Capitolo 30

«Gnnnph…». Logan scattò su a sedere, sbattendo le palpebre nell’oscurità.

La casa mobile. Era nella casa mobile. Nel letto, con la trapunta intorno al petto. Era buio.

Cercò il cellulare in tasca. Un quarto alle quattro.

Urquhart doveva aver chiuso le tende.

Logan portò le gambe oltre il bordo del letto e si alzò barcollando in piedi. Restò lì, con una mano sul muro a sorreggerlo.

L’odore fastidioso della muffa era svanito, lasciando il posto all’odore forte e chimico della candeggina.

Si spostò in soggiorno, dove l’odore era ancora più intenso.

«Oh, fantastico».

Il corpo di Eddy Knowles era sparito. Delle macchie grigio-arancioni segnavano il pavimento nel punto in cui era morto, circondate dal rosso scuro originario della moquette. Altre tracce scolorite si vedevano sul davanzale. E un’altra macchia era sul divano.

Logan si toccò il bernoccolo sulla tempia. Sussultò. Poi lo sfiorò di nuovo. Il gonfiore si era un po’ attenuato. Aveva anche smesso di sanguinare.

Non che avesse importanza.

Sarebbe stato meglio morire nel sonno, che svegliarsi in quella realtà, probabilmente.

Non aveva più molta importanza se Reuben decideva di incastrarlo per aver ereditato dei soldi da Wee Hamish Mowat. John Urquhart poteva accusarlo di omicidio. Aveva portato via il corpo e, considerato che il globo di neve di Sospesi nel tempo non si vedeva da nessuna parte, anche l’arma del delitto.

Logan tirò fuori il cellulare, strizzando gli occhi per mettere a fuoco lo schermo. Recuperò il numero di Urquhart dal registro delle chiamate e lo ascoltò squillare. E squillare. E infine scattò la segreteria telefonica.

«Salve, sono il telefono di John. Lui non può rispondere, al momento, ma lasciate un messaggio, d’accordo?».

Aprì la bocca… e la richiuse. Cosa avrebbe dovuto fare, lasciare una prova registrata in cui chiedeva cosa era successo al cadavere dell’uomo che aveva ucciso? No, assolutamente no. Chiuse la telefonata.

Avrebbe dovuto chiamare la polizia quando ne aveva avuto la possibilità. Trovare un accordo.

Almeno, in questo modo, sarebbe uscito di prigione nel giro di tre anni. Ma ora?

Forse l’idea di andare a casa e farsi saltare la testa non era poi così malvagia. In fondo, non c’era davvero più niente, per lui, ora. Poteva tornarsene a casa, aprire la bottiglia di Balvenie e bang.

Si appoggiò alla parete della casa mobile. Ma chi avrebbe badato a Cthulhu, poi?

La Steel e Susan? No, figuriamoci: il loro Mr. Rumpole era troppo vecchio e scontroso per accettare un altro gatto in casa.

Si passò una mano sul viso. Poi sussultò, quando il telefono si lanciò nella Marcia Imperiale di Star Wars.

E dire che la gente pensava che venerdì tredici fosse un giorno sfortunato.

Logan prese la chiamata. «Non posso».

Dall’altro capo del telefono, la voce della Steel era appena udibile al di sopra del suono della musica e delle voci in sottofondo. Era come se fosse dentro a una discoteca. «Cosa? Un momento». Doveva aver allontanato la testa dal telefono. «ehi, puoi spegnere quella trappola? sto cercando di parlare con tuo padre!». La musica si spense. «Grazie».

Logan voltò le spalle alla stanza e zoppicò in corridoio.

«Scusami. La piccola teppista è nella sua fase heavy metal».

«Ho detto che non posso». Aprì la porta della casa mobile e uscì sotto la neve.

«Non puoi cosa? Cos’è che non puoi…».

«La cena. Tutta questa storia. Non posso». Logan chiuse a chiave la porta.

Il Transit ammaccato era sparito, lasciando la Punto, piena di scatoloni, sola nel parcheggio, coperta di una decina di centimetri di neve. Altra ne scendeva dal cielo grigio sporco.

«Hai idea di quanto si sia data da fare Susan, piccolo bastardo ingrato?»

«Non posso». Avanzò gemendo verso lo sportello del guidatore. Entrò e lo richiuse.

«Non dirmi che non puoi, muovi subito il…».

«Non mi sento bene, okay? Ho vomitato due volte. E mi fa male la testa. E anche lo stomaco». Il che era un eufemismo. Era come se qualcuno gli avesse cucito delle formiche rosse sotto la pelle, lasciandogliele lì a mordere e pungere in tutto l’addome.

Girò la chiave nel quadro, premendo il piede sull’acceleratore finché il motore non reagì. Attivò i tergicristalli, che si mossero attraverso la neve.

La Steel si schiarì la gola. «Ehi, anch’io me la sono dovuta vedere con un doposbornia, oggi: non fare la femminuccia».

«Non è un doposbornia».

Ingranò la retromarcia, con le ruote che dapprima slittarono, ma poi iniziarono a muoversi.

«Certo, e io dovrei crederti».

«Senta…». Logan si morse un labbro. Fece una smorfia. Poi si guardò nello specchietto retrovisore. Aveva la bocca gonfia e spaccata, e parecchi lividi gli stavano comparendo tra lo zigomo e la tempia.

