Capitolo 46

La Harper controllò l’orologio. «Sono in ritardo».

Le luci del porto proiettavano pallide ombre tremanti, distorte dalla neve che continuava a cadere. Non c’era neanche un soffio di vento. Fitti fiocchi bianchi scendevano sul cofano della Macchina Grande, sciogliendosi a contatto con il calore del motore, anche se ormai era stato spento da un quarto d’ora.

Logan girò la chiave nel quadro quel tanto che bastava a far partire i tergicristalli. La visuale non migliorò molto, una volta spostata la neve. Da lì, in mezzo a due edifici grigi, i muri del porto formavano un triangolo scaleno sotto al freddo cielo della sera. Circa due dozzine di piccole barche erano attraccate sui moli che si estendevano nell’acqua, senza neanche una luce accesa.

Logan premette il pulsante della ricetrasmittente. «A tutte le unità, rapporto immediato».

«Ispettore Singh: niente da segnalare».

«Sergente Weatherford: niente da segnalare».

«Sergente Rennie: nada da noi».

«Sergente McKenzie: niente da segnalare».

Silenzio.

Logan premette di nuovo il pulsante «Ispettore capo Steel, a rapporto, per favore».

La voce della Steel gracchiò fuori dalla ricetrasmittente. «Sono annoiata e stanca, ho freddo, e Spaver, qui, continua a scorreggiare. A parte questo? Niente».

La Harper scosse la testa. «E l’hanno resa un ispettore capo?».

Lui distolse lo sguardo. Sistemò di nuovo la ricetrasmittente sul gancio. «Mi spiace di non essere riuscito a tirare fuori nulla da Laura Welsh».

«Almeno ci hai provato». Lei imbronciò le labbra, aggrottando la fronte come se avesse in bocca un sapore acido. «Presto sarà tutto finito. Ci serve semplicemente un risultato questa sera, e andrà tutto bene».

La voce di Narveer si fece sentire dagli altoparlanti. «Aspettate, vediamo qualcosa. Delle luci sull’acqua».

«Era ora!». La Harper si piegò in avanti, sbirciando oltre il parabrezza. «Non vedo niente».

«Sì, la vediamo: una piccola nave da carico. È la Jotun Sverd».

«Alleluia». La Harper prese la ricetrasmittente dal cruscotto. «Molto bene, ascoltatemi tutti. Resteremo immobili finché gli uomini di Malcolm McLennan non scaricheranno la merce. Voglio beccarli con le mani nel sacco, quindi nessuno si muova finché non sarà tutta sul loro veicolo».

Logan tamburellò con le dita sul volante. «Non si direbbe che questo porto sia grande abbastanza per una nave da carico, giusto? Riuscirà a entrarci, tanto per cominciare?»

«Lo scopriremo presto».

Le luci della nave comparvero attraverso la nevicata, facendosi più vicine.

«Logan?». La Harper mantenne lo sguardo in avanti e la voce bassa e neutra. «Quando sarà tutto finito, ti va di venirmi a trovare a Dumfries? Credo che mia madre sarebbe felice di conoscerti».

«Ehm… sì, certo, sarebbe carino». Sempre che Reuben lo lasciasse vivere così a lungo. «Dovrò trovare qualcuno che si prenda cura di Cthulhu, però».

La nave si faceva sempre più grande, la chiglia arancione spiccava sull’acqua scura. Non era assolutamente grande quanto le navi da carico standard: sarebbe tranquillamente entrata in un campo da tennis, e sarebbe avanzato dello spazio. Dei fari illuminavano di una fredda luce bianca il piccolo ponte, mostrando quattro container con il logo del vichingo della Geirrød sopra.

I motori del natante ringhiarono in retromarcia, facendo diminuire la sua velocità man mano che si avvicinava all’entrata del porto. Ma, invece di provare a passarci, la nave si girò in modo da mostrare la poppa a Gardenstown, per poi arretrare verso il braccio esteso del frangiflutti del porto.

Un ultimo ringhio e i motori tacquero. Due uomini saltarono sul muro e legarono la nave.

Non sarebbe stato un approccio praticabile in una sera di tempesta, ma con il mare piatto come una tavola di marmo scuro, sarebbe stato possibile tirare giù il carico, anche se la nave bloccava momentaneamente l’entrata del porto.

La Harper si fregò le mani. «Non manca molto».

