Capitolo 32
«…inutile massa di stronzi incompetenti». La Steel lanciò il giornale sul tavolo da conferenza.
Nessuno si mosse. Dieci agenti in borghese, quattro in uniforme, tutti serrati nella sala investigativa principale, e tutti intenti a fare del loro meglio per evitare il contatto visivo con lei.
La Steel andò alla finestra, bloccando la vista della baia di Banff e della neve che continuava lenta a fioccare. «Allora?». Se non altro, stava anche peggio del giorno prima. Il pigiama con i pinguini era sparito, sostituito da un completo grigio antracite e da una camicia di seta rossa, ma i lividi si erano scuriti e allargati. Un paio di occhi neri da competizione se ne stavano ai lati del naso medicato, circondati da aloni verde-giallastri. Il livido sulla guancia aveva il colore delle prugne troppo mature.
Li guardò male con l’unico occhio buono, l’altro ancora gonfio come un soufflé. «Come pensavo. Ma sappiatelo: non lo dimenticherò e non sono disposta a perdonare. Quando scoprirò chi è stato a dare al “Sunday Examiner” un’esclusiva, mi assicurerò che quel qualcuno cammini piegato in due per un mese. Mi sono spiegata?».
Qualcuno si schiarì la gola.
Logan si appoggiò alla parete alle sue spalle, mantenendosi più fermo possibile. Ogni movimento gli affondava aghi e lame nella schiena, nelle costole e nello stomaco.
La Steel lanciò un’altra occhiataccia. «Allora, chi ha voglia di essere strapazzato». Sollevò un dito e puntò uno a uno gli agenti riuniti intorno al tavolo: «Un, due, tre, brutto pigro tocca a te». Il dito si fermò davanti al sergente Robertson e ai suoi basettoni. «Tu, Pop Larkin, dov’è la lista che avevo chiesto delle conquiste galanti di Milne e Shepherd?».
Le guance di Robertson si fecero di un rosso evidente, sopra alle ridicole basette. «Non è semplice come si potrebbe pensare. Sto cercando di identificare tutti i volti comparsi nelle foto, ma…».
«e allora sforzati di più!». La Steel sbatté una mano contro il tavolo, facendo sussultare tutti. «Questa è un’indagine per omicidio, non una cazzo di partita a Cluedo. Quando vi dico di fare qualcosa, voi dovete farla e basta!».
Robertson arrossì ancora di più. «Sì, capo».
«Andiamo avanti! Chi di voi idioti doveva indagare sugli schifosi che hanno aggredito me e quella povera bestia del sergente McRae, lì?».
Ci fu una pausa, poi il sergente Weatherford alzò la mano.
Di colpo, la Steel cambiò atteggiamento, addolcendosi tutta. «Ah, Donna. Bene. Dimmi, Donna, li hai già fatti arrestare?»
«Ecco…». Lei si guardò intorno, ma tutti evitarono il suo sguardo. «Non esattamente, vede…».
«e perché no, dannazione?».
La Weatherford si fece piccola piccola sulla sua sedia. «Non ci sono impronte digitali! E non avremo i risultati sul dna fino a…».
«aaaargh!». La Steel sbatté di nuovo la mano sul tavolo. «È di questo che sto parlando. Tutti voi: dovete impegnarvi maledettamente di più di quello che state facendo!».
Poi la Harper si alzò in piedi. «Grazie, ispettore capo». Indicò le azioni scritte sulla lavagna magnetica. «Sapete tutti quello che dovete fare, quindi muovetevi e fatelo. E cercate di tenere la bocca chiusa, stavolta».
Il rumore delle sedie smosse riempì la stanza, mentre il Team Investigativo Primario usciva, a testa bassa, di sicuro motivato dopo aver sentito urla disumane per almeno dieci minuti.
Logan attese che la porta si chiudesse e scivolò su una delle sedie rimaste vuote. Fece una smorfia. I coltelli gli si erano di nuovo piantati nella carne. Esalò un sospiro sibilante tra i denti.
