Capitolo 18

Logan si fermò davanti al piccolo b&b a nord di Banff. Tre metri e mezzo di erba rada separavano la strada dagli scogli. Una spiaggia sassosa battuta dalle onde se ne stava in fondo alle rocce, trasformata in un paesaggio lunare dai raggi biancastri della luna stessa. Il Mare del Nord era una solida lastra di argilla, scintillante e grigia.

La Steel si spazzolò via le briciole dalla scollatura, facendole finire sotto il sedile. «D’accordo. Chiamami, domani. Me lo prometti?»

«Lo prometto».

«Bravo ragazzo». Scese dalla macchina e restò lì, a guardare dentro mentre il freddo invadeva l’abitacolo. «Dico sul serio, Laz: non cercare di farlo da solo. Adesso hai una famiglia».

«Okay, okay, ho capito».

«Non lo dimenticare». Chiuse lo sportello, poi si girò e si allontanò verso il bed and breakfast, aprendone la porta d’ingresso. Si fermò sulla soglia per salutarlo.

Logan restituì il gesto.

Non appena la porta si chiuse, lasciando piombare di nuovo i dintorni nel buio, lui si piegò in avanti sbattendo la fronte contro il volante. «Fantastico…».

Perché la compassione e la vicinanza di qualcuno faceva sembrare tutto più doloroso? L’indifferenza, perfino l’ostilità, andavano bene: poteva trasformarle in rabbia e andare avanti. Ma la compassione?

Sbatté di nuovo la fronte contro il volante. «Stronzo ingrato».

Già.

Girò la macchina e tornò verso la stazione di polizia. Oltre le case silenziose e buie e le strade vuote.

Come avrebbe mai potuto indagare su di lei per conto di Napier? Se fosse stata lì accanto a lui mentre spegneva le macchine che tenevano in vita Samantha, cosa avrebbe potuto fare? Grazie tante per il supporto in un momento così difficile, ma ora ti spiace se ti distruggo e lavoro per la Catastrofe Color Carota alle tue spalle?

Il porto era pieno di yacht ormeggiati lì per l’inverno. Una manciata di piccoli pescherecci se ne stava invece più vicina all’entrata del porto.

Ma se non avesse indagato su di lei, Napier l’avrebbe fatto fare a qualcun altro. E forse quel qualcun altro non sarebbe stato tanto comprensivo nei confronti dei punti deboli della Steel. O dei suoi enormi problemi caratteriali.

Gah.

Forse era stato tutto un equivoco? Avrebbe potuto dare un’occhiata veloce al caso, e via: la Steel sarebbe stata scagionata. E le avrebbe fatto piacere sapere che lui era stato determinante nel ripulire il suo nome… O forse lo avrebbe ucciso per essersi comportato in modo tanto sleale, indagando alle sue spalle.

Fantastico. In ogni caso, lui ci avrebbe rimesso.

Parcheggiò fuori dalla Casa del Sergente. Se ne restò lì a fissare la baia. Era tutto freddo, immobile e buio. Le luci di Macduff scintillavano dall’altra parte dell’acqua.

E poi c’era la faccenda di Samantha…

Sentì di nuovo quelle pietre nello stomaco.

Avanti. Esci.

Un sospiro lungo e profondo gli sfuggì dai polmoni. Poi scese dall’auto e la chiuse. Attraversò la strada.

Due donne se ne stavano fuori dallo Ship Inn, a fumare e a tremare. Una lo guardò mentre entrava in casa. Come se fosse una creatura strana, da studiare, con quel giubbotto catarifrangente giallo e le strisce che rimandavano la luce dei lampioni.

Logan si chiuse la porta alle spalle e girò la chiave.

Si afflosciò.

Il giorno seguente sarebbe stato… semplicemente… tragico.

Dio.

Un corpicino soffice e peloso gli si sfregò contro la gamba, seguito da un miagolio acuto e da un coro di fusa.

Logan esalò un profondo sospiro. «Cthulhu. Come sta l’amore di papà?». Si sganciò il cinturone e lo appese in fondo alla ringhiera delle scale, sistemandoci sopra il berretto dell’uniforme. Si tolse il giubbotto antiproiettile e lo appoggiò nell’angolo. Poi si sedette sui talloni per grattare Cthulhu dietro le orecchie. «Almeno, c’è ancora qualcuno che mi vuole bene».

La gatta ronfò, le zampine bianche che si muovevano a ritmo sul laminato del pavimento.

Un mucchietto di posta se ne stava sul tappetino all’ingresso. La raccolse, controllandola. L’ennesimo volantino elettorale dei Liberal-democratici, un altro dell’snp, e una brochure che pubblicizzava apparecchi acustici gratuiti per gli ultracinquantenni. Infine, una busta senza francobollo né timbro dell’ufficio postale, e un bordino nero intorno. Consegnata a mano.

Logan la rigirò, fermandosi, un dito pronto ad aprirla. Forse non era una buona idea. Forse era meglio usare un coltello. Andò in cucina e posò tutto il resto sul tavolo. Prese un coltello da burro dallo scolapiatti e tagliò la busta da lettera, facendone cadere il contenuto sul pianale.

Il signor Logan McRae

è invitato a partecipare al funerale di

Hamish Alexander Selkirk Mowat.

Il servizio si terrà alle 12.30 di venerdì 13 febbraio

presso la Old Ardoe Kirk, South Deeside.

Su richiesta del defunto, non si desiderano fiori,

ma sarà gradita una donazione all’Istituto di Ricerca contro il Cancro.

Niente lame di rasoio o aghi sotto la busta, in attesa di un dito incauto. La busta conteneva soltanto un rettangolo di cartoncino dai bordi dorati, con un’incisione di scritte dorate.

Ecco. Be’, non che ci fossero molte possibilità che lui andasse al funerale di Hamish, del resto.

Proprio dopo aver spento i macchinari di Samantha?

E poi, probabilmente non era affatto una buona idea trovarsi nelle vicinanze di un cimitero con accanto Reuben. Non aveva idea di cosa sarebbe potuto succedere, ma era abbastanza certo che non sarebbe stato piacevole.

Posò l’invito sul davanzale, accanto alle erbe aromatiche messe a seccare.

Poi recuperò un bicchiere di vetro e vi versò due dita del whisky che Hamish Mowat gli aveva regalato. Lo sollevò verso il rettangolo di cartoncino. «Mi spiace, Hamish. Non posso».

Ne prese un sorso. Caldo, rovente, liscio. Con un retrogusto di cuoio.

Un momento.

Aggrottò la fronte, guardando il bicchiere e le linee d’ambra che scivolavano all’interno del vetro. C’era una lettera, giusto? Wee Hamish gliel’aveva data, poi il medico li aveva mandati via e Reuben aveva iniziato a spadroneggiare.

Tornò all’ingresso, tra cappotti, giacche e giacconi.

Era nella tasca del cappotto che aveva indossato il giorno prima.

La parola “logan” era scritta sul davanti, in tremanti lettere un po’ sbiadite, tracciate con una penna stilografica.

Si sedette al tavolo della cucina e aprì la busta, mentre Cthulhu gli faceva avanti e indietro tra le gambe.

Probabilmente si trattava dell’ennesimo appello a occuparsi dell’impero criminale di Hamish, perché ovviamente sarebbe stato proprio da poliziotto modello occuparsi di una scuderia di spacciatori, prostitute e racket delle protezioni. Certo, se non altro c’era da ammirare la tenacia di quell’uomo: non si era arreso neanche mentre stava morendo.

Il contenuto era quasi illeggibile, scritto con la stessa grafia affaticata che si vedeva sulla busta. Wee Hamish doveva averci messo delle ore, considerando quanto era debole alla fine.

Caro Logan,

temo di essere ormai alla fine del nostro viaggio insieme, ma vorrei ringraziarti per tutte le tue gentilezze nel corso degli anni. Le ho sempre apprezzate.

Ora sto morendo, dunque perdonami se ti sembrerò troppo schietto: ho bisogno che tu uccida Reuben.

Lui ti ucciderà, se non sarai tu a eliminarlo. Forse non oggi, né domani, ma succederà presto, al buio, senza testimoni. E ci metterà molto tempo. Sei una minaccia troppo grande per le sue ambizioni, dunque sarà questo ciò che accadrà.

So che potrei ordinare a qualcuno di ucciderlo al tuo posto, ma questo ti costerebbe il rispetto degli uomini. E se non hai il loro rispetto, non puoi guidarli.

Quindi, ti prego, rispetta l’ultimo desiderio di un uomo che sta morendo e uccidi Reuben prima che sia lui a farlo con te.

Ti voglio bene. Il tuo vecchio amico

Hamish

Wow.

Logan rilesse la lettera. La posò sul tavolo.

Prese un sorso di whisky.

La lesse ancora una volta. Poi prese in braccio Cthulhu, la portò in corridoio e chiuse la porta della cucina, lasciandola fuori. Aprì uno spiraglio nella finestra, prese i fiammiferi da un cassetto della credenza, tenne sospesa la lettera sopra al lavandino e le diede fuoco. La rigirò finché le fiamme non iniziarono a divorarla.

Il calore gli bruciò i polpastrelli, e a quel punto la lasciò cadere nel lavello. L’odore soffocante e acre della carta bruciata riempì la stanza.

La lettera si annerì intorno alle parole, e poi una linea di un arancione vivido la percorse, lasciandosi dietro resti bianchi e polverosi, che ancora mostravano tuttavia le istruzioni di Wee Hamish. Logan colpì le ceneri con un cucchiaio di legno, trasformandole in polvere. Non aveva senso correre rischi: la busta subì lo stesso destino.

Gah…

Samantha si sedette sul divano accanto a lui. «Che stiamo guardando?»