«Dove diavolo sono?». La Harper ricontrollò l’orologio. «Sono passati venti minuti».

«Forse sono bloccati nel traffico da qualche parte? Sa come va quando nevica: tutti iniziano a guidare come tartarughe».

Lei gonfiò le guance. «Di’ a tutti di ricontrollare. Gli uomini di McLennan devono essere da qualche parte».

Logan tamburellò con le dita sul volante e guardò con astio la neve che continuava a cadere. Reuben doveva essere lì fuori, adesso, a tramare contro di lui. A pensare alla sua vendetta.

La domanda era: quando?

Il giorno dopo? Quello dopo ancora? Entro una settimana? Quella stessa notte?

I fiocchi di neve brillavano per un attimo entrando nella sfera di luce gialla proiettata dal faro sistemato sull’edificio accanto alla Macchina Grande. Poi tornavano a sbiadirsi in un grigio bluastro.

Forse sarebbe stato meglio non essere a casa, quando lui si fosse presentato. Poteva chiedere a Calamity di ospitarlo? Oppure ai genitori di Ciuffo?

Oppure poteva appropriarsi di una delle celle della stazione. In fondo, nessuno le usava più, negli ultimi tempi

A Cthulhu non sarebbe affatto piaciuto, ma era meglio dell’alternativa: loro due che si svegliavano alle quattro del mattino con tre figure in passamontagna che incombevano sul letto con fucili a pompa e machete.

O magari avrebbero potuto passare la notte in un b&b. E poi spostarsi in un altro per la notte seguente. E poi così di seguito. Continuando a spostarsi in modo che nessuno sapesse dove fossero davvero.

In fuga da quel momento fino a quello in cui gli scagnozzi di Reuben non lo avessero raggiunto.

«Logan?»

«Uhm?». Sbatté le palpebre. Si girò.

La Harper lo stava fissando. «Se non la pianti di tamburellare con le dita, te le rompo. Okay?».

Lui staccò le mani dal volante. «Scusa».

La Harper si afflosciò sul sedile. «Questa operazione è un completo disastro, non è così?»

«Dalle tempo».

«Gah». Lei si tolse l’orologio e lo posò sul cruscotto, in un piccolo angolo di luce esterna. «Quaranta minuti. Sarebbero già dovuti essere qui, avrebbero dovuto scaricare i container e andarsene».

Era vero.

Logan si strinse nelle spalle. «Magari hanno deciso di giocarsela con cautela. Vogliono controllare il porto e assicurarsi che non ci sia nulla di sospetto. O forse sono un po’ in ritardo».

O forse lui aveva avuto ragione fin dal primo momento, ed era tutta una messa in scena.

Guardò la Harper.

Sì, probabilmente era il caso di tenerselo per sé.

Un “te l’avevo detto” non sarebbe stato molto apprezzato, a quel punto.

La voce della Steel borbottò dall’altoparlante: «Sì, senza offesa, sovrintendente, ma abbiamo deciso di passare la notte qui? Perché se è così, voglio una poliziotta sexy accanto a me, non Spaver lo Scorreggione».

La Harper prese la ricetrasmittente. «Questo canale è solo per l’uso operativo». Si strinse il setto nasale tra due dita e serrò le palpebre. «L’ispettore capo Steel è sempre così?»

«Più o meno». Logan fece ripartire i tergicristalli, ripulendo due arcobaleni grigi e storti in mezzo alla neve. Non era cambiato nulla: la Jotun Sverd era ancora all’ingresso del porto, le luci accese come un albero di Natale industriale. «Ci saremmo dovuti portare un thermos di tè».

Logan si piegò in avanti sul sedile, con le braccia sul volante. «Forse dobbiamo tornare all’idea che ci hanno preso in giro».

La Harper reclinò il sedile e fissò il tettuccio della macchina. «Hai idea di quanto stia costando questa operazione?»

«Era tutto troppo facile, non ti pare? Il corpo di Shepherd lasciato in piena vista, che ci porta a Martin Milne, che ci porta al loro debito, che ci porta qui». Scosse la testa. «È come se qualcuno ci avesse dato una di quelle figure in cui si uniscono i puntini, lasciandoci lì a seguire la pista».

«Solo che la figura che si forma alla fine è un coglione con un cappello da poliziotto».

«Cosa vuoi fare, allora?».

