Capitolo 19
«…vicino si è tolto la vita per il fallimento della sua compagnia. Ci sono ricconi che se la godono a Londra, e la moglie di quest’uomo dovrà accontentarsi della tomba che il comune offre ai nullatenenti. Dov’è la giustizia sociale, in tutto ciò?».
Logan gemette sotto al copriletto.
«Ecco, questo è un ottimo spunto di riflessione. Okay, passiamo a Marjory, da Cullen. Prego, Marjory».
Si sentì un lieve miagolio, e un peso gli piombò sulla vescica. «Argh…». Poi gli passò sull’addome e gli si sedette sul petto.
«È tutta colpa del prezzo del petrolio. Lo sappiamo tutti che le compagnie petrolifere guadagnano miliardi, e allora perché sfruttano le società di distribuzione? Come pensano che sopravvivrà l’industria, se questa gente risucchia ogni singolo centesimo dal Mare del Nord?».
Logan lanciò un’occhiata alla radiosveglia. Le otto e mezzo.
«E non dimentichiamo che l’ottanta per cento di un litro di benzina se ne va dritto nelle tasche del governo! E sono i soldi degli scozzesi».
«Va’ al diavolo». Allungò una mano e premette il tasto per zittire la radio, scivolando di nuovo sul cuscino.
Una testolina pelosa comparve sopra il bordo del copriletto e gli sfiorò il naso con il musetto. Ronfando come un’asciugatrice piena di ghiaia.
Sbadigliò.
Il telefono iniziò a squillare, al piano di sotto, in soggiorno. Poi tacque. Seguito dal suono distorto della sua voce registrata che pregava chiunque fosse di lasciare un messaggio.
Cthulhu tornò a premergli il muso contro la faccia.
«Sì, lo so che vuoi la pappa, piccolo mostro». Recuperò il pacchetto di bocconcini per gatti dal comodino, mentre la segreteria telefonica, di sotto, pigolava, e una voce roca sostituiva la sua.
Chi diavolo era?
Un altro colpetto.
«Okay, okay». Prese un bocconcino e glielo tenne davanti al nasino rosa.
Crunch, crunch, crunch.
Samantha si sedette ai piedi del letto, passandosi una spazzola tra i capelli rosso fuoco e facendoli splendere. «Sei già sveglio? Pensavo che avresti dormito fino a mezzogiorno».
Un altro bocconcino.
«Sono le otto e mezzo, dammi tregua».
Crunch, crunch, crunch.
Lei gli acchiappò un piede attraverso il copriletto. «È il gran giorno, oggi».
«Lo so».
Crunch, crunch, crunch.
«Avanti: in piedi e una bella doccia. Non voglio che tu mi spenga con la faccia e l’aspetto di uno che è passato attraverso una mietitrebbia. Devi essere al meglio, signor McRae». Gli sorrise. «In fondo, non capita tutti i giorni di poter uccidere la propria ragazza, no?».
Logan tornò in camera da letto, strofinandosi la testa con un asciugamano. L’aria fredda gli fece accapponare la pelle sulle braccia. Si fermò sulla porta, annusando.
Era forse bacon, quello?
Come era possibile che sentisse l’odore del bacon fritto?
Forse gli stava venendo un ictus?
…
Un momento. Erano voci, quelle?
Si avvolse l’asciugamano intorno ai fianchi, legandolo con un nodo.
Sì, c’erano davvero delle voci, di sotto.
Forse era Reuben, venuto a finire il lavoro di persona. Be’, peggio per lui, perché… Oh, dannazione. Il cinturone non era dove sarebbe dovuto essere, ovvero sulla sedia nell’angolo della stanza. Era ancora appeso alla ringhiera in fondo alle scale.
Argh.
Avanti, improvvisa.
Si tirò su un paio di jeans e uscì in punta di piedi dalla stanza, fermandosi sul ballatoio. Aprì la credenza e tirò fuori la cassetta degli attrezzi. Scelse una grossa chiave inglese. Grossa e pesante.
Si sbatté sul palmo l’estremità dell’oggetto.
Non era come un manganello estensibile, ma se gli avesse permesso di arrivare in fondo alle scale, dove si trovava il cinturone, sarebbe bastata e avanzata.
Scivolò silenziosamente giù per le scale. Non c’era anima viva.
Le voci che provenivano dal soggiorno sembravano più quelle di un notiziario, in effetti.
«…notizie e il meteo, ma prima facciamo due chiacchiere con la coppia che sta conquistando Britain’s Next Big Star con la sua Breakfast…».