«Uhm?». Logan alzò lo sguardo dal bicchiere che aveva in mano.

Un’inutile serie poliziesca della tv, divorziata dalla realtà della vita di un vero poliziotto più o meno quanto Enrico viii lo era dalle sue mogli.

Samantha lo pungolò su una spalla. «Non ha divorziato da nessuna di loro. Il matrimonio è stato annullato, oppure sono state decapitate. Be’, a parte l’ultima. E quella che è morta per cause naturali. Non lo guardi mai qi?».

Logan sorseggiò il suo whisky. «Non fare così».

«Così come?»

«Non intervenire in questo modo quando non parlo a voce alta. Mi fa sentire un pazzo».

Lei si voltò verso la tv, con il naso in aria.

Sullo schermo, un tizio con la tuta della Scientifica si aggirava in una scena del crimine senza indossare occhiali o mascherina. Perché in televisione nessuno veniva fatto a pezzi in tribunale per non aver seguito le procedure. No, loro potevano contaminare la scena quanto volevano, sempre che il pubblico potesse godersi i bei volti degli attori.

«Ma guarda quei buffoni. Scommetto che nessuno di loro durerebbe due minuti in tribunale contro un interrogatorio di Sid Sibilo».

«Non è colpa mia».

Un altro sorso. Poi imitò un accento scozzese altolocato e borioso: «Mi dica, ispettore McActor, mentre faceva la sua sfilata sulla scena del presunto crimine, è rimasto sul percorso di avvicinamento indicato, secondo le procedure? No? Aveva indossato il cappuccio della sua tuta di sicurezza? No? Le sembrava più importante mostrare la sua magnifica capigliatura fluente? Capisco…».

«Questa storia tra te e Reuben è andata avanti per anni».

«E indossava occhiali e mascherina, o se ne è andato in giro a spargere il suo dna su ogni cosa? E ha forse…». Logan indicò con rabbia lo schermo, tornando alla sua voce normale. «Ma santo cielo, guarda: non raccogli l’arma del delitto con la penna che hai in tasca! Ma cosa sei, un coglione? Come ci è finito, questo idiota, su una scena del crimine?»

«Gli hai rotto il naso. Non ti perdonerà mai, per questo».

«Chi l’ha scritta questa spazzatura?»

«Logan!». Lei si girò e gli prese il viso tra le mani. «Ascoltami: ho ragione, e Wee Hamish ha ragione, devi uccidere Reuben. Almeno ce l’hai un piano?».

Sullo schermo, l’ispettore McActor stava limonando con una della Scientifica in mezzo alla scena del crimine, con il cadavere ai loro piedi.

Un respiro profondo. Logan abbassò gli occhi e passò l’unghia lungo il bordo scheggiato del bicchiere. «Sto cercando di non pensarci, okay? Non voglio uccidere Reuben. Non voglio uccidere nessuno».

«Devi iniziare a pensarci, lo sai. Incastrarlo non ti basterà». Lasciò andare il viso di Logan e lo toccò sul petto. «Avanti: come, quando, dove e come ti libererai del cadavere?».

Lui rovesciò indietro la testa e fissò per un attimo il soffitto bianco pieno di macchie. «Un’arma da fuoco. Deve essere fatto con un’arma da fuoco. E deve essere fatto al più presto. In un luogo lontano da tutto, senza testimoni. E non avrebbe senso seppellirlo, ci vorrebbe una vita per scavare una fossa abbastanza grande». Logan fece roteare quel che restava del Glenfiddich nel bicchiere, lasciando delle tracce sul vetro. «Fuoco. Si mette il cadavere in un’auto e le si dà fuoco. Brucia tracce, prove e dna. Quando troveranno il cadavere, penseranno che sia stata una delle gang rivali pronte a prendersi una fetta dell’impero».

Samantha sorrise. «Ottimo. Sono fiera di te».

Fantastico.

Sempre che riuscisse ad attirare Reuben in un posto fuori mano e senza nessun altro. Sempre che fosse davvero capace di premere il grilletto. Sempre che non fosse Reuben a uccidere lui, invece.

E poi avrebbe dovuto pregare che Reuben non avesse mai affidato dei documenti a qualche avvocato. In caso di morte prematura, queste lettere devono essere spedite ai media e agli Affari Interni della polizia per inchiodare al muro i testicoli del sergente McRae.

A proposito.

Tirò fuori il telefono e lo riaccese. Controllò il registro delle chiamate e selezionò un numero. Poi lo ascoltò squillare.

Click. «Questo è l’interno del sovrintendente capo Napier. Al momento non sono disponibile, ma potete lasciare un messaggio dopo il segnale acustico».

Ovvio che non fosse lì, era quasi mezzanotte.

Beeeeep.

«Sono Logan. McRae. Ho pensato all’indagine che mi ha proposto».

Samantha lo fissò, aggrottando entrambe le sopracciglia.

«Accetto».