La Steel gli offrì il dito medio. «Non cominciare. Non avrai alcuna comprensione da me. Vuoi sapere cos’è il dolore? Dai un’occhiata a questo, allora». Si sollevò la camicia, esponendo il fianco. La mappa della Russia a motivi cachemire di cui si era lamentata il giorno prima se ne stava lì, in tutte le sue gloriose sfumature blu, verdi e viola. Spiccava violenta sulla pelle candida, sparendo sotto l’orlo del reggiseno rosso fuoco.
«Santo Dio, si copra». Logan fece una smorfia e distolse lo sguardo. «Sta cercando di farmi vomitare la colazione?»
«Piccolo bastardo impertinente».
La Harper si sedette a capotavola. «D’accordo. Credo che sia venuto il momento di finirla con le chiacchiere. Concentriamoci sul problema attuale». Si appoggiò allo schienale, unendo le punte delle dita. «Quanti danni ci procurerà questa storia, Roberta?».
La Steel tirò su con il naso, per poi raccogliere la copia del «Sunday Examiner». La aprì in modo da mostrare la prima pagina. C’era una grossa foto di Martin Milne, sopra al titolo a caratteri cubitali: sospettato di omicidio collabora con la polizia, secondo un agente. Lo lanciò di nuovo sul tavolo. «Non è proprio una bella notizia, vi pare?»
«Be’, immagino che sarebbe ingenuo da parte nostra pensare che Malk lo Squartatore non potesse aspettarsi una cosa del genere. La domanda è: questo articolo cambia qualcosa? Logan?». Il sorriso che accompagnò il suo nome era teso, ma almeno c’era. Manteniamo la professionalità, diceva.
Lui prese il giornale.
Una fonte anonima del Team Investigativo Primario conferma che Martin Milne (30) sta collaborando con la Polizia di Scozia per identificare i responsabili dell’omicidio, avvenuto la settimana scorsa, del suo amante, l’imprenditore di Peterhead Peter Shepherd (35). Il corpo del signor Shepherd era stato ritrovato nei boschi a sud di Banff…
Ebbene, se Milne sperava di tenere segreta la sua relazione con Shepherd, ormai era troppo tardi.
Logan si succhiò i denti, osservando la foto. «Se io fossi Malcolm McLennan, e sapessi che la polizia mi sta tenendo gli occhi addosso, non mi sognerei neppure di dare a Milne della merce da contrabbandare, adesso. Troppo rischioso».
«Quindi la nostra intera operazione è andata al diavolo, perché qualcuno nel Team Investigativo Primario non è riuscito a tenere la bocca chiusa».
«Sempre che Malcolm McLennan abbia davvero qualcosa a che fare con questa storia. Lui l’ha negato, al funerale…». Aggrottare la fronte faceva male, ma Logan lo fece comunque. «E se fosse tutto un diversivo? Uccidere Peter Shepherd in quel modo, lasciarlo abbandonato in un punto dove sicuramente sarebbe stato trovato… al diavolo il basso profilo, non vi pare? Avremmo per forza collegato quel cadavere a McLennan. E Shepherd a Milne. Forse è questa l’idea di base?»
«Giusto». La Harper guardò fuori da una delle finestre della stanza.
All’esterno, le luci di Macduff erano appena visibili nel buio che precedeva l’alba. La neve si aggrappava alla collina, laggiù, azzurrina e profonda.
La Steel si passò con cautela le dita intorno all’occhio gonfio. «E se fosse stato uno degli altri criminali in giro? Black Angus MacDonald, per esempio, o Ma Campbell?».
Logan tamburellò contro il tavolo con un polpastrello. «Può darsi. La Campbell sta già facendo arrivare della droga a Macduff, quindi forse questo è il suo modo per assicurarsi che spostiamo tutta la nostra attenzione su McLennan, lasciandola libera di trafficare. Se si fa abbastanza rumore, il segnale si nasconde».
«Uhmm…». La Harper mantenne gli occhi sulla finestra. «E i soldi presi in prestito da Milne e Shepherd?»
«L’unico motivo per cui Milne può pensare che vengano da Malcolm McLennan è perché Shepherd gli ha detto così. Potrebbero aver trattato con chiunque, e Milne non avrebbe mai potuto saperlo, no? Inoltre, questo porterebbe anche la malavita locale a pensare che è McLennan quello che si sta muovendo sul territorio, e non Jessica Campbell. Se ci fossero ritorsioni, sarebbero a Edimburgo, non a Glasgow».
Qualcuno bussò alla porta, e Narveer fece capolino all’interno. Il turbante, quella mattina, era a scacchi blu-verdi, con linee gialle intorno. «Sovrintendente? C’è il vicecomandante al telefono per lei».
«Grazie, Narveer». La donna si alzò. «Non possiamo permetterci di smettere di tenere d’occhio Milne, ma concordo sul fatto che possa essere tutto un diversivo. Logan, vorrei che indagassi riguardo a Ma Campbell e ai suoi uomini. Ottieni da Milne tutte le possibili descrizioni delle persone che ha incontrato, e vedi se troviamo un riscontro. Proviamo ad abbassare un po’ il rumore di fondo e a captare il giusto segnale».
Logan annuì. «Sì, signore».
«Molto bene. E ora, se volete scusarmi, devo andare a spiegare ai nostri capi perché non abbiamo ancora fatto alcun progresso su questo dannato caso da giovedì a oggi».
Quando la Harper uscì, la Steel si afflosciò sulla sedia. «Allora, già andate a letto, voi due?».
Lui le mostrò il dito medio. «Doveva proprio fare a pezzi Robertson e la Weatherford davanti a tutti? Quei poveracci stanno facendo del loro meglio».
«Avanti, l’ho vista come ti guardava, durante la riunione. Ieri pensava che fossi una macchia marrone sull’asciugamano della vita, e ora ti lancia occhiate interessate come se fossi in offerta al supermercato». La Steel sogghignò. «Allora, te la sei scopata, vero?»
«È mia sorella, okay?»
«Ti sei scopato tua sorella? Sei davvero disgustoso. L’avevo detto a Susan che non avremmo dovuto regalarti quel cofanetto de Il trono di spade».
Lui si alzò. «Sa cosa? Sono proprio contento che le facciano male le costole. Se lo merita».
Campi coperti di neve sfilavano ai lati dei finestrini. Senza alcun colore, tutto sembrava morto sotto il cielo grigio.
«Ooh, questa mi piace». Rennie staccò una mano dal volante e alzò il volume della radio. Le note di un’insipida cover da X-Factor di una canzone di Marilyn Manson uscirono dagli altoparlanti.
Logan si allungò in avanti dal sedile posteriore e gli mollò una schicchera sull’orecchio, quasi nello stesso momento in cui la Steel lo colpiva sulla spalla dal sedile davanti.
«Ahi!».
La Steel lo fulminò con lo sguardo. «Se stavi pensando di metterti a cantare ad alta voce, sappi che mi assicurerò che sia in falsetto, intesi?»
«Che ignoranti». Però abbassò di nuovo il volume della radio.
Una Citroën Saxo di un arancione acceso era rovesciata sul tettuccio, per metà finita nel fossato al lato della strada e per metà sul campo subito oltre, dopo aver schiantato il muretto a secco tra i due. Il suo paraurti sovralimentato era volato a qualche metro di distanza, contorto e spezzato. Un adesivo con la scritta “in attesa della polizia” era incollato sul finestrino posteriore dell’auto rovesciata.
Rennie la indicò con il pollice. «Ne avevo una così, quando facevo le corse, da ragazzo. Un’auto da pazzi».
«Come mai non mi sorprende?», commentò Logan, guardandola scivolare oltre il finestrino: grandi archi bombati sopra le ruote, doppio tubo di scappamento e cerchi in lega.
Era sempre la stessa storia, ogni maledetto inverno. Guidavano quasi tutti come vecchiette al primo accenno di neve, ma c’erano idioti che continuavano a correre come se niente fosse.
La Steel si girò sul sedile, con una smorfia. «Come mai non mi hai mai detto che avevi una sorella?»
«Non lo sapevo io stesso fino a ieri sera». Logan staccò la ricetrasmittente dal gancio. Si poteva dire quello che si voleva sulla noia di doversi portare addosso un pesante giubbotto antiproiettile per tutto il santo giorno, ma le chiusure in velcro e i pannelli rinforzati all’interno gli sostenevano la schiena e gli impedivano di muoverla troppo. Il che gli permetteva di ridurre al minimo le coltellate di dolore.
