il possibile, signora».

Lei annuì. Poi tirò su con il naso e si passò una mano sugli occhi. «Sì. Certo. Le faccio una stampata dei movimenti».

Logan si appoggiò contro il piano da lavoro, una nuova tazza di tè fumante in mano. Il giardino sul retro era una massa tremante di cespugli e alberi bassi, sferzati dal vento. C’era un capanno nell’angolo in fondo, circondato da vasi di terracotta, il contenuto nascosto da un materiale sottile e bianco. Quello che sembrava un piccolo orto se ne stava in fondo al giardino. Tutto molto bucolico e piacevole. Un angolo di bellezza sul bordo del mondo.

Controllò l’orologio. Le otto e mezzo, e ancora non c’era traccia di Ciuffo. Con la sua solita fortuna, la signora Milne doveva aver lasciato la porta aperta, e Ciuffo doveva essere uscito. A quel punto, se lo immaginò ad arrampicarsi sugli alberi, a rincorrere macchine e a fare la cacca nei giardini dei dintorni.

La stanza era immersa nel silenzio. C’era solo lui, insieme al ronzio costante e monotono della lavastoviglie.

Pescò i due biglietti da visita dalla tasca. Be’, una promessa era una promessa… Li fece a pezzi e li gettò nel bidone dell’immondizia.

C’era un giornale sul pianale lì accanto, aperto alla pagina delle parole crociate. Erano finite per metà, una penna blu appoggiata lì vicino. Logan osservò le definizioni.

Il quattro verticale era sbagliato.

E, comunque, sia “insoddisfatto” che “incalcolabile” mostravano degli errori ortografici.

Poi la voce della signora Milne si fece sentire al di sopra della lavastoviglie. «Mi scusi. Ho dovuto cambiare la cartuccia alla stampante».

Logan si girò. «Le piacciono le parole crociate».

Lei arrossì. Poi gli tese un mucchietto di fogli. «Ecco i movimenti bancari delle ultime dodici settimane».

«Grazie». Lui li controllò.

C’erano le uscite regolari per la spesa e la benzina. Il conto di un pub a Peterhead ogni mercoledì. Qualche spesa su Amazon. Altre del Waterstones di Elgin… Niente di strano.

La signora Milne prese il giornale e lo rimise in ordine. «Era Martin quello che si divertiva con l’enigmistica. E gli sono sempre piaciute le serie tv poliziesche». Piegò il giornale, nascondendo le parole crociate. Lo lisciò. «Non so perché mi sono messa a farle, io non sono mai stata capace».

Lì, sulla prima pagina dell’«Aberdeen Examiner», c’era una foto dell’entrata del bosco, con il cordone bianco e blu della polizia. Un agente in uniforme era dietro al nastro, sotto la pioggia battente, e alle sue spalle c’era una volante con le sirene accese. «macabra scoperta nel bosco di macduff», recitava il titolo, e il sottotitolo diceva: «il cadavere è quello dell’imprenditore scomparso?».

Non era strano che la donna avesse temuto il peggio, quando le si erano presentati a casa.

Logan prese il giornale dalle sue mani. «Non dovrebbe leggere questa roba. I giornalisti non sanno niente, sono soltanto speculazioni. Articoli scritti per far vendere più copie».

«Lo tenga pure». La signora Milne gli voltò le spalle. «Non mi è mai piaciuto fare le parole crociate, comunque».

Aveva le spalle larghe e ampie, sotto la felpa umida, ma le teneva incurvate, come se avesse sempre cercato di sembrare più piccola. Forse suo marito era più basso di lei e non gli piaceva che lei fosse più alta? La sindrome dell’uomo basso.

La lavastoviglie continuò a sibilare e gemere.

La pioggia picchiava contro il vetro della finestra.

Logan ripiegò il giornale e se lo mise sotto un braccio. «Faremo tutto ciò che possiamo, glielo prometto».

Lei non si voltò a guardarlo. «Grazie».

Poi la porta della cucina si spalancò, e Ciuffo fece capolino all’interno. Era ora.

Sorrise ampiamente. «Katie? Posso farle una domanda?». Accennò all’ingresso della casa. «Sarà veloce, promesso».

Lei lo seguì lungo il corridoio, con Logan alle calcagna.

«Ha idea di chi sia questa persona?». Ciuffo indicò una delle foto incorniciate. Un gruppo di otto uomini in t-shirt intorno a un barbecue. Berretti da baseball e occhiali da sole. I volti abbronzati e sorridenti. Un paio di loro avevano il bicchiere sollevato in un cenno di saluto. «Questo sulla sinistra, con la pannocchia».

La signora Milne sbatté le palpebre, accigliandosi. «È Pete. Peter Shepherd. Il socio di Martin. Lui, Martin e Brian hanno fondato la gcml insieme, nove anni fa. Perché me lo chiede?»

«Oh, nulla, solo così, per sapere». Ciuffo picchiettò un dito sulla cornice. «E dove vive?»

«A Pennan. Ha una di quelle case che dà sulle stradine laterali. Senta, ma perché vuole saperlo?».

Ciuffo si strinse nelle spalle. «Pura curiosità. Potrei prendere in prestito la foto?».

Logan si allacciò la cintura. «Ebbene?».

Ciuffo salutò la signora Milne attraverso il parabrezza. Poi girò il volante e uscì dal piccolo complesso. Non appena giunsero all’incrocio con la strada principale, allungò una mano sotto al sedile e tirò su la foto incorniciata del barbecue. La passò a Logan. «Non nota niente?»

«Hanno bruciato le salsicce?»

«L’uomo a sinistra, Peter Shepherd. Controlli il suo braccio».

Il socio di Martin indossava una t-shirt verde con una specie di logo con un vichingo sul davanti. Ne aveva strappato le maniche, esponendo i bicipiti gonfi di un uomo che passava fin troppo tempo in palestra. E lì, sul braccio sinistro, c’era il tatuaggio di un narvalo.