Logan recuperò la bomboletta di gas lacrimogeno dal cinturone, armeggiando finché non riuscì a liberarla del tutto. Poi afferrò il manganello estensibile e…
Qualcuno stava cantando in cucina. Una voce dolce e calda, ma roca, che ce la metteva proprio tutta.
Adventure Cat, Adventure Cat,
The cosmic kitten with a magic hat.
Fighting evil, doing good,
Having naps and eating food1.
Non era Reuben. Era la Steel.
With her sidekick Lumpy Bear,
Catching villains unaware2.
Logan abbassò le armi e le posò sulle scale attraverso la ringhiera, prima di entrare in cucina.
La vide davanti ai fornelli, intenta a scuotere una padella che schioccava e sfrigolava. E continuava, ignara, a cantare:
Making friends and having fun,
Doing stuff for everyone3.
Logan si appoggiò al bancone della cucina. «Che sta facendo?».
La Steel si bloccò per un attimo, poi continuò a cucinare. «La colazione». Si guardò in giro e inarcò un sopracciglio. «Laz, ma quante volte devo dirtelo? Davvero, sono lusingata, ma non ti scoperò mai. Vatti a vestire». Gli agitò contro una spatola. «La vista di tutte quelle cicatrici mi mette i brividi».
Lui incrociò le braccia sul petto. Poi le abbassò per coprire le linee lucide e in rilievo che gli si intrecciavano sull’addome. «Come è entrata?»
«Non ha senso avere tutte le chiavi della stazione, se poi non le si usa, giusto?». Tornò a mescolare il contenuto della padella. «Cinque minuti. E smettila di immaginarmi nuda! Ne abbiamo già parlato».
Gah…
Logan si girò e tornò in corridoio. Forse, se si fosse versato della candeggina nelle orecchie, si sarebbe riuscito a liberare di quella particolare immagine mentale.
Si fermò con una mano sulla ringhiera alla base delle scale. «Chi era al telefono?».
Ma lei aveva ricominciato a cantare.
Adventure Cat, Adventure Cat,
Foiling evil Dr Rat,
And his schemes most dastardly,
To save the world for you and meeeee!4.
Ma perché ancora ci perdeva tempo?
In soggiorno, la luce rossa della segreteria telefonica ammiccò verso di lui.
In tv, due giornalisti cercavano di intervistare una coppia abbronzata con capelli gonfi e denti innaturalmente bianchi.
«…incredibile. E avreste mai pensato di avere tanto successo?»
«Va detto che i fan sono stati davvero favolosi, vero, Jacinta?»
«Oh, sì, assolutamente favolosi. Insomma, totalmente. Io e Benjamin abbiamo…».
Muto.
Premette il pulsante della segreteria telefonica.
«messaggio uno». La stessa voce roca quasi inudibile dal piano di sopra si fece sentire dall’altoparlante. «Sergente McRae? Sono il sovrintendente capo Napier, ho ricevuto il suo messaggio riguardo al… progetto di cui avevamo parlato».
Oh, merda.
Logan si lanciò oltre il tappeto e chiuse al volo la porta del soggiorno.
«Credo che sarebbe più prudente se venisse a parlarne con me di persona. In questo modo, potrà anche dare un’occhiata alle prove».
Ebbene, Napier avrebbe dovuto attendere. Aveva cose più importanti da fare che manipolare un’indagine degli Affari Interni sulla Steel, quel giorno. E anche il giorno dopo non sarebbe stato disponibile, dopo la sbronza che intendeva prendersi.
«Credo che sia necessario cominciare prima possibile, non trova? Dopotutto, più questa faccenda resta nel limbo, più è facile che qualche giornale ci metta le mani sopra. E credo che possiamo tutti concordare sul fatto che un processo mediatico causerebbe danni a tutti gli interessati. Se vuole richiamarmi, possiamo fissare un appuntamento. Grazie».
Bleeeeeep.
Logan lanciò uno sguardo al muro che separava la stanza dalla cucina. Era impossibile che la Steel lo avesse sentito. Non certo mentre cantava a pieni polmoni.
Sempre che, naturalmente, non fosse stata lì quando era arrivata la telefonata.
«messaggio due». La voce della Steel si fece sentire dalla segreteria telefonica. «Laz? Sei lì?… Laz?… Rispondi, se ci sei».
In tv, erano passati dai due spacciatori di denti finti e lampade abbronzanti che si fingevano cantanti al notiziario locale.
«Sarà meglio che tu non sia ancora a letto, pigro bastardo che non sei altro. Probabilmente te ne stai lì a masturbarti, vero? Be’, smettila, finirai per diventare…».
Cancella.
Il giornalista del notiziario fu sostituito da una folla fuori dalla sede della compagnia petrolifera di Dyce. Le parole “l’agitazione sale, al terzo giorno di protesta…” stavano passando sotto le immagini.
«nessun nuovo messaggio».
Logan tenne premuto il pulsante per cancellare i messaggi finché non ne rimase nessuno, eliminando la telefonata incriminante di Napier.
Le proteste a Dyce lasciarono il posto ai boschi e a una striscia di nastro bianco e azzurro della polizia.
«…cadavere identificato come l’imprenditore locale peter shepherd…».
Logan spense il televisore. Era ora di vestirsi.
La Steel posò un piede sul cruscotto, grattandosi la caviglia, il cellulare incastrato tra orecchio e spalla. «Sì. …Ah, davvero?… Nah…».
Logan seguì la strada tortuosa che conduceva a ovest, fuori da Banff. Con calma.
C’erano delle righe bianche graffiate sul volto azzurro del mare. Sbattevano contro gli scogli, lanciando in alto spruzzi di schiuma. Scintillava nella calda luce dorata che sembrava vivacizzare ogni colore.
«Quando è successo?… Oh, davvero?… No, non ne sono contenta, Becky. Ho messo te a controllare quel piccolo bastardo, non Spaver: quindi, vedi di sistemare la faccenda. …Sì».
Samantha si piegò in avanti dal sedile posteriore. «Non ho ancora capito perché lei è dovuta venire con noi».
«È preoccupata per me».
Un’enorme pozzanghera si estendeva sull’asfalto, e lui rallentò per attraversarla. Le gomme la superarono lente, ringhiando, sollevando i suoi muri d’acqua e schiuma. Ma grigia e piena di detriti, invece che bianca e scintillante.
«È una spina nel fianco. Lo è sempre stata».
«Vero».
La Steel mise via il cellulare, ma imprecò non appena riprese a squillare. Lo ritirò fuori. «Sì?… Sovrintendente Harper… Sì, sì, lo so. …Io?». Lanciò uno sguardo a Logan. «Sì, sto seguendo un paio di cose, al momento… Certo. Tornerò in ufficio nel giro di un paio d’ore… circa. Cosa?». Si grattò di nuovo. «Oh, santo cielo. Come ha fatto? Quel viscido caprone maledetto… Cosa?»
«Pensavo che saremmo stati solo noi due, oggi. Insomma, è la mia ultima mattinata sulla Terra. Chi ha invitato la Grinzosa Strega dell’Ovest?»
«Potete evitare di litigare, voi due, almeno per oggi? Ti prego. Solo per questa volta».
«…No. Certo. Bloccheremo tutto. Malk lo Squartatore di certo non prenderà contatti, se Milne si ritroverà con i media di mezzo mondo accampati fuori da casa sua… Uh-huh. Certo».
Un cartello si fece vedere in lontananza. “sunny glen”.
Samantha gli posò una mano sulla spalla. «Non manca molto».
«Sono l’unico che si sta sentendo male?»
«Uh-huh. …Uh-huh. Okay. Grazie». La Steel attaccò, tolse il piede dal cruscotto e rimise via il cellulare. «Che stai borbottando, Laz?».
Lui si strinse nelle spalle. Mise la freccia. Svoltò a destra, avvicinandosi agli scogli.
La Steel ruttò leggermente, per poi accarezzarsi lo stomaco. «Dove l’hai comprata la salsa di pomodoro, da Halfords? Sembra acido per batteria».
«Oppure potrebbe essere colpa dei tre panini al bacon che ha divorato».
«No, è colpa della tua salsa di pomodoro economica e orribile da discount». Ruttò di nuovo. «A quanto pare, i giornalisti si sono accampati fuori dalla casa di Martin Milne da quando abbiamo fatto sapere che il cadavere rinvenuto nei boschi era quello di Shepherd. È come una partita di rugby, là fuori, adesso».
«Per non parlare delle quattro tazze di caffè».
«Hanno beccato un paparazzo che cercava di superare la recinzione sul retro, dopo aver fatto il terzo grado sia alla vicina che alla donna che guida lo scuolabus».
«Fate fare una dichiarazione a Milne. Quegli sciacalli non se ne andranno finché non dirà qualcosa».