«Ah, sì? E l’hai scoperto prima o dopo che te la sei portata a letto?»
«Ma cresca, una buona volta». Inserì il numero dell’ispettore di turno nella ricetrasmittente e premette il pulsante per parlare. «Bravo India, potete parlare?»
«Un McRae paga sempre i suoi debiti».
«Ha finito? La sua…».
La voce di un uomo riecheggiò dalla ricetrasmittente. «Parla pure, Logan».
«Capo, devo partecipare all’irruzione di stasera».
L’ispettore Mhor sospirò. «Che ci creda o no, sergente, non sono nato ieri».
«Mi scusi, capo?»
«Pensi davvero che l’ispettore del turno di giorno non parli con quello del turno di notte? Io e l’ispettore McGregor ci aggiorniamo sempre su tutto, quando ci scambiamo il turno, e questo include tutto ciò che è accaduto durante le sue ore di lavoro. Quindi so che sei stato spostato nel Team Investigativo Primario».
«Sì, ma…».
«Niente ma. Il sergente Ashton gestirà l’irruzione in casa di Ricky Welsh. Cosa credevi, che io avrei detto di sì se l’ispettore McGregor ti ha detto di no? Mi deludi, sergente».
Il sole che stava sorgendo dietro l’orizzonte trovò una fessura nella pesante cappa grigia, spedendo lame dorate sui campi imbiancati di neve.
«Non sto cercando di ingannare nessuno, capo. Il sovrintendente Harper vuole che io indaghi sul possibile coinvolgimento di Jessica Campbell nella morte di Peter Shepherd. La droga in casa di Ricky e Laura è l’unico collegamento che abbiamo, al momento. Quindi…?»
«E alla Harper sta bene?»
«È stata una sua idea». D’accordo, qui stava manipolando un tantino la verità, ma che diavolo, non avrebbe fatto del male a nessuno.
Più in alto, Whitehills incombeva in lontananza. La luce dei lampioni dava al luogo un’aura giallastra e malaticcia.
Ancora nulla da Bravo India.
Avevano ormai oltrepassato i confini della città quando la voce dell’ispettore Mhor tornò a farsi sentire dalla ricetrasmittente. «D’accordo. Logan, sono pronto a metterti di nuovo a capo dell’irruzione. Ma voglio un bel risultato: ci sta costando una fortuna, quindi vedi di farci guadagnare qualcosa in cambio».
«D’accordo. Grazie, capo».
Rimise a posto la ricetrasmittente. Finalmente qualcosa cominciava a girare per il verso giusto.
Rennie svoltò a destra prima di entrare nel centro di Whitehills, scendendo giù dalla collina verso casa di Martin Milne.
La Steel si girò e tornò a fissare Logan, strizzando gli occhi. «Era tutto per farti arrivare a questo punto, vero?»
«Non so di cosa sta parlando».
«Tutta quella storia che non si poteva sapere con chi aveva parlato davvero Peter Shepherd… in realtà, volevi soltanto riprenderti la tua irruzione».
«Ha sentito cosa ha detto il sovrintendente Harper, no? Ha ritenuto giusto che si indagasse questa pista».
«Sei un piccolo bastardo manipolatore». Un sorrisetto le sollevò un angolo delle labbra. «Ti ho insegnato bene, giovane Padawan».
Una recinzione a rete comparve sulla loro destra, a circondare il cantiere ancora aperto. Sembrava che non fossero gli unici ad aver letto l’articolo del «Sunday Examiner»: l’assedio dei media era tornato. Tre furgoni dei notiziari e una dozzina di auto erano parcheggiati sulla strada parzialmente incompleta, con i fumi dei tubi di scarico che si alzavano nell’aria mattutina. Alcune delle macchine più vecchie mostravano uno spiraglio nei finestrini, con del fumo di sigaretta che si univa a quello delle auto.
Gli occupanti si girarono a fissare l’auto della polizia, mentre avanzava attraverso le buche.
Rennie si parcheggiò davanti alla casa di Milne. «Capo?»
«Sai che gli faccio allo stronzo rancido che ha spifferato questa storia, se lo trovo?». La Steel arricciò il labbro superiore e lanciò un’occhiataccia oltre il parabrezza. «Dove sono gli altri? Sarebbero dovuti essere qui, a controllare la situazione».
Non c’era traccia di un’altra autopattuglia. Non c’era traccia della McKenzie, né dei suoi uomini.
La Steel tirò fuori il cellulare e armeggiò con lo schermo. Poi lo portò all’orecchio. «Becky?… Sì, sto benissimo, grazie, un po’ ammaccata, ma non mi lamento. E tu? Oh, bene. Senti, ho una domandina per te: dove cazzo d’un cazzo stracazzo sei?».
Rennie sussultò, portandosi entrambe le mani alle orecchie.
«No, neanche per sogno, perché sono qui davanti proprio adesso. Se sono arrabbiata? E perché dovrei? Ah, un attimo, ora me lo ricordo: ti avevo detto di tenere d’occhio martin milne! …Sì, credo che sia meglio, sergente, e quando sarai qui, vedremo quanto del mio stivale potrà infilarsi su per il tuo dannato sedere!».
Logan uscì dalla macchina, per poi allungarsi a recuperare il giubbotto catarifrangente.
«Niente scuse!». Lei gli lanciò un’occhiataccia con l’unico occhio buono. «Lo sportello!». Poi tornò al telefono. «Non tu, Becky, McRae sta facendo entrare il freddo. Dov’ero. Ah, sì: cosa diavolo pensavi di…».
Logan chiuse lo sportello e si avviò lungo il vialetto, verso la casa.
Rennie si affrettò a seguirlo, raggiungendolo mentre lui già suonava alla porta. Tentò un piccolo sorriso incerto. «Come va? Insomma, con la storia di Samantha, e del sovrintendente Harper, e di suo padre e tutto?»
«Non pensavo che te ne importasse». Logan fece un passo indietro e sbirciò dentro al vetro coperto di condensa gelida al lato della porta. Nessun segno di vita
«No, dico sul serio. Non posso neanche immaginare quanto sia dura». Il sorriso divenne un’espressione accigliata, poi Rennie posò una mano sulla spalla di Logan. «Io… ecco… sono qui, se serve».
«Okay. Grazie».
«Allora, com’è ritrovarsi di colpo con una sorella minore?».
Logan tornò a suonare il campanello. «Un po’ meno fastidioso di avere intorno te».
Lui sogghignò. «Dunque, qual è il piano?»
«Hai sentito la Steel: Malcolm McLennan non proverà certo a mettersi in contatto con Milne, se questa gente continua ad assediare la casa». Indicò la falange di auto. Alcuni degli occupanti erano già usciti, con le macchine fotografiche pronte. «Vai a controllare ogni singola patente, le gomme, le luci dei freni e tutto il resto che può venirti in mente».
Il labbro inferiore di Rennie si sporse in un’espressione imbronciata. «Perché proprio io? È lei quello in uniforme, dovrebbe essere lei a… ehm».
Logan lo fissò.
Rennie si schiarì la gola. «Sì. D’accordo». Poi si girò e imboccò di nuovo il vialetto, intercettando l’avanguardia dei giornalisti che stava raggiungendo il marciapiede davanti alla casa. «Molto bene, signore e signori, devo controllare le vostre patenti di guida».
La porta si aprì, e una scarmigliata Katie Milne sbatté le palpebre, fissando Logan. «Ha idea di che ore siano?». Sbirciò oltre la sua spalla e le spalle le si afflosciarono. «Oh, Dio, di nuovo loro. Perché non possono semplicemente lasciarci in pace?»
«Signora Milne, so che è molto presto, ma dobbiamo parlare con suo marito. C’è un articolo, sul giornale di oggi, di cui probabilmente vorrà parlargli anche lei». Ed era un eufemismo. Ehi, tuo marito si faceva il suo socio in affari e tutte le donne che riuscivano a convincere ad andare a letto insieme a loro.
A proposito, buona domenica.