Lei si accigliò. «Prendere a calci nelle palle Martin Milne. Forte».

Logan armeggiò con la ricetrasmittente, passando dal canale criptato a quello normale. «Sergente McRae a controllo. Ci sono state attività sospette, stasera, nella Divisione B?».

La voce di un uomo gli rispose: «Quanto sospette?».

Doveva essere qualcosa di grosso, se serviva un diversivo di quelle dimensioni. «Banche, società di costruzioni, posti dove si possa ottenere un grosso bottino. Negozi di auto di lusso, cose del genere. Di certo non vicino a Gardenstown».

La Harper si portò le mani al viso. «Farò la figura dell’idiota, se rapinano una banca mentre io me ne sto qui a girarmi i pollici con venti agenti e un’Unità Cinofila».

«Un momento, do un’occhiata».

La Jotun Sverd restò dov’era, con le luci accese e la vernice lucida e brillante.

«Pensi che Milne lo sapesse? Insomma, ha dovuto preparare la nave». Logan aggrottò la fronte. «Ma hanno dovuto prendere il materiale da uno yacht… Perché tutta questa fatica?»

«Sergente McRae? Nessuna attività sospetta denunciata. Vuole che la chiami, se dovesse succedere qualcosa?»

«Sì, grazie». Passò di nuovo al canale criptato dell’operazione e si sistemò contro lo schienale, in attesa.

«Sergente McKenzie: niente da segnalare».

Logan ripulì il parabrezza. Ancora niente.

La Harper aveva rovesciato del tutto il sedile, ormai.

«Non verranno, vero?».

Lui controllò l’orologio. «Sono le otto meno venti».

«Argh. Quasi due ore di ritardo. Perché organizzare tutta questa cosa e poi non presentarsi per due ore?». Prese il cellulare dalla giacca, digitando un numero senza rimettersi seduta. «Pronto, Narveer?… Sì… niente… Sì, sono giunta alle stesse conclusioni. Okay… Attendiamo fino alle otto, e se non è successo ancora niente, entriamo. Almeno non sarà un completo fiasco. Sì, okay. A dopo». Mise via il cellulare e guardò Logan. «Hai capito?»

«Sì». Accennò con il pollice oltre la spalla. «Vuole che chiami il team che controlla la casa di Milne? Che mi assicuri che il bastardo sia ancora lì?»

«E sarà meglio. Perché se qui non si presenta nessuno, io e lui faremo due chiacchiere».

La Harper si piegò in avanti, il naso che quasi toccava il cruscotto, fissando l’orologio. «Le otto». Mostrò i denti. «Non verranno. Sempre che dovessero mai venire».

Logan si infilò a fatica il giubbotto catarifrangente, chiudendolo fino al collo, e si allacciò la cintura di sicurezza. «Magari qualcuno li ha avvertiti?»

«Scommetto che è stato quello stronzo di Martin Milne». La Harper ritirò su il sedile e si allacciò a sua volta la cintura. «Avverti tutti».

Logan non staccò la ricetrasmittente dal suo gancio, limitandosi a premere il pulsante per parlare verso la spalla.

«A tutte le unità, confermo: l’operazione è iniziata».

«Ispettore Singh: pronto».

«Sergente Weatherford: pronta».

«Sergente McKenzie: pronta».

«Sergente Rennie: Geronimo!».

E poi, silenzio.

No, non di nuovo.

«Ispettore capo Steel, confermi».

Niente

«Ispettore capo Steel, ripeto: confermi».

Una violenta pernacchia riecheggiò dalla ricetrasmittente. «Sono sveglia, sei contento? Stavo facendo anche un sogno spettacolare. Helen Mirren, un lubrificante alla ciliegia e un Toblerone…».

Logan si calcò in testa il berretto dell’uniforme. «Assalto tra cinque. Quattro. Tre. Due. Uno… Via!».

Accese il motore e le luci, premendo sul pedale dell’acceleratore. La Macchina Grande scattò in avanti, sbucando fuori dagli edifici grigi ed entrando nel porto.

Gli impiegati del comune potevano anche aver sparso sale e sabbia sulle strade, ma non si erano preoccupati di farlo sulla pavimentazione del porto. Le ruote slittarono, e l’auto scodò, mentre zigzagavano verso la Jotun Sverd.

La Harper si aggrappò alla maniglia sopra lo sportello. «Sergente, cerchiamo di non finire sul fondale del porto!».