Doveva esserci un modo per costringerla a lasciarlo in pace. Qualcosa per farla arrabbiare al punto da portarla a mollarlo senza dirgli altro. Oh, certo che c’era: «Ho saputo che le foto pedopornografiche che erano sul computer di Jack Wallace erano molto ben nascoste. Come ha fatto a trovarle?»

«Sì, bella prova, Hannibal Lecter, ma non riuscirai a cambiare argomento così facilmente. Se vuoi dare buca alle tue figlie, diglielo tu stesso».

«Oh, avanti, lei sa a stento far funzionare un forno a microonde, e di colpo mi diventa un genio del computer?».

Mise la Punto nella direzione giusta e uscì a passo d’uomo dal parcheggio dei camper, ritrovandosi su Mugiemoss Road, oltre i grandi e brutti capannoni grigi della zona industriale.

Sentì lo stomaco annodarsi e gorgogliare, a ritmo con le ondate pulsanti di ghiaia rovente che gli riempivano il cranio. Doveva avere un trauma cranico. E probabilmente non avrebbe dovuto guidare. Ma cosa avrebbe dovuto fare, restarsene in quella casa mobile finché Reuben non gli avesse mandato contro un altro dei suoi uomini?

Poi la Steel riprese a parlare. «Lo vuoi davvero sapere? Molto bene». Si udì qualche fruscio, e poi il rumore di una porta che si chiudeva.

La strada era di un nero sporco, punteggiata di neve sciolta e marrone, con linee ondeggianti di terriccio e fango chiaramente visibili.

«Sono andata a dirgli di stare lontano da Claudia Boroditsky. Quello schifoso bastardo era già noto per aver minacciato testimoni e vittime. Gli piaceva far paura alla gente. E infatti, di colpo lei si era messa a dire di essersi confusa, e che non era lui il suo aggressore. Ma davvero?».

Piccoli fiocchi di neve danzavano nell’aria, incollandosi alle pareti degli edifici nuovi e delle singole case.

«E lui si è messo a dire: “Gliel’avevo detto che non l’avevo mai vista, non ha niente a che fare con me”. E a quel punto il telefono si è messo a squillare. E non appena si è allontanato per rispondere, mi sono fatta un giretto. Non ho avuto bisogno di fare l’hacker: il suo portatile era nello studio, e le foto se ne stavano lì, davanti agli occhi di tutti. Le aveva montate in uno slideshow».

Un autoarticolato passò brontolando sulla corsia opposta, sollevando un’ondata di neve sciolta e fangosa.

«E parliamo di roba da malati. Veramente orribile. E quel porco arrogante non aveva neanche avuto la decenza di chiudere il portatile, quando ho suonato alla porta. Aveva lasciato tutto ». Tirò su con il naso. «Probabilmente l’ha perfino eccitato il fatto di parlare con la polizia mentre al piano di sopra quello schifo girava sul suo portatile».

«Quindi non ha dovuto inserire una password o altro del genere?»

«Non sto neanche a dirti che avrei voluto farlo cadere dalle scale più di una volta. E come avrei potuto conoscere la sua password, scusa? Chi sono, Derren Brown?».

Logan si fermò sul ciglio della strada e se ne restò lì con il motore acceso. Da quel punto, i campi erano una distesa macchiata di bianco e grigio, circondata da sottili linee nere e dall’occasionale filare di alberi nudi. Il paesaggio scompariva, inghiottito dalla neve, in lontananza.

Sospirò, sbuffando e passandosi una mano sullo stomaco.

Il graffio lasciato dal coltello bruciava sotto le dita. Era come strofinare sale grosso dentro la ferita.

La Steel aveva cominciato una faida lunga quattro anni con Napier per difenderlo.

E ora lui era lì, costretto a indagare su di lei per il sovrintendente capo Biscotti al Cioccolato. In qualche modo, era molto più facile quando Napier era soltanto un Nosferatu fatto di ombre, nascosto e pronto a colpire.

Jack Wallace era uno stronzo arrogante, questo si capiva chiaramente dal video dell’interrogatorio. Se ne stava lì, impassibile, mentre tutto quello che aveva fatto gli veniva messo davanti agli occhi. “No comment” era tutto ciò che gli avevano tirato fuori dalla bocca.

Forse non era davvero un pedofilo. Forse per lui quello che contava era solo il potere che traeva dal dominare sessualmente qualcuno, e non gli interessava da chi otteneva un simile potere, purché fosse più debole di lui.

E ora la Steel era nei guai perché Wallace voleva uscire un po’ prima di prigione. Oh, povero me, sono stato incastrato dalla poliziotta cattiva.

Logan riprese il cellulare e fece comparire sullo schermo la foto di Samantha al matrimonio di Rennie. Appoggiò il telefono sullo spazio tra il volante e il cruscotto.

«So cosa stai pensando, e hai ragione».

Nessuna risposta.

«Stai pensando che sto solo cercando delle scuse per non tornare a casa. Perché se tornerò a casa, dovrò affrontare il fatto che sono fottuto».

Era bellissima. I capelli rossi come sangue fresco, la pelle bianca come la neve. Il corsetto le faceva gonfiare il seno, e aveva uno scheletro per lato, con un cartello sollevato che recitