Capitolo 34
Logan cambiò l’allerta per l’attacco Dalek in un più tradizionale “normale” e si diresse al piano di sopra con le sue stampe.
Il sergente Weatherford lo incrociò sulle scale, con un faldone tra le mani, la frangia grigia incollata alla fronte lucia. «Lo sto facendo, lo sto facendo!».
Lui la guardò allontanarsi. «Non ho detto niente!».
«Aaaargh…».
Dipendenti felici erano dipendenti produttivi, giusto?
La Harper era all’ultimo piano con il suo aiutante, entrambi seduti al tavolo delle conferenze e intenti a digitare sulla tastiera dei rispettivi portatili.
«Signore?».
Lei alzò lo sguardo. «Sergente McRae». La sua voce aveva tutto il calore di un cadavere in un obitorio. «Cosa ci hai portato?».
Molto bene. Se era così che voleva giocarsela, anche lui poteva fare quello freddo e professionale.
Le mostrò i fogli stampati. «Nessun collegamento diretto, signore, ma mi hanno mandato quelli più somiglianti da tutto il Regno Unito. Farò controllare le foto a Milne e vedremo se identificherà qualcuno».
Narveer tese una mano. «Diamo un’occhiata, allora».
Logan gli offrì le stampe e l’ispettore cominciò a controllarle.
«Da quel che ho sentito, sta organizzando un raid antidroga, per stanotte, sergente».
Logan annuì. «Ricky e Laura Welsh. Sembra che stiano agendo per conto di Jessica “Ma” Campbell. Lei sta cercando di prendersi una fetta del vecchio territorio di Hamish Mowat. Se riusciamo a mettere le mani su uno degli uomini della Campbell, potrebbe aiutarci a vederci più chiaro nel caso Shepherd». Be’, sempre che non fosse il tizio che Reuben aveva rimandato a Glasgow con le mani in una busta imbottita.
Narveer indicò la foto di un giovane sul foglio. «Big Willie Brodie. L’ho arrestato per aggressione, possesso e spaccio di stupefacenti qualcosa come… quanto, otto anni fa? Dio, il tempo vola, non è così?»
«E non me l’ha detto prima perché…?»
«Non gliel’avevo detto?». Logan accennò con il pollice alle sue spalle. «L’operazione era stata programmata già da mercoledì. Molto prima che si sapesse del collegamento con l’omicidio di Peter Shepherd e…».
«Il possibile collegamento».
«Be’, vale la pena tentare, non trova?».
Narveer scoppiò a ridere e indicò un’altra foto. «Ma questo è “Piede di Porco” Gibson! Pensavo fosse morto».
La Harper imbronciò le labbra e si accigliò, guardando Logan. «Credo che sia meglio se io e l’ispettore Singh la accompagniamo in questa irruzione».
Dannazione.
«Ma certo, signore».
«C’è altro?»
«No, signore».
«Sergente?». Narveer lo guardò con aria perplessa, prima di sollevare l’ultimo foglio della pila. «Prima che vada via, davvero temiamo un attacco dei Dalek a Banff?».
L’ispettore Mhor aveva ragione, quelli del turno di notte erano senza speranza.
«Tu, brutto bastardo manipolatore, traditore, figlio di una rancida…».
«Oh, avanti, Beaky, non è mai stata la tua irruzione, tanto per cominciare». Logan si sedette al volante della Punto rugginosa. Era come mettersi dentro un frigorifero. «Sai cosa? La vuoi? Puoi tenertela». Girò la chiave nel quadro e accese il riscaldamento al massimo.
«Sul serio?». Il sospetto si sentiva chiaro e forte nella sua voce. «E perché? Cosa è successo? Qualcosa non va?»
«No, niente. È tutta tua».
«Laz, guarda che ti avverto. Se qualcosa non va…».
Una striscia sottile di vetro non appannato cominciò a formarsi in fondo al parabrezza, risalendo con lentezza glaciale.
«Non c’è nulla che non vada. Oh, e buone notizie: il sovrintendente Harper prenderà parte all’operazione, insieme al suo aiutante, l’ispettore Singh. Si comincia alle undici e mezzo. Mi raccomando, non dimenticare di indossare calzini caldi».
«Dici sul serio? Dovrei gestire un’irruzione con un sovrintendente e un ispettore che mi stanno con il fiato sul collo?»
«E non dimenticare quell’altro ispettore di Elgin che vuole fare un po’ di esercizio “a contatto con i comuni mortali”».
«Gah… sarà pieno di egocentrici pronti a prendersi il merito, sgomitando tra loro. Sai cosa? Ho cambiato idea. Falla tu, quest’irruzione». E a quel punto, chiuse la telefonata.
«Grazie mille».
Il riscaldamento stava ancora cercando di sciogliere condensa e ghiaccio. Ci sarebbe voluto un bel po’.
Ovviamente, quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato parlare con la società di assicurazioni per l’incendio della casa mobile. Rovesciò indietro la testa, fissando con astio il tettuccio della Punto. Certo, perché non sarebbe sembrato affatto sospetto, vero?
“Oh, signor McRae, mi pare di intendere che lei è diventato il legittimo proprietario della casa mobile, quando ha interrotto il supporto vitale della sua fidanzata. E, due giorni dopo, chiama l’assicurazione perché è stata incenerita. Uhm…”.
Non c’erano dubbi in merito, quello appena cominciato stava già diventando un anno spettacolare.
Non era neanche riuscito a provare a venderla che qualcuno l’aveva data alle fiamme.
La domanda era: chi l’aveva bruciata? Quale degli scagnozzi di Reuben?
Be’, non c’era bisogno di investigatori specializzati per scoprirlo. Logan chiamò il numero di John Urquhart e attese che rispondesse.
«Pronto?»
«Chi ha bruciato la mia casa mobile?»
«Signor McRae? Amico mio, come sta oggi?»
«Quale dei piccoli aiutanti di Reuben ha appiccato il fuoco? Voglio i nomi».
«Ha preso un bel colpo in testa, ieri, già».
«Mi dia un dannatissimo nome!».
Nessuna risposta, dall’altra parte della linea.
La parte di vetro limpida risaliva lentamente.
«Non è stato Reuben, sono stato io».
«È stato lei? Ma che diavolo…».
«Pensavo che ne sarebbe stato contento! La casa mobile era piena di sangue: il suo e quello di Eddy. C’erano tracce di dna ovunque, e segni di colluttazione… Adesso non c’è nessuna prova che può collegarla a nulla. Ha detto che tutta quella roba sarebbe comunque finita in un negozio dell’usato o in una discarica, quindi ho dato fuoco al posto».
«Ah».
«Non importa quanto si sforzino di cercare, nessuno arriverà mai a mettere lei e Eddy nello stesso posto. Lui è sparito, il globo di neve pure, la scena del crimine idem. Non ha più niente di cui preoccuparsi».
Se solo fosse stato così facile.
Il vento faceva tremare la finestra della stanza dell’hotel, facendo sbattere raffiche di nevischio contro il vetro.
Martin Milne era seduto sul bordo del letto singolo, con la testa tra le mani.
Una piccola e squallida stanza di un piccolo e squallido albergo, con le finestre che davano sul mare agitato. Proprio il posto dove ci si poteva rinchiudere con l’idea di suicidarsi in testa. Cosa che, al momento, era una possibilità piuttosto concreta, considerato lo stato attuale in cui versava Milne.
La sua voce era poco più che un bisbiglio. «Mi ha buttato fuori».
Be’, non era poi questa gran sorpresa.
Logan tirò fuori i fogli stampati dalla tasca della giacca. «Ho bisogno che lei controlli alcune foto, Martin. Dovrebbe dirmi se riconosce gli uomini con cui ha parlato del prestito».
«Ha detto che ero velenoso». Milne prese le foto. Aggrottò la fronte.
«Dobbiamo trovare quelle persone, Martin. È importante».
«Non rivedrò mai più Ethan. E lui è tutto, per me…».
Sì, certo. Se Milne teneva tanto a suo figlio, come mai stava per scappare a Dubai con Peter Shepherd? Abbandonando quel povero ragazzino e lasciandolo crescere senza un padre. Che schifo.
Logan incrociò le braccia sul petto. «Martin? Lei dove è andato? Dopo che hanno ucciso Peter Shepherd, dove è andato?».
Lui guardò la foto successiva. «Dove sono andato?»
«È sparito per quattro giorni. Tutti erano preoccupati per lei. Katie era preoccupata per lei».
«Non mi rivorrà mai in casa, vero?».
Ovvio che no.
«Le dia del tempo».
Lui annuì. «Dopo che…». Si morse un labbro. Tirò su con il naso. «Mi sono nascosto nei boschi, la prima notte. Avevo troppa paura di prendere sonno, temevo che sarebbero tornati. Il giorno dopo si è messo a piovere, e io non ho fatto altro che camminare». Si accigliò. «Un vecchio mi ha dato un passaggio fino a Turriff nel suo furgone. Sono andato in un b&b e sono rimasto chiuso nella stanza con le tende tirate». Sollevò il mento. «E poi ho capito che mi stavo comportando da egoista. Dovevo tornare a casa e proteggere la mia famiglia. Mio figlio». Chinò di nuovo il capo. «Ma come potrò proteggerlo, se mia moglie non vuole più rivedermi né farmi entrare in casa?».
Logan gli posò una mano sulla spalla. Tentò un sorriso consolatore. «Katie è arrabbiata. Probabilmente si sente tradita, ingannata, raggirata. Le ci vorrà un po’, per passarci sopra».
Lui annuì.
«Vuole tenere Ethan al sicuro, giusto?».
Milne annuì ancora.
«E allora guardi quelle foto e cerchi di identificare gli uomini con cui lei e Peter avete parlato».
Milne riprese le stampe e si accigliò, fissando i vari volti. Si prese del tempo.
Voci soffocate si udirono dalla stanza accanto, seguite dalle note allegre di un cartone animato alla tv.
Qualcuno passò in corridoio, fuori dalla porta.
Milne indicò una delle foto. «Questo qui somiglia un po’ al tizio che si faceva chiamare Tre».
«Nessun altro?».
Lui scosse la testa. «Non ho fatto molta attenzione, quando li ho incontrati». Una piccola risata, strozzata e affaticata, gli lasciò le labbra. «Io e Pete avevamo parlato per tutta la mattina dell’idea di fuggire insieme a Dubai. Lì non apprezzano molto i… be’, gli uomini che stanno insieme, ma Pete diceva che ce la saremmo cavata. Se fossimo stati discreti. E comunque, la paga era favolosa».
Logan lo fissò. «E cosa mi dice di Ethan? Se lei se ne fosse andato a Dubai a guadagnare paghe favolose, che ne sarebbe stato di suo figlio?».
Milne si mise a giocherellare con il copriletto, tenendo gli occhi sulle dita. «L’avremmo portato con noi».
Sì, certo.
«C’erano soltanto due permessi di soggiorno, Martin».
«Ne avevo fatto uno di novanta giorni per lui online. Volevo vedere se gli sarebbe piaciuto vivere con noi a Dubai, prima di rendere la cosa permanente…». Si strinse nelle spalle. «Non che importi più, ormai…».
Logan prese i fogli e tracciò un numero tre sulla foto scelta da Milne. L’uomo nello scatto aveva i capelli castani pettinati all’indietro e due folti baffi. Sembrava una pacchiana imitazione di un pornodivo degli anni Ottanta.
Milne si asciugò gli occhi. «Non credo che più nient’altro importi, ormai».
Becky stava aspettando Logan, quando uscì in corridoio. «McRae».
Lui chiuse la porta della stanza d’albergo. «Sergente McKenzie».
Lei accennò con il mento all’uscita. «Lei è lì fuori?»
«Chi, la Steel? No». Si infilò sotto un braccio il mucchio di fogli. «Senta, per qualunque cosa vi stiate scannando voi due, io non c’entro niente. Faccio solo quello che mi viene ordinato di fare».
«Quella vecchia vacca piena di rughe». Becky incrociò le braccia sul petto. «Non fa altro che urlare e lamentarsi e fare commenti sarcastici».
«Già».
«Sa che ha incasinato il registro degli straordinari di gennaio? Di tutto il mese. Di nuovo. E come farò io a far studiare i miei due figli e a pagare il mutuo, se quella continua a fare casino con gli straordinari?».
Logan sollevò una mano. «Sta sfondando una porta aperta, per quel che mi riguarda. Vuole un consiglio?»
«No».
«Molto bene». Si girò e si avviò all’uscita. Era arrivato quasi alla porta, quando sentì Becky che lo rincorreva.
Lo afferrò per un braccio. «Okay. Mi dica».
«La Steel non ha voglia di occuparsi delle scartoffie, quindi fa casino finché qualcuno non decide di mettersi lì e occuparsene al suo posto. Vuole che gli straordinari le vengano riconosciuti? Non deve fare altro che occuparsi lei del registro, oppure convincere qualcun altro del team a farlo».
Becky fece una smorfia. «Ma è compito suo!».
«Io l’ho fatto per nove anni. Non lo dica a me». Entrò nella hall dell’albergo, una squallida stanza beige con delle piante in vaso che stavano morendo e una moquette inguardabile.
«Io odio essere un poliziotto!».
Benvenuta nel club.
Il nevischio si incollava al parabrezza. Una o due persone oltrepassarono in fretta la macchina, a testa bassa, le spalle sollevate e i denti scoperti. Non guardarono l’impresa di pompe funebri.
Logan appoggiò il foglio stampato contro il volante. «Secondo il database, si tratta di un certo Adrian Brown, ovvero Brian Jones, ovvero Tim Donovan».
«Un momento». La Harper tacque per un attimo, facendo sentire soltanto una serie di fruscii. «Sì, trovato. Adrian Brown, trentadue anni; un metro e settantacinque; condannato per aggressione, aggressione, furto, un’altra aggressione e, tanto per cambiare, aggressione».
Una luce si accese all’interno della Beaton e Macbeth.
«Proprio un tipo a posto, vero?»
«Dovrebbe essere con gli Scagnozzi di Manchester, che ci fa quassù?»
«Potrebbe anche non essere lui. Milne ha detto che “somigliava” al numero Tre, quindi non abbiamo un’identificazione sicura al cento per cento».
«Uhmm… e come sta il nostro capro espiatorio?»
«Milne? Non fa che crogiolarsi nell’autocommiserazione, direi».
«Gli sta bene».
Non aveva tutti i torti. Milne aveva deciso di abbandonare la moglie e scappare con un altro in un luogo lontano. E Katie non gli avrebbe mai lasciato portare via Ethan. No, probabilmente sarebbe stata una fuga di mezzanotte fino all’aeroporto, per partire per Dubai prima che lei si svegliasse.
Però almeno Ethan avrebbe avuto un padre, sarebbe cresciuto con un padre.
Già.
Logan si schiarì la gola. «C’è altro, signore?»
«Gli hai fatto capire bene cosa potrebbe succedergli se non collaborerà? Se Malk lo Squartatore o Ma Campbell si mettono in contatto con lui e lui non ce lo fa sapere, mi assicurerò personalmente che venga rinchiuso per molti anni».
«Sta già crollando per la pressione che ha addosso. Se esageriamo, si spezzerà».
«Non provare a insegnare a tua sorella come si beve un uovo, sergente. Non è la mia prima operazione contro il crimine organizzato. Ho bisogno di risultati, non di scuse».
«Sì, signore».
E, a quel punto, lei chiuse la telefonata.
Logan ripiegò le stampe e se le ficcò in tasca, insieme al cellulare, poi cercò nel cassetto del cruscotto la busta imbottita. Prese un respiro profondo, uscì dalla macchina e corse verso l’impresa di pompe funebri.
Andy lo aspettava con la porta aperta. «Signor McRae». Il completo nero era immacolato, la camicia così bianca che si sarebbe potuta usare in una pubblicità del detersivo. Gli tese la mano, e Logan la strinse.
«Grazie per aver aperto solo per me, Andy. Lo apprezzo molto».
Lui scosse appena il capo. «Sciocchezze. Non è affatto un problema». Come se di solito si mettesse in completo scuro, di domenica, così, per sicurezza. «Vuole seguirmi?». Lo guidò oltre la reception, in una stanza buia con un singolo faretto acceso.
Il faretto illuminava una bara aperta, di lucido legno nero con l’interno di seta rossa.
Qualcosa si incastrò nella gola di Logan, come se avesse cercato di inghiottire un sasso.
Samantha era distesa nella bara, le mani intrecciate sullo stomaco. L’avevano vestita con tutti i suoi abiti più belli, dal corsetto di cuoio alla gonna, fino ai guanti.
Si avvicinò.
La sua testa sembrava strana. Poco familiare. Come se… Allungò una mano ad accarezzarle la fronte, dove ci sarebbe dovuto essere il buco. «L’ha sistemato».
«Volevamo renderla orgogliosa di noi, signor McRae».
«È bellissima». Proprio come nella foto del matrimonio di Rennie. Il trucco era perfetto: le sue pitture di guerra e i piercing. Erano riusciti perfino a dare alla pelle un colorito che la faceva sembrare di nuovo viva. I suoi tatuaggi erano netti e perfetti, come se li avesse appena fatti.
«Vuole che la lasci solo un momento con lei?»
«Sì, grazie».
«Sarò qui fuori, se ha bisogno di qualcosa». Andy si girò e si allontanò silenziosamente dalla stanza, come se avesse dei cuscinetti a sfera sotto alle scarpe.
Logan tentò un sorriso. «Finalmente soli».
Nessuna risposta.
Lui sollevò la busta imbottita. «Un regalino per te». Pescò la copia cartonata di L’ombra dello scorpione di Stephen King e la infilò nella bara accanto a lei. «L’ho trovata online. È autografata».
Restò lì. Spostò il peso da un piede all’altro. Le posò una mano sulla spalla nuda, poi sussultò e la ritrasse. La pelle di Samantha era fredda al tocco.
Be’, era ovvio che lo fosse. Poteva sembrare addormentata, ma non significava che Andy non avesse preso il suo corpo dalla cella frigorifera dell’obitorio mentre Logan era al telefono, nel parcheggio.
Non stava dormendo. Era morta.
«Sergente?».
Logan alzò lo sguardo dallo schermo del computer. Sbatté le palpebre un paio di volte. «Rennie».
Rennie entrò quasi in punta di piedi nell’ufficio dei sergenti, con due tazze e una busta gialla in mano. «Del tè». Posò le tazze sulla scrivania e si guardò alle spalle, prima di passare la busta a Logan. Come se fossero spie che si incontravano in un parcheggio per scambiarsi segreti di stato.
Okay.
«Non devi chiamarmi sergente, abbiamo lo stesso grado, ormai».
«La forza dell’abitudine». Rennie si sedette di fronte a lui. Sorrise. «Avanti, la apra».
Logan lo fece. All’interno c’era un mucchio di fogli stampati e un pacchetto rosso e dorato, grande più o meno quanto una vecchia videocassetta. Lui sollevò un sopracciglio. «È quello che penso?»
«Oh, sì».
«Chiudi la porta».
Mentre Rennie li metteva al sicuro dagli occhi indiscreti del mondo esterno, Logan aprì la confezione di deliziosi wafer al caramello Tunnock’s. Ne lanciò uno dall’altra parte della scrivania e ne prese uno per sé. «A cosa dobbiamo l’onore?»
«A Colei che Va Temuta e Rispettata. Ha detto che quando avremo finito con tè e biscotti, ce ne dobbiamo andare al diavolo e farci un pisolino». Rennie scartò il wafer al cioccolato e ne prese un gran morso, coprendosi il mento di briciole scure. «Vuole che siamo tutti riposati e pronti per stanotte».
Il wafer si trasformò in carta assorbente, nella bocca di Logan. «Per stanotte?»
«Sì, l’irruzione antidroga».
«Oh, Dio». Logan si piegò in avanti e sbatté la fronte contro la scrivania.
«Che c’è?».
Fantastico. Perché avere la Harper e il suo aiutante alle calcagna non era già abbastanza orribile.
Thunk.
«Perché ha detto “Oh, Dio”?».
Logan lasciò la fronte contro la superficie di legno freddo. «Tu e la Steel volete infilarvi nella mia irruzione».
«Be’, ecco, sa com’è. Se dovesse dimostrarsi importante per l’indagine sulla morte di Peter Shepherd, la Steel vuole…».
«Prendersene il merito».
«Non la metterei esattamente in questi termini…».
«Mi spiace, niente da fare. Puoi informare Sua Altezza delle Rughe che ho già il sovrintendente Harper, l’ispettore Singh e l’ispettore capo che viene da Elgin in squadra. Avremo più ufficiali di alto grado che veri agenti di polizia, in questa dannata irruzione». Si raddrizzò. «Avrei dovuto lasciarla a Beaky». Logan aggrottò la fronte. «Magari non è troppo tardi per restituirgliela».
Rennie prese un altro morso del suo wafer. «Suvvia, sarà come ai vecchi tempi. Io, lei e il Sacro Terrore Rugoso… sulla strada della verità e della giustizia. A buttare giù porte e arrestare tutti».
Thunk.
«Che c’è? Perché sbatte la testa contro la scrivania?».
Thunk. Thunk. Thunk.