Lui lasciò un po’ andare l’acceleratore e passò alla trazione posteriore. Le luci delle sirene lampeggiarono tutto intorno a loro, mentre gli altri veicoli entravano nel porto, facendo scintillare la neve che continuava a fioccare fitta.

Logan schiacciò il piede sul freno, fermandosi slittando vicino alla nave, e poi uscì nel freddo della sera.

Qualcuno lo guardò da sopra il parapetto della nave. Una donna di una certa età, con una tuta rosso fuoco e un berretto rigido in testa. I capelli grigi legati in una coda. «Sì?».

Lui superò la ringhiera e saltò sul ponte. «Mani dove posso vederle, signora».

Lei lo fissò, arretrando appena. «Okay…». E alzò le mani, come se fosse di fronte a un rapinatore.

La Harper scese sul ponte accanto a lui, seguita da Narveer e da due agenti. Poi arrivarono Rennie e i suoi due aiutanti.

Un uomo comparve vicino alla ringhiera dietro al ponte: grasso e basso, con addosso una giacca pesante trapuntata. «Che diavolo sta succedendo?».

Sempre più agenti atterrarono sul ponte, come pirati in giubbotto catarifrangente. Rennie e i suoi salirono le scale che portavano alla zona rialzata. «Nessuno si muova!».

«Voglio sapere che diavolo sta succedendo qui!».

La Harper raggiunse il centro del ponte, in mezzo ai container, e indicò l’uomo in alto. «È lei il capitano?». Pesanti fiocchi di neve le si posarono sulle spalle.

«E lei sarebbe?»

«Il sovrintendente capo Harper. Ho un mandato per perquisire questa nave».

Lui si strinse nelle spalle. «Prego, faccia pure». Si appoggiò alla ringhiera. «Suzie? Accompagna i poliziotti, per favore. Io sto finendo di preparare i noodle».

Suzie aggrottò le sopracciglia e fissò Logan. «Posso abbassare le mani, adesso?».

La Harper diede un calcio al container più vicino. «Cominciamo da questo».

«D’accordo». La donna armeggiò con la chiusura, abbassandola e facendola ruotare, e infine aprì il grosso portello. «Ecco qui».

Logan seguì la Harper fino all’entrata del container, guardando quello spazio vuoto da sopra la spalla di lei.

Non aveva senso.

La Harper serrò le mani a pugno. «Apra gli altri».

L’agente dell’Unità Cinofila accennò una smorfia contrita. «Posso ricontrollare, ma…». Si strinse nelle spalle. C’era un Labrador ai suoi piedi, la lunga lingua rosea che gli pendeva dalle labbra tirate in una sorta di ghigno idiota. «Mi spiace».

La Harper imprecò, poi lanciò uno sguardo al corridoio. All’interno, la nave sapeva di diesel e deodorante per ambienti. «Okay, grazie».

Logan si appoggiò alla parete. «Niente da fare».

Lei si passò una mano sul viso. «Avete provato nelle cabine e negli uffici?»

«Dappertutto. Perfino nei compartimenti delle paratie».

«Dannazione».

Narveer arrivò di buon passo, piegandosi per evitare di sbattere con il turbante da Rupert Bear contro lo stipite della porta. «Sovrintendente? Abbiamo controllato adesso gli eventuali precedenti dell’equipaggio. L’unica che ne ha è il mozzo, Elaine. Si è ubriacata in una serata con le amiche e ha steso un tizio nel McDonald’s di Aberdeen».

La Harper fissò per un attimo il soffitto della nave: metallo dipinto di bianco attraversato da rivetti. «Assicuratevi che il capitano sia nel suo ufficio».

«Sì, signora». Narveer si girò e tornò ad abbassarsi per superare la porta.

Lei sospirò. «Non sembra andare molto bene, vero?»

«Ecco… no. Non proprio».

La Harper si raddrizzò. «Avanti, andiamo a parlare con il capitano».

Logan la seguì oltre i corridoi di metallo, giù per le scale sottocoperta. Una fila di cabine si estendeva intorno allo scafo, con l’ufficio del capitano al centro.

Lei non si curò di bussare, ed entrò direttamente. «Molto bene, sto perdendo la pazienza, qui, quindi basta con le formalità. Dov’è il carico?».

La stanza era grande appena per contenere un paio di schedari, una scrivania, una pianta di plastica e una sedia in più per un ospite. Il capitano incrociò le braccia sullo stomaco prominente, usandolo come un davanzale. Piccole macchie marroni gli macchiavano la maglia: i fantasmi dei noodles passati. «Di che carico parla?»

«Quello che doveva essere nei container!». Lei si piegò sulla scrivania, torreggiandogli sopra.

«Non doveva esserci niente nei container».

Logan si chiuse la porta alle spalle. «Da quel che sappiamo, dovevate prendere un certo numero di casse sigillate da uno yacht a sessanta miglia da Bora, e nasconderle nei container».

«Nah». L’uomo scosse la testa, facendo ondeggiare il doppio mento. «Penso che mi sarei ricordato una cosa del genere. Avete sbagliato barca, amici miei».

La Harper sbatté una mano sulla scrivania, facendo tremare una tazza di tè. «Martin Milne vi ha detto di prendere quelle casse e portarle qui!».

«Non dica sciocchezze. Martin ci ha detto di prendere quattro container vuoti e di portarli in giro nella baia di Moray per un po’. Di fare un paio di esercitazioni antincendio con l’equipaggio, e una di uomo in mare. E poi di andare a Gardenstown e attenderlo. Sta portando una cena di pesce per tutti».

«Una cena di pesce?»

«Sì, be’, dovevamo fare questa esercitazione. Ha a che fare con le nuove regole operative delle compagnie petrolifere. Una perdita di tempo, se vuole la mia opinione, ma io che ne so, giusto?».

Logan si sedette sulla sedia davanti alla scrivania. «Quindi, niente yacht?»

«No, niente yacht. Senta, se non mi crede, esamini pure le registrazioni di bordo. Abbiamo la registrazione del gps sul computer, in modo che il cliente possa controllare la rotta. Prego, controlli pure».

La Harper era sul ponte coperto, le mani dietro la schiena, a fissare la prua della nave. «Nessuno?».

Gli ufficiali del team erano riuniti intorno a lei in un rozzo semicerchio: la Torre Eiffel, la Chiatta, l’Albero di Natale, il Vecchio Scarpone e il Trenino Thomas. L’unico che mancava era la Pecora che suonava la cornamusa.

Rennie si appoggiò contro una delle sedie girevoli inchiodate sul pavimento. «L’equipaggio conferma la versione del capitano. Container vuoti, un giro nella baia, le prove antincendio e quelle per l’uomo in mare con dei manichini ripescati dall’acqua. Oh, e sono molto delusi per la mancanza della loro cena di pesce».

«Non posso biasimarli». La Steel si ficcò le mani in tasca. «Anche a me piacerebbe una cena di pesce, al momento. E un po’ di piselli, insieme al fish & chips. Oh, delle cipolline».

La Harper la ignorò, indicando invece Narveer. «E le registrazioni di bordo?».

Lui controllò il taccuino. «Secondo il gps, non sono mai arrivati vicino al punto in cui Milne diceva che lo yacht li avrebbe attesi. Sempre che ci sia mai stato, a questo punto. E ci sono delle telecamere a circuito chiuso sui ponti, tra l’altro: non si sono incontrati con nessuno».

«dannazione!». Lei si afferrò a un bancone, le spalle incurvate in avanti. Sospirò sibilando. «Che opzioni abbiamo?».

Narveer sospirò. «Temo che dovremo incassare la sconfitta e basta. Stavamo lavorando in base a informazioni che ritenevamo affidabili. Non è colpa nostra».

«Oh, certo, e i capi lo accetteranno senza battere ciglio». La Steel gli rivolse un sorrisetto allegro. «I nostri superiori sono proprio noti per la loro natura comprensiva».

Logan si fece avanti, affiancandosi alla Harper. «E se Malcolm McLennan stava dicendo la verità, al funerale di Hamish Mowat, e i suoi uomini non hanno niente a che fare con la morte di Shepherd? E se il colpevole fosse sempre stato Martin Milne?».

Lei si voltò a guardarlo. «E quindi, mi sta dicendo che aveva sempre avuto ragione, fin dall’inizio?»

«Non ho mai detto questo».

«Narveer, rimanda tutti a casa. E di’ al capitano che il suo capo non si presenterà a portare loro la cena, stasera, perché finirà in una dannata cella». Poi si girò e puntò verso la porta. «Sergente McRae, con me».