Il Sunny Glen comparve oltre la successiva curva: un edificio quasi tutto costruito su un singolo piano, con una balconata che dava su un ampio patio dove il terreno scendeva verso gli scogli. Qualche sedia a rotelle era parcheggiata all’aperto, con i loro occupanti sotto il sole di febbraio.
Logan esalò un lungo e lento sospiro. «Eccoci arrivati».
La Steel gli strinse la gamba tra le dita. Di nuovo.
«Ehi!». Samantha mollò un colpo al sedile. «Giù le mani, vecchia strega».
«Sta solo cercando di essere gentile».
Dal sedile del passeggero, la Steel si accigliò. «Cosa? Chi sta cercando di essere gentile?».
La Punto scivolò in uno dei parcheggi fuori dall’ala amministrativa della struttura. «La moglie di Milne, Katie. Sta cercando di essere gentile con tutti. E non deve essere facile, dopo tutto quello che è successo».
La Steel tirò fuori la sigaretta elettronica e ne prese un tiro. «Con il marito che si faceva un tizio morto? Be’, probabilmente no». Uscì nel sole, e si grattò la pancia.
«Gah, è come condividere l’auto con un Labrador». Samantha si lasciò scivolare contro il sedile e incrociò le braccia. «Non fa altro che grattarsi e sistemarsi il reggiseno».
«Allora andiamo?». Logan prese la giacca.
La Steel si piegò a sbirciare dentro la macchina.
«Certo che andiamo».
«Sì. Certo. Andiamo». Fu lui ad avviarsi per primo verso la reception: una stanza con una vetrata sul davanti, con piante in vaso, acquerelli alle pareti e un grosso bancone di faggio.
Il giovane seduto dietro al bancone alzò lo sguardo mentre Logan entrava e gli sorrise. «Signor McRae, come sta oggi?»
«Non credo di saperlo ancora con certezza, Danny».
«Ah, certo». Si alzò. «La prego, si sieda. Le chiamo Louise. Le va una tazza di caffè, o…?»
«No. Grazie».
«Okay». Sollevò il telefono e si mise a parlare a mezza voce con qualcuno, mentre la Steel camminava per la stanza, osservando i dipinti, con le mani dietro la schiena, come un corvo tutto rughe.
Samantha fece scivolare la mano in quella di Logan. «Andrà tutto bene».
Lui si limitò a sospirare.
La Steel gli prese l’altra mano. «Come ti senti?»
«Apprezzo il gesto, ma sto bene». Spostò il peso da un piede all’altro. «Non c’è bisogno che lei resti qui. Ha un omicidio da risolvere».
«Be’, la Harper può ringhiare e abbaiare quanto vuole, ma certe cose sono più importanti». Gli strinse la mano. «Non posso lasciarti ad affrontare tutto questo da solo».
Lui restituì la stretta. «Grazie».
«Comunque non sei autorizzato a immaginarmi nuda».
«Urgh». Lui tirò via la mano e se la passò sul davanti del giubbotto. «Okay, adesso sicuramente…».
«Logan. Buongiorno». Una donna entrò nella stanza. Il caschetto biondo ossigenato le si arricciava sulla fronte, e gli stivali da cowboy che ticchettavano sul pavimento di legno. Allargò le braccia, i raggi del sole a trapassare le maniche di lino della sua camicia, facendola scintillare di luce come un angelo. Lo abbracciò con forza. Poi si scostò. «Come stai?».
Perché dovevano chiederglielo tutti? Come diavolo poteva stare, secondo loro?
«Bene. Sto bene, Louise». Suonava meglio di “morto dentro”.
Samantha si sporse avanti, la sua voce calda e lieve all’orecchio. «Bugiardo».
«Sei certo di voler procedere? Ricorda, non c’è fretta».
«Lo so».
«Okay». Louise gli accarezzò un braccio. «Se c’è qualcosa che non ti è chiaro, o vuoi fermarti, fammelo sapere. Non sarà un problema». Poi si volse verso la Steel. «Lei deve essere la madre di Logan. Mi ha parlato così tanto di lei».
Le rughe sulla fronte della Steel si fecero più profonde. «No! Non sono sua madre, sono solo il suo supporto morale. Tanto per cominciare, non sono abbastanza vecchia, neanche da lontano!».
Il sorriso di Louise si smorzò per un attimo. «Oh. Mi scusi. Sbaglio mio». Poi si girò e accennò alla porta che conduceva all’interno dell’edificio. «Andiamo?».
