Capitolo 12

La pioggia sbatteva contro il vetro della finestra, facendolo vibrare nella sua scrostata cornice di legno. «Be’, contenta, adesso?».

La piccola stanza era poco più che un buco. Incastrata in cima alle scale, con le pareti abbastanza vicine da poterle toccare entrambe allargando le braccia. Eppure, in qualche modo i sottoposti della Steel erano riusciti a farci entrare una scrivania e due sedie, oltre allo schedario, alla credenza e ai due armadietti che di solito arredavano il luogo.

Dall’altro capo del telefono, la voce della Steel era metallica e piena di riverberi, come se stesse parlando da dentro un bagno chimico. «Sì, sto ballando la mazurka, qui, non la senti la banda?», esclamò, prima di fargli una pernacchia.

Chiunque avesse portato lì dentro la scrivania aveva impilato tutti gli scatoloni dei fascicoli in un angolo, dove formavano una torre pendente di cartone grigio e crimini archiviati.

«La signora Milne giura e spergiura che suo marito non può essere scappato. Che è un marito e un padre modello».

Logan si sedette sul bordo della scrivania. «Non le ha mostrato le foto, quindi?»

«No, ma prima o poi verrà fuori, Laz. Non posso proteggerla per sempre».

«E che mi dice di qualche casa delle vacanze, o di familiari e amici?»

«Se fossi in lei, vorresti sentirti dire per la prima volta in tribunale che tuo marito faceva le cose a tre con il suo socio in affari e si portava a letto anche lui? Quando la difesa cercherà di dimostrare che non potrebbe mai aver ucciso Shepherd perché lo amava? E diverse volte alla settimana, pure. E, ehi, abbiamo le prove fotografiche».

In effetti, non aveva tutti i torti.

«Dobbiamo far stampare dei poster in tutti i porti e nelle stazioni. E far diffondere una richiesta di ricerca in tutta la Scozia».

«Ah, sì? Wow. Non ci avevo proprio pensato, che vecchia sciocca. Meno male che abbiamo un uomo grande e forte come te, in squadra, a farci rigare dritto».

Logan lanciò un’occhiataccia al pavimento. Qualcuno aveva cercato di sistemare la moquette con del nastro adesivo. «Ha finito?»

«L’ha già fatto Becky. E ora liberati dell’uniforme da agente sfigato: voglio quel tuo culo pieno di cicatrici dentro a un completo e pronto all’azione in dieci minuti. Io, te e il giovane Rennie andremo a fare una riunione di famiglia a Peterhead». Era facile capire che stava sorridendo ampiamente, dal tono di voce. «Proprio come ai vecchi tempi».

«Era quello che temevo».

Rennie lanciò un’occhiata fuori dal parabrezza dell’auto. «Come pensate che si pronunci? Gay-rod? Geeirod? Jerryod?».

La pioggia gocciolava giù dalla grossa insegna verde: “geirrød – gestione e logistica container”. Aveva lo stesso logo del vichingo che si trovava sulle t-shirt di Milne e Shepherd nella foto del barbecue. Un uomo barbuto e dall’aria infuriata, con un elmo alato e un’ascia da guerra in mano.

L’insegna era davanti a un semplice ufficio a due piani di mattoni e vetro, con qualche macchina parcheggiata all’esterno, su un tratto di asfalto pieno di buche. Dentro a una cabina su un lato, un vecchio sovrappeso controllava la sbarra di metallo che chiudeva l’entrata al cortile dei container. L’intero posto era circondato da una rete metallica con diversi cartelli che mettevano in guardia sulla presenza di filo spinato e cani da guardia all’interno dell’area.

La Steel si allungò dal sedile del passeggero e picchiò Rennie sul braccio. «Certo, perché è proprio una buona idea mettere su una compagnia e chiamarla “Gay-rod”».

«Ahi».

«Suvvia, non sia così omofobica. In fondo, che male c’è se due tipi vanno a letto insieme e quindi decidono di chiamare la loro compagnia “Gay-rod”?».

Seduto sul sedile posteriore, Logan tenne la bocca chiusa.

La Steel colpì Rennie per la seconda volta. «Quella è una “O barrata”, idiota ignorante. E si pronuncia “eau”». Emise un suono che sembrava quello di una pecora morente. «E ora parcheggia».

Lui fece scivolare l’autopattuglia tra i buchi nell’asfalto, parcheggiandola nello spazio con la scritta “ospiti” davanti all’ingresso. Poi restò lì a massaggiarsi il braccio. «Perché deve essere sempre così orribile?»

«Il mio stivale sarà orribile per il tuo didietro entro un minuto, se non ti muovi».

Già, proprio come ai vecchi tempi.

Logan si slacciò la cintura di sicurezza e uscì dalla macchina.

Pesanti nuvole grigie coprivano gran parte del cielo, ma almeno aveva smesso di piovere. C’era perfino uno scampolo azzurro grande abbastanza da far filtrare qualche lama di luce dorata e far comparire un iridescente arcobaleno sopra la centrale elettrica, in lontananza.

L’ufficio e il cortile della gcml si trovavano nell’angolo più a sud del piccolo complesso industriale. C’erano numerosi macchinari e tubature, il tutto rinchiuso dietro ad alte recinzioni. Una compagnia specializzata in camion refrigerati si trovava dall’altra parte della strada, e un suono acuto di metallo torturato proveniva da un grosso garage aperto.

La Steel sbatté lo sportello e si sistemò il reggiseno, facendone ondeggiare il contenuto. «Molto bene, ascoltate, ragazzi. Dovete comportarvi bene. E farete quello che vi si dice di fare. Tu», indicò Rennie che stava chiudendo la macchina, «non provare a mettermi in imbarazzo. Sono stata chiara?».

Lui sollevò il naso. «Non la degnerò di una risposta».

«Bene, questo è il piano: voglio che… Ehi, Laz, dove pensi di andare?»

«A fare il suo lavoro». Logan salì le scale che conducevano all’interno dell’edificio. «Come al solito».

La reception era una stanzetta con una fila di sedie di plastica lungo una parete e una finestrella chiusa su quella di fronte. C’era un campanello, sul bancone, con la scritta “suonare per chiedere assistenza” su una targhetta di plastica.

Lo fece.

La Steel gli si avvicinò alle spalle. «Bastardo impertinente». Lanciò un’occhiata al cartellino accanto al campanello. Poi premette con forza il pollice sul pulsante. Lasciandocelo mentre il suono del campanello riecheggiava da qualche parte all’interno dell’edificio. «ehi! c’è qualcuno? venite fuori con le mani in alto! allora? di casa?».

Logan le scostò la mano di scatto, e il suono cessò. «Okay, penso che l’abbiano sentita».

Lei inarcò un sopracciglio e lo fissò. «Dove l’hai comprato quel completo, a una svendita dell’Esercito della Salvezza?»

«Dobbiamo parlare con il terzo socio, il direttore finanziario. Sempre che non sia sparito anche lui».

«A me sembra più un sacco a pelo che un completo».

«Poi dividiamo lo staff in tre, e ciascuno di noi se ne prende un terzo».

«I pantaloni ti calano sui fianchi».

«Se qualcuno ci sembra sospetto, gli stiamo addosso».

«E quella è con tutta probabilità la cravatta più brutta che io abbia mai visto».

Lui abbassò lo sguardo: era blu a puntini rossi. «Me l’ha regalata Jasmine per Natale».

«Ah, davvero?». La Steel si accigliò. «Per avere sette anni, ha gusti davvero orribili, in fatto di moda».

«Forse Martin Milne potrebbe avere un complice».

«E questa cosa l’ha presa dalla tua famiglia». La Steel sbatté il palmo aperto sul bancone della reception. Sbam. Sbam. Sbam. «ehi! c’è qualcuno? c’è gente che aspetta, qui!».

«Dovremmo far fare a Rennie un rapido controllo degli impiegati sul database della polizia, prima di cominciare».

«Non ti avvertono mai, quando metti incinta tua moglie con l’inseminazione artificiale, vero? Attenzione: il donatore di sperma potrebbe portare vostra figlia a comprare cravatte orrende».

Logan la fissò. «Ha finito?».

Lei sogghignò. «C’è qualche altro scheletro nell’armadio della tua famiglia di cui dovrei essere messa a conoscenza? Qualche tara mentale, magari?». La Steel tornò a grattarsi il reggiseno. «Be’, del resto ho incontrato tua madre, ed è normale quanto il ballo del Morris. E tuo padre, era fuori di testa anche lui? Immagino di sì, visto che ha sposato tua madre».

«Possiamo tornare al caso, per favore?».

Il pannello si aprì, rivelando una bionda ossigenata con la pelle arancione che indossava una polo e un giubbotto, entrambi con il logo della Geirrød sopra. Sorrise e sbatté le ciglia, fingendo l’innocenza della giovinezza. Cosa che, considerato il fatto che andava di sicuro per i cinquanta, risultò un tantino forzata.

La Steel tirò su con il naso. «Iniziavo a pensare che non esistessi».

Il sorriso della donna si smorzò leggermente, lasciandole sul viso le sue rughe. «Posso aiutarvi?»

«Sì, cercavamo il direttore finanziario».

«Temo che il signor Chapman sia molto occupato. Avete un appuntamento?».

La Steel tirò fuori il distintivo. Lo piazzò sotto il naso della donna. «E, già che ci sei, vorrei un caffè. Con latte e due zollette di zucchero».

«Non lo so, d’accordo? Non lo so». Brian Chapman camminava avanti e indietro, di fronte alla finestra del suo ufficio. La stanza si trovava al primo piano, e dava sulle file di container sistemate nel cortile. L’uomo si passò una mano su quel che restava dei suoi capelli, soffermandosi a tormentare il grosso neo scuro che aveva poco sopra il sopracciglio destro. Come se cercasse di sintonizzarsi la testa. Delle macchie scure si allargavano sotto le ascelle della sua camicia in denim. Aveva una macchia sui pantaloni chino beige. Arrivò alla fila di schedari e tornò indietro. «Se sapessi dove si trova, ve lo direi. Davvero». L’altra mano si chiuse a pugno, per poi riaprirsi e serrarsi ancora, e riaprirsi. Come una violenta, ritmica pulsazione.

La Steel si accomodò meglio sulla sua sedia, intingendo un biscotto al cioccolato nella sua tazza di caffè. «E Shepherd, l’ha sentito, ultimamente?».

Chapman smise di camminare e lanciò un’occhiataccia alle scartoffie sulla scrivania. «Oh, ci ho provato. Se gli metto le mani addosso, lo uccido. Dannazione, lo uccido». Poi sembrò ricordare con chi stava parlando, perché si leccò le labbra e tornò a camminare avanti e indietro. «Insomma, capite cosa intendo».

Logan piegò la testa da un lato. «Perché non ce lo spiega?»

«Sa cosa ho ricevuto ieri? Sa cosa mi è arrivato?». Pescò nel mucchio della corrispondenza e tirò fuori una lettera, sventolandola verso di loro. «Che diavolo avevano in testa?».

La Steel schioccò le dita, e Chapman le porse la lettera. Lei la osservò per qualche istante stringendo gli occhi, poi la tese a Logan. «Fai tu gli onori».

Il logo della Royal Bank of Scotland se ne stava nell’angolo in alto del foglio. «Viene da una banca. È la richiesta finale della restituzione di un prestito di centocinquantamila sterline, più gli interessi».

«E la prima volta che ne sono venuto a conoscenza è stata quando quella richiesta mi è piombata sulla scrivania. Io dovrei essere il direttore finanziario, qui dentro. Ma come posso dirigere le finanze di questa azienda se non ho la minima idea di quello che succede?».

La Steel alzò le spalle. «Ebbene, pagate, no?»

«E come? Con cosa?». L’uomo allargò le braccia, mostrando le macchie sotto le ascelle. «Polvere magica e preghiere? Siamo al verde!».

«Oh».

«Sono riuscito a tenere in piedi la baracca finora, ma la crisi petrolifera ci sta uccidendo. Nessuno vuole più pagare per fare niente. Ho dovuto licenziare tre persone, la settimana scorsa. Avete idea di come ci si può sentire?». Si allungò oltre la scrivania e strappò la lettera dalle mani di Logan. «Quindi ho chiamato la banca e ho detto loro che doveva esserci uno sbaglio. Non avevamo mai preso in prestito del denaro. E sapete cosa ho scoperto?». Chapman accartocciò la lettera e la lanciò contro il muro. «Ho scoperto che non è il solo prestito richiesto dalla società. Ce n’è anche un altro, per settantamila sterline, che scadrà tra tre settimane». La saliva gli spruzzava dalle labbra, mentre parlava. «tre settimane!».

Il viso gli era diventato scarlatto, e stava tremando verga a verga. «Io li ammazzo tutti e due».

«Sì, be’, credo che potrà risparmiarsi la fatica, quanto a questo, Brian». La Steel leccò via il cioccolato fuso dal suo biscotto e lo intinse di nuovo nel caffè. «Abbiamo trovato il corpo di Peter Shepherd, abbandonato nei boschi, ieri mattina».

Chapman si bloccò. «Peter è morto?». Si afflosciò sulla sedia dietro alla scrivania e li guardò sbattendo le palpebre, la bocca spalancata. «Non posso… È davvero morto?».

Logan indicò la lettera accartocciata sul pavimento. «Chi ha chiesto i prestiti?»

«Peter e Martin. Hanno garantito l’uno per l’altro, ipotecando la compagnia. Duecentoventicinquemila sterline che non abbiamo». Sollevò una mano a giocherellare di nuovo con il neo. «Dovrò mettere tutto in liquidazione».

«Per cosa hanno usato il denaro?»

«Perderò tutto. Abbiamo impegnato le nostre case, quando abbiamo fondato la società. Oh, Dio…».

«Hanno comprato dei macchinari, dei rifornimenti?»

«Quel denaro non è mai arrivato sul conto della società». Gli occhi di Chapman si fecero lucidi, la punta del naso arrossata. «L’hanno trasferito su un altro conto e poi l’hanno svuotato. Cosa dirò a Linda?».

La Steel finì il biscotto. «Come mai non ci ha chiamato non appena ha ricevuto la lettera, Brian? Lo sa che stiamo cercando Martin Milne».

«Perché…? Perché ho cercato di salvare la compagnia, ecco perché!». Le lacrime traboccarono, rigandogli le guance arrossate. «Ho cercato di salvare il lavoro di tutti. Ero troppo impegnato a cercare di capire quanto fossi fottuto». Si passò una mano sul viso. «Si sono presi i soldi, mi hanno accollato il debito e sono spariti. Martin e Peter possono bruciare all’inferno, per quel che mi riguarda».

La Steel sbuffò una sbilenca nuvola di vapore nella pioggia che aveva ricominciato a cadere. «Niente?»

«No». Rennie controllò il telefono. «Il massimo che è uscito fuori sono state un paio di multe per divieto di sosta, e uno dei due ha il divieto di stare a meno di duecento metri dalla ex moglie».

«E non si può dire che non ne sappiamo il motivo, ora». Logan si ficcò le mani in tasca e incurvò le spalle. Si poteva dire di tutto dell’uniforme della Polizia di Scozia, con i suoi pantaloni ruvidi e la combinazione di giubbotto antiproiettile e catarifrangente, ma non che non ti tenesse al caldo.

Il cortile dei container era pieno di enormi contenitori di metallo dipinti di blu con il grosso logo del vichingo infuriato su un lato. Alcuni avrebbero potuto contenere al massimo la Fiat Punto di Logan, in altri ci sarebbe stato comodamente un minibus. Alcuni avevano unità di refrigerazione esterne, e portelli scorrevoli. Come quello in cui erano adesso, per proteggersi dall’acquerugiola costante.

«E la comunicazione del decesso ai parenti? Quegli scansafatiche l’hanno fatta?».

Rennie annuì. «Becky dice che la Divisione Maggiore di Glasgow ha individuato mezz’ora fa il parente più prossimo di Shepherd».

«Bene. Di’ all’Ufficio stampa che voglio uno spazio nel notiziario serale. Un appello a eventuali testimoni, sottolineando il fatto che c’è stato un terribile crimine, bla, bla, bla».

Logan controllò l’orologio. «Sarà meglio tornare a Banff. Il turno finirà tra quaranta minuti».

«Non sei nella Brigata degli Agenti in Uniforme, oggi, Laz, sei nel Team Incredibile e Potente. Noi non facciamo turni. I turni sono per i deboli, ricordi?».

Lui chiuse gli occhi e colpì la parete metallica del container con la nuca, facendola risuonare con un vibrante bonggggg.

«Rennie, quante di queste scimmie della gcml sono rimaste?»

«Ehm… solo la segretaria».

«D’accordo, allora fai il bravo bambino e vacci a parlare. E cerca di non farti abbindolare dal suo fascino rugoso da lampada solare, va bene? Sappiamo tutti quanto ti piacciono le donne più vecchie di te. Pervertito».

Rennie uscì nella pioggia.

La Steel attese che fosse sparito di nuovo all’interno dell’ufficio, poi prese un lungo tiro di sigaretta elettronica. «Chi ti ha detto di Jack Wallace?»

«Chi è?».

Lei si strinse nelle spalle. «Un pedofilo. L’ho beccato con un mucchio di pornografia infantile sul portatile». Un altro tiro. «È stato Napier, vero?»

«Voleva che la tenessi d’occhio. E voleva che gli facessi sapere se menzionasse questo Wallace».

«Gah». Si infilò un dito nella scollatura e si sistemò il reggiseno. «Te l’avevo detto, no? Napier è arrivato ai trent’anni di servizio e lo stanno mandando a casa. E quel viscido bastardo si aggrapperà al lavoro con le unghie e con i denti fino alla pensione». Un’altra grattata dentro la scollatura. «Come pensi che vada, da noi, con un sovrintendente capo che controlla tutta la divisione, e poi Napier, con la stessa funzione, che spadroneggia nella Disciplinare? Big Tony Campbell sta cercando di liberarsi di lui da anni».

«Allora, cosa gliene importa di Wallace?»

«Si è messo a cercare tracce, tutto qui. Non vuole sparire nel nulla prima di fare a pezzi un altro poveraccio».

Logan le si mise di fronte. «Quindi non c’è niente di losco?»

«Assolutamente nulla. Lascia perdere questa storia». L’ennesima grattata al reggiseno. «Sai cosa credo?».

Logan attese.

Un’altra strizzata all’intimo. «Credo proprio che questo reggiseno sia di Susan».