Capitolo 10
La strada serpeggiava intorno alla scogliera, scendendo, abbastanza ripida da costringere Ciuffo a scalare in seconda. Pennan era un mucchietto di tetti in lontananza, tutti uniti insieme a proteggersi dal Mare del Nord che si gettava contro i frangiflutti del piccolo porto, gli scogli e la spiaggia sassosa.
Ovviamente, non era così sorprendente che l’«Aberdeen Examiner» fosse stato tanto veloce a pubblicare la notizia della morte di Hamish Mowat. Probabilmente l’articolo era pronto da mesi. Solo in attesa di uscire, con le citazioni rinnovate di tanto in tanto.
La bbc doveva avere una roba del genere pronta per quando la Regina avesse stirato le reali calzette, giusto? Testimonianze, foto, documentari. Perché il più grande signore del crimine di Aberdeen non doveva avere un trattamento simile?
Soprattutto considerando che Reuben era lì pronto a sedersi sul trono vacante: il re è morto, lunga vita al re.
Rallentarono quasi a passo d’uomo, la Macchina Grande passava a stento tra un edificio grigio, simile a un lastrone di marmo, e il Pennan Inn, dalla facciata intonacata di bianco. Imboccarono l’unica strada del piccolo villaggio. Case su un lato, le onde furiose del mare sull’altro.
Ciuffo guardò a sinistra. La pioggia copriva il parabrezza, picchiettando sul tetto della macchina e rimbalzando sul cofano. «Un po’ triste, non trova?».
Le onde rimbombavano contro il frangiflutti, spedendo spruzzi spumosi in alto, che restavano immobili come nuvole per un attimo per poi piombare giù sull’asfalto.
Alcune delle case avevano l’ingresso sulla strada, ma per la maggior parte davano verso le strade laterali, porgendo il fianco alla tempesta. Stretti vicoli separavano gli edifici, con gli ingressi al riparo dal vento.
Ciuffo si fermò e indicò una piccola casa tradizionale a due piani, con le pareti intonacate di bianco e una Porsche parcheggiata sul davanti. «Eccola». Un’altra onda si schiantò contro gli scogli, e gli spruzzi coprirono completamente l’auto sportiva. L’agente fece una smorfia. «Che ne dice, aspettiamo che spiova un po’?»
«Ci staremmo tutta la settimana». Logan slacciò la cintura di sicurezza, si calcò il berretto dell’uniforme in testa e si infilò a fatica il giubbotto catarifrangente. Facendo del suo meglio per non prendere Ciuffo a gomitate in faccia. «Avanti, andiamo».
Fu come finire sotto una salva di unghiate gelate.
Si chiuse di scatto lo sportello alle spalle e si affrettò ad attraversare la strada, scivolando nel vicolo tra il davanti della casa di Peter Shepherd e il retro della successiva della fila, proprio mentre un’altra onda si abbatteva sugli scogli.
«Aaaaaagh! Dio… dannazione… al diavolo…». Ciuffo raggiunse il vicolo con le braccia allargate, gocciolante, la bocca spalancata. «Gagh…».
Logan provò a suonare il campanello.
Un trillo riecheggiò all’interno, ma nessuno rispose.
Ci riprovò.
E poi ancora.
Ciuffo sollevò una gamba e scosse il piede. «Sono zuppo».
Okay, nessuno era in casa. Ma, considerando che Shepherd era disteso sulla schiena nel cassetto della stanza frigorifera di un obitorio, aspettando il suo turno per l’autopsia, non era certo una sorpresa.
Logan provò ad abbassare la maniglia.
Chiusa a chiave.
«Se fossi saltato nell’oceano, sarei meno bagnato di così…».
Logan si girò. La casa che dava le spalle a quella di Shepherd aveva un paio di finestre sulla parete posteriore. Le luci erano accese all’interno, i vetri coperti di condensa e le note di quella che sembrava una canzone dei Led Zeppelin provenivano dall’interno. Logan bussò alla finestra.
Una figura in ombra si avvicinò, per poi passare una mano sulla condensa, rivelando un volto affilato, con tanto trucco nero sugli occhi e un ciuffo grigio. La donna si accigliò per un attimo, poi aprì la finestra. La musica rock si diffuse sotto la pioggia, forte e chiara, accompagnata dal profumo burroso e dolce di qualcosa che cuoceva in forno. «sì?».
«Stiamo cercando…».
«per favore, alzi la voce!».
Logan si fece più vicino. «stiamo cercando il suo vicino di casa. peter shepherd».
«ah, pete? no, non è in casa. lui… un momento». La donna sollevò un indice contorto dall’artrite, mentre la voce potente di Robert Plant lasciava il posto a un assolo di chitarra. «adoro questo pezzo». Muovendo la testa a tempo, con gli occhi chiusi, finse di suonare una chitarra inesistente con le dita nodose.
«sa quando tornerà?»
«chi?»
«il suo vicino».
«oh. perché, ha fatto qualcosa?». Non smise di muoversi a tempo con la musica.
«no. in realtà, siamo preoccupati per la sua sicurezza. noi… senta, potrebbe abbassare un po’ il volume?».
La donna si strinse nelle spalle, poi si girò e tornò all’interno della stanza. La musica finì, lasciandosi dietro soltanto il rumore delle onde, il picchiettio della pioggia e l’ululato del vento. «Ecco qui».
«Mi scusi, ha per caso le chiavi della casa del signor Shepherd, signora…?».
«Mi chiami Aggie. E mi dia un attimo, prendo il giaccone. Devo comunque andare a dare da mangiare al suo gatto». Poi chiuse la finestra e sparì.
«Ecco qui». Aggie aprì la porta ed entrò in casa. «Cipolla? Ehi, micio? Dove sei?».
Logan la seguì. Shepherd doveva aver fatto parecchi lavori di ristrutturazione all’interno della casa. All’esterno poteva anche sembrare una vecchia e tradizionale casetta scozzese, ma dentro, il soggiorno e la cucina risultavano un unico, grande ambiente pieno di superfici scintillanti, cuoio e dipinti a olio astratti alle pareti.
La società di container di Shepherd e Milne doveva aver fatto una fortuna.
Ciuffo chiuse la porta alle spalle e se ne restò lì a gocciolare sul pavimento dell’ingresso. «Gah…».
Aggie salì zoppicando le scale. «Cipolla? Vieni qui, micio, è ora della pappa».
Non appena sparì, Logan batté una pacca sulla spalla di Ciuffo. «Tu riprova a chiamare Shepherd sul cellulare, e cerca di non bagnare tutto. Se non è morto, non voglio che faccia causa alla polizia perché gli hai rovinato il tappeto».
Dall’altra parte delle scale c’era una sala da pranzo, con un lungo tavolo di quercia e sedie intonate. L’unica altra stanza al pianterreno era uno studio. Degli scaffali coprivano le pareti, pieni di testi, manuali, faldoni, raccoglitori ad anelli, scatole e libri dalla copertina rigida. C’era una scrivania da ufficio con una base per il portatile e un paio di monitor a schermo piatto. Un’elegante sedia da ufficio con più pulsanti e leve di quanti se ne sarebbero trovati a bordo di una normale berlina. Un paio di schedari in legno di quercia.
Niente agende o calendari. Ma ormai era tutto elettronico, giusto? Non erano più i bei vecchi tempi in cui la gente si appuntava materialmente le cose e lasciava quegli appunti in giro, così che poi i poliziotti potessero trovarli.
Controllò gli scaffali. I manuali avevano tutti titoli del tipo: Ottimizzazione per le industrie di sostegno agli idrocarburi e Management logistico nel settore norvegese – Regolamenti e conformità, Volume vii. I faldoni erano sulla stessa falsariga. E quanto ai libri, sembravano tutti di criminologia. Biografie di assassini o studi sull’operato di serial killer. Una collezione di diari di gangster. Il tutto in perfetto ordine alfabetico per autore e per titolo.
Dunque, Milne non era l’unico amante delle storie di crimine.
Logan si avviò al piano di sopra.
C’era un grosso bagno, tutto piastrelle scure e faretti, con una vasca da bagno smaltata grande abbastanza per tre persone. C’era un bagno più piccolo, con pizzi e fiori a profusione, del tutto incoerente con il resto dell’arredamento. E, ultima ma non meno importante, la camera da letto.
Aggie era in ginocchio da un lato del letto, il sedere sollevato e un braccio che si muoveva sotto al mobile. «Avanti, Cipolla, tesoro, sono soltanto poliziotti, non devi avere paura».
Il letto matrimoniale dominava la stanza, con una testiera di velluto marrone. Un enorme televisore se ne stava sulla parete di fronte. C’era un folto tappeto fumé. Una parete era color bordeaux, le altre di un bianco immacolato. Le persone normali non avevano case simili. Questo era ciò che capitava quando si ingaggiava un arredatore di interni specializzato in piccoli alberghi di classe.
Aggie si sedette sui talloni e sorrise a Logan, mostrando gli incisivi superiori. «Di solito non è così timido».
Logan andò alla finestra, lanciando uno sguardo nello stretto vicolo che separava le due case. «Si occupa spesso del gatto?»
«Solo se il padrone di casa sta via per più di una notte. A Cipolla non piacciono molto i cambiamenti. Gli piace sapere che la zia Aggie si prende cura di lui». Poi tornò a piegarsi in avanti, sollevando di nuovo il sedere. «Avanti, piccolino. Ho del tonno delizioso, per te. Il tuo preferito. Yum, yum!».
La stanza non ricordava soltanto un hotel di lusso per l’arredamento, ma era anche pulita come un hotel di lusso. Niente oggetti personali in vista, niente cose fuori posto. Niente deodorante, asciugacapelli o spazzole in giro. Niente vestiti lasciati sulla sedia nell’angolo. L’unica cosa fuori posto era il libro abbandonato sul comodino. E perfino quello era perfettamente allineato ai bordi del mobile.
La linea rosso sangue, recitava il titolo. E il sottotitolo: Come Malcolm McLennan ha finanziato il più grande impero criminale di Edimburgo. Il nome dell’autore era stampato a lettere bianche in rilievo: “l.p. molloy”, su un montaggio di palazzine, del castello di Edimburgo, di una qualche strada buia della Città Vecchia e di un cordone della polizia. E qualche schizzo di sangue molto di buon gusto, tanto per buona misura.
L.P. Malloy doveva essere uno pseudonimo. Nessuno sarebbe stato così stupido da scrivere un libro del genere su Malcolm McLennan con il suo vero nome. Non se voleva tenersi tutte le dita al loro posto. Anzi, era sorpreso che esistesse una persona tanto coraggiosa da pubblicarlo, un libro del genere.
«Oh, avanti, Cipolla, fai il bravo gattino per la zia Aggie».
Logan prese il libro e ne girò qualche pagina. C’era una dedica a penna sulla prima: “a peter, che è un vero depravato per leggere questa roba, ma a cui comunque voglio un gran bene. martin xxx!”. Un po’ sdolcinato, ma comunque…
Al centro del libro c’era un inserto con delle foto, quasi tutte in bianco e nero e riprese da articoli di giornale. Ma alcune erano state scattate su delle scene del crimine, e quelle erano a colori fin troppo vividi. Una di un giovane con un completo anni Settanta e la gola tagliata, disteso in un gabinetto pubblico. Una di un’auto bruciata con i resti carbonizzati di un uomo dietro al volante. Una donna distesa in una posa scomposta sotto a un ponte della ferrovia. E un uomo nudo, disteso sulla schiena in un bosco, con una busta in testa.
Logan restò davanti alla finestra, continuando a guardare nel vicolo al di sotto. Il lastricato era lucido d’acqua, la superficie delle pozzanghere sconvolta dalla pioggia incessante. Premette il pulsante di comunicazione della ricetrasmittente. «Okay, ottime notizie. Sistemeremo tutto non appena l’avrò passato al Team Investigativo Primario».
La voce dell’ispettore McGregor uscì crepitante dalla ricetrasmittente. «Sono lieta di sentire che ti dimostri così adulto, in merito».
La zia Aggie uscì dalla porta principale, tirandosi il cappuccio del giaccone sul ciuffo grigio. Sparì sotto la pioggia.
«Non ha senso combattere il sistema, giusto? E poi, ho un’irruzione da organizzare». E forse, in quel modo, la Steel sarebbe stata troppo impegnata a cercare Martin Milne per dargli fastidio.
«Tienimi informata, allora». E poi chiuse la comunicazione.
«sergente?».
Logan fece capolino fuori dalla camera da letto. «che c’è?»
«vuole un tè?»
«mi hai già trovato il parente più prossimo?»
«sto aspettando di saperlo. intanto: vuole un tè?».
Non avrebbero dovuto servirsi della cucina e della dispensa di una vittima di omicidio… Ma di certo Peter Shepherd non avrebbe potuto rinfacciarglielo. «sì, grazie».
Tornò in camera da letto e aprì il comodino. Fazzoletti, un orologio, diverse confezioni di burro di cacao, penne, e qualche altro oggetto inutile. Il secondo cassetto era pieno di calzini. Il terzo, di mutande e boxer. Tutti ordinatamente ripiegati.
L’altro comodino aveva all’interno un enorme telecomando, insieme a una confezione di fazzoletti e a una di lubrificante nel cassetto superiore. Non era difficile immaginare cosa comparisse di solito sullo schermo del gigantesco televisore di fronte al letto. Nel cassetto subito sotto c’erano altri calzini e un dopobarba. Nell’ultimo, altri indumenti intimi.
Logan si sedette sul bordo del letto e prese il telecomando. Era circa tre volte più grande di quanto avrebbe avuto il diritto di essere, con un numero corrispondente di pulsanti extra. Premette quello con l’icona di accensione sopra. Ci fu una pausa, poi dal televisore venne un motivo di tre note e sullo schermo comparve la marca a cui apparteneva.
Invece di sintonizzarsi su bbc One, come ci si poteva aspettare, lo schermo mostrò una serie di cartelle e icone sotto il titolo di “media hub”. Logan scelse una cartella che si chiamava “cile 13” e partì una carrellata di immagini: foto di alpaca e montagne, e due uomini con lo zaino in spalla in dei paesaggi mozzafiato, con tanto di sottofondo musicale a base di flauti di Pan. Molte di quelle foto vedevano Peter Shepherd che sorrideva all’obiettivo, mettendosi in posa.
Logan provò un’altra cartella: “shetland 09”: uno Shepherd molto più giovane che girava in una decappottabile sportiva con una donna dallo stile rockettaro. Questa volta la colonna sonora di sottofondo faceva pensare all’armonica di Jimmy Shand.
“dubai 14”: Shepherd e due uomini in camicia di jeans e pantaloni chino, in mezzo alle dune su una quattro per quattro, in sella a dei cammelli, intenti a comprare oggetti in un suk, a bere cocktail su una terrazza all’aperto con un enorme grattacielo sullo sfondo. La musica, questa volta, era mediorientale.
“roba varia”: …
Okay, questa era… diversa.
Ciuffo comparve sulla porta con una tazza di tè in mano. Poi si bloccò, fissando lo schermo. «Oh».
Tre persone erano intente in qualcosa di molto intimo: una donna di mezza età dai lunghi capelli biondi, Peter Shepherd e Martin Milne. Lei era carponi sul letto di quella stessa stanza, con Milne alle spalle che la montava da dietro e Shepherd in bocca. Una posa classica. E il tutto aveva un sottofondo di musica classica. L’immagine era in alta risoluzione, non di quelle foto che si potevano scattare con un cellulare o una webcam. Probabilmente si trattava di una fotocamera digitale di alto profilo, montata su un treppiede, a giudicare dalle ombre sul tappeto della stanza.
Ciuffo si schiarì la gola. «Non credo che dovremmo guardare dei filmati porno nella casa di una possibile vittima di omicidio, sergente».
La foto successiva mostrava le stesse tre persone, solo che questa volta al centro c’era Milne.
«Ooh…». Ciuffo sussultò. «Sì, non dovremmo proprio farlo».
La terza immagine comprendeva soltanto i due uomini. E questo spiegava la dedica sul libro.
Ciuffo arrossì di colpo. «La aspetto di sotto».
«Non la smette più di diluviare». La Steel superò Logan nel corridoio, con Becky alle calcagna. La donna si scrollò come un Terrier, passandosi entrambe le mani tra i capelli fradici, lisciandoseli sulla testa. Poi lasciò sgocciolare l’acqua sul pavimento. «Sarà meglio che questa non sia una falsa pista, Laz, o dimenticherò di essere una signora e ti farò un didietro da far arrossire Gengis Khan».
Becky chiuse la porta, tagliando fuori il diluvio, i ricci scuri incollati alla fronte. «Urgh… ci sarebbe voluto il salvagente solo per arrivare qui dalla macchina. Ma voi highlander lo fate venire, ogni tanto, il bel tempo, o siete troppo presi a scoparvi le pecore?»
«Sergente McKenzie: smettila di prenderti gioco degli afflitti. Non è colpa loro, se da queste parti l’endogamia è la prassi». La Steel si sfilò il cappotto e lo tese alla sottoposta, per poi girarsi e puntare l’indice contro il petto di Logan. «Avanti, Mister Mistero, tira fuori questo nome».
Lui prese un sorso di tè. «Hanno già tolto la busta dalla testa della vittima?».
La Steel lanciò un’occhiata all’orologio. «L’autopsia ci sarà alle dieci, quindi hai cinque minuti per stupirmi».
«Peter Shepherd». Poi si girò e salì le scale.
«Chi diavolo è questo Peter Shepherd, tanto per sapere?»
«Era il partner di Martin Milne».
La Steel gli corse dietro, i tacchi degli stivali che riecheggiavano sui gradini. «Parli di affari o di sesso?»
«Un po’ di entrambi. E ha il tatuaggio di un narvalo sulla spalla sinistra».
Nella camera da letto, Logan puntò il telecomando verso il televisore e fece ripartire la carrellata di foto. Questa volta, la musica classica accompagnò Milne e Shepherd in compagnia di una donna dai capelli rossi, con delle autoreggenti a righe e una maschera di Zorro.
«Roba forte». La Steel arricciò le labbra. «Un po’ troppo in carne per me, la tipa, ma non mi dispiacerebbe, a luci spente. Una donna così ti offre qualcosa in più a cui aggrapparti». Sogghignò e guardò Becky, alle sue spalle. «Tu che ne dici?».
Il sergente McKenzie rabbrividì. «No, grazie».
«Come ti pare».
Logan premette il tasto di pausa e guardò il telecomando. Poi premette il pulsante con la scritta “zoom”, armeggiando con le frecce finché il tatuaggio di Shepherd non riempì lo schermo. Era un’illustrazione dettagliata della testa di un narvalo che emergeva dal mare, circondata da un cerchio di corde con delle conchiglie all’esterno e la scritta “corneum cete sunt optimus”, al di sotto. «Sa cosa significa, vero?»
«Non conosco il latino». La Steel recuperò la sigaretta elettronica dalla tasca della giacca. Se la ficcò in bocca. «C’è altro porno su quel televisore?»
«Significa che Peter Shepherd è scomparso durante il weekend, ma nessuno se ne è accorto, perché doveva essere a Chesterfield per parlare con un fornitore. Martin Milne sparisce domenica sera. Il corpo di Shepherd viene ritrovato tre giorni dopo».
Lei gli strappò il telecomando di mano e premette il tasto di riproduzione, facendo ripartire la carrellata. Si sedette sul bordo del letto, la sigaretta elettronica all’angolo delle labbra come se fosse carica di Viagra. «Sì, molto bene, Miss Marple. L’unico problema è che se è Shepherd quello che è morto, e non sto dicendo che è così, ma se fosse così, come mai sembra essere stato ucciso da un gangster di Edimburgo?».
Sullo schermo, Milne, Shepherd e la loro anonima amica passavano da una posizione contorta all’altra. Come se volessero ottenere chissà quale strano record.
Logan prese il libro e lo lasciò cadere sulle ginocchia della Steel. «Pagina centocinquantadue».
«Ooh…». Lei non degnò il libro di uno sguardo. Piegò la testa di lato, fissando la tv a bocca aperta. «Come ha fatto a mettere la gamba lassù, quello? Non è fisicamente possibile».
«Santo Dio». Logan recuperò il libro e lo aprì alla pagina giusta, per poi tenderlo alla Steel, indicando la foto. «Guardi qui. C’è anche una descrizione completa. Milne e Shepherd potrebbero aver litigato. Le cose possono essere sfuggite di mano. Milne va nel panico, e sa di doversi liberare del cadavere del socio. E proprio qui, sul suo comodino, ha la soluzione che gli serve: un modo per farlo e farlo anche sembrare l’operato di un criminale».
La Steel continuò a fissare lo schermo a bocca aperta.
Becky sospirò. «Ma è una roba complicata da fare, se lo scopo è solo quello di liberarsi del corpo dell’amante, no?»
«Per la miseria… ma guardate quant’è grosso quel dildo. Ci si potrebbe ammazzare un cavallo. Non ci credo che quella tipa sta per ficcarglielo nel… Ooooh, sì, lo sta facendo. È davvero…».
«Dia qui». Logan si riprese il telecomando e spense il televisore.
«Ehi! Stavo guardando…».
«Milne ha ucciso Shepherd e ha sistemato il corpo in modo da farci pensare che fosse stato Malcolm McLennan a ucciderlo. E comunque, è lei a capo di questa indagine, quindi la smetta di guardare filmini porno e cominci a investigare».
«Non sto “guardando filmini porno”, sto controllando le prove». La Steel si appoggiò indietro sul letto, puntellandosi sui gomiti. Fece un cenno alla poliziotta che la seguiva. «Becky, immaginiamo per un attimo che il nostro cadavere sia davvero il signor Flessibile, lì». Indicò lo schermo nero. «Questo significa che Martin Milne è l’assassino?»
«No, capo».
«Sì, è Milne. È Martin Milne. Ed è scomparso. Sparito. Scappato. Ha mollato la sua famiglia, domenica notte».
«Già…». La Steel scoprì i denti. «Eppure, a me sembra più un omicidio legato al crimine, che un litigio tra amanti finito male».
Lui le agitò davanti La linea rosso sangue. «È per via del libro! È proprio qui: aveva una guida per farlo. È stato Milne a organizzare tutto». Logan lasciò cadere il volume sul letto. «È ovvio».
«È un salto nel buio, altro che ovvio». La Steel raccattò il telecomando e fece ripartire le foto. «Fuori i secondi, secondo round».
Logan si piazzò tra lei e il televisore, bloccandole la visuale. «Ma che ha nella testa?».
Becky sospirò. «Avanti, McRae, perfino lei dovrebbe capirlo che la sua è solo un’ipotesi. Non sappiamo neanche se il cadavere è quello di Peter Shepherd. Potrebbe essere chiunque».
«Ma certo che è Shepherd!».
La Steel lo fissò per qualche istante. Poi prese un altro tiro della sigaretta elettronica. Sibilò fuori un sottile filo di vapore. «Eri molto più divertente, una volta». Inspirò dal naso. «Be’, no, in realtà no: sei sempre stato un guastafeste».
«Ah, sì? Be’, questo guastafeste ne ha abbastanza del suo…». Sentì squillare la suoneria anonima del cellulare. «Dio santo». Lo tirò fuori. «Che c’è?».
Ci fu una breve pausa, poi una voce profonda e cupa gli entrò nell’orecchio come densa melassa. «Buongiorno, sergente McRae. “È da molto che non ci sentiamo”, mi pare si dica in questi casi. Il che non è normale, per noi due, giusto?».
Logan si passò una mano sugli occhi, digrignando i denti. Poi tirò fuori un sorriso forzato, mentre si girava e usciva dalla stanza. «Sovrintendente capo Napier».
«Si sta comportando bene, sergente? O è semplicemente stato molto bravo a non farsi scoprire?».
Logan entrò nell’altro bagno, quello pieno di cuscini kitsch e pizzi. «Ho sentito che sta per andare in pensione».
«Ah, sì, ma non si preoccupi: c’è ancora tempo per sparare le ultime cartucce. E, a proposito di spari, un uccellino mi ha detto che sta lavorando di nuovo con l’ispettore capo Steel».
Il silenzio calò dall’altra parte della linea.
La pioggia picchiava contro la finestra.
Silenzio.
Bene, il gioco del silenzio si poteva fare anche in due. Se Napier credeva che lui avrebbe riempito quel vuoto con qualcosa di incriminante, poteva anche attendere fino a farsi cascare le orecchie.
Della musica classica si udì dalla stanza accanto.
«E mi dica, sergente McRae, come va con l’ispettore capo?».
Come un orfanotrofio in fiamme, ecco come andava.
Logan sollevò il mento. «Stiamo facendo progressi».
«Capisco, capisco». Un’altra pausa. «Voi due avete ottimi rapporti sul lavoro, vero, sergente? L’ispettore capo Steel si fida di lei. Ha piena fiducia in lei».
Eccolo che partiva.
«Mi dica, per caso le ha mai menzionato un certo Jack Wallace? Magari collegato a un caso a cui stava lavorando l’anno scorso?»
«Mai sentito, mi spiace».
«Ah, davvero? Uhm. Interessante. Be’, se dovesse parlargliene, la prego di pensare a me e a questa piccola conversazione. Fino a quel momento, si riguardi». Napier chiuse la telefonata.
Di che diavolo si trattava, questa volta?
Logan mise via il cellulare e sbucò sul pianerottolo. Restò lì, ad ascoltare violini e violoncelli.
Poi sentì un suono tintinnante e un ronzio. Seguito da un: «Ah, bellezza!».
Qualunque cosa fosse accaduta nel montaggio porno di Shepherd, la Steel poteva tenerselo per sé. Lui se ne sarebbe andato. Aveva di meglio da fare.
Era a metà delle scale, quando la musica si interruppe e la Steel uscì a passo di carica dalla camera da letto, il cellulare sollevato come se stesse portando la torcia olimpica.
Glielo puntò contro. «Ehi, dove credi di andare?»
«A Banff. Ho un’irruzione da organizzare».
«Puoi farlo più tardi. Guarda». Gli spinse contro il telefono. Sullo schermo c’era la foto di un volto pieno di lividi, contornato di plastica nera. I lineamenti erano gonfi e la pelle, tra le contusioni blu e violacee, aveva il colore del burro rancido, ma l’uomo era di sicuro Peter Shepherd. «Dopo un’attenta considerazione, ho deciso di dare a te, al tuo caratteraccio e alla tua folle teoria una seconda possibilità. Sali in macchina: andiamo a parlare con la moglie di Martin Milne. Se quel piccolo bastardo è scappato, voglio scoprire dov’è».
«Gliel’ho già detto: sono occupato». Logan riprese a scendere le scale, poi si fermò. La guardò, accigliandosi. «Chi è Jack Wallace?».
La Steel strinse gli occhi, le rughe sul viso che diventavano più profonde. «A pensarci bene, puoi tornartene a Banff». Prese un respiro profondo. «becky! muovi le chiappe, ce ne andiamo».