I corridoi riecheggiavano del ritmico rumore di una lucidatrice e delle note che provenivano dalle stanze, ciascuna con la sua musica. Il tutto si univa in un suono atono e caotico, come quando una radio riceve diverse stazioni in contemporanea.
Uomini e donne giacevano nei loro letti, alcuni collegati a delle macchine, altri capaci di respirare da soli. Un paio di loro sistemati su delle poltrone, con la testa di lato e la saliva che gocciolava sul bavaglio intorno al collo.
«Eccoci». Louise tenne aperta la porta della stanza numero diciotto e li lasciò entrare.
Samantha giaceva sotto le lenzuola, una maschera per l’ossigeno sopra il viso pallido. Ormai i capelli erano quasi del tutto castani, tranne il rosso sbiadito sulle punte. Un piccolo punto sul naso e un altro sul labbro inferiore, altri lungo i padiglioni auricolari, dove i piercing si erano richiusi. I tatuaggi spiccavano sulla pelle quasi traslucida, intrecciandosi sulle braccia nude: teschi e cuori uniti a rovi e tribali spinati. Sembravano molto più neri di un tempo. Come se le avessero risucchiato via la vita, per tutti quegli anni, e ora fossero pronti a staccarsi dalla sua carne.
Aveva zigomi netti e pronunciati, alti sul viso scavato. Ma la cosa che più cambiava il suo aspetto era la grossa indentatura sulla testa, sopra l’orecchio sinistro, come se qualcuno l’avesse scavata.
Louise posò una mano sul braccio di Logan, facendolo voltare verso l’altro occupante della stanza. «Logan, lui è il dottor Wilson, e sarà lui a occuparsi dell’interruzione della terapia di Samantha».
Un signore elegante e calvo gli porse la mano. Indossava un paio di calzoni chino che gli cadevano a piombo lungo le gambe, una camicia in denim con le maniche arrotolate fino ai gomiti e una cravatta rosa infilata tra i bottoni. «Ci prenderemo cura di lei, Logan. Non sentirà niente».
«Come funziona?»
«Daremo a Samantha una dose di morfina, attenderemo gli effetti e poi spegneremo il respiratore».
«Quindi soffocherà».
«So che sembra terribile, ma in realtà non proverà alcun dolore».
Se non altro, era qualcosa.
Il dottor Wilson giunse le mani, come se fosse sul punto di pregare. «Ha delle domande da pormi?».
Il petto di Samantha si alzava e abbassava sotto le lenzuola, a tempo con i sibili del respiratore.
«Logan?».
Qualcuno lo stava pungolando nelle costole. E quando si guardò intorno, notò che la Steel lo stava fissando, accigliata.
Gli parlò in tono gentile. «Stai bene? Perché possiamo tornarcene a casa e farlo un altro giorno, se vuoi».
Un respiro profondo. «No». Allungò una mano e prese quella di Samantha. Aveva la pelle secca come pergamena, fredda al tocco. «È il momento di farlo».
«Capisco». Il dottor Wilson annuì. «La procedura dovrebbe…».
«Non sarà lei a farlo».
L’uomo tirò indietro il mento. «Comprendo che è una situazione difficile, ma le assicuro che l’ho fatto molte volte e…».
«Lei non la conosceva». Logan spostò una ciocca di capelli sulla testa di Samantha, coprendo la spaccatura nel cranio. «Devo farlo io».
«Ah…». Il medico sbirciò verso Louise. «Non credo che sia una buona…».
«Se lo merita. Si merita di non finire la vita per mano di un estraneo».
La Steel aggrottò la fronte ancora di più. «Laz, sei sicuro di volerlo fare?»
«Non importa quello che voglio io: glielo devo».
«Signor McRae, la prego. Credo che lei debba ripensarci, questo è…».
«Ha sentito quello che ha detto, dottore». La Steel si mise tra loro e allargò le braccia, come se dovesse fermare una rissa in un pub. «Gli mostri cosa deve fare e poi si faccia un bel giro e se ne vada a prendere un caffè e una merendina al cioccolato».
1 Adventure Cat, Adventure Cat, / Tu combatti il Dottor Rat, / Contro il male lotti e vai / A poltrire non stai mai (n.d.t.).
2 Lumpy Bear è al tuo fianco, / Ai cattivi non dai scampo (n.d.t.).
3 Hai tanti amici divertenti, / Sei un eroe e non ti accontenti (n.d.t.).
4 Adventure Cat, Adventure Cat, / Tu combatti il Dottor Rat, / Dei suoi piani fai poltiglia, / Sei una grande meravigliaaaa! (n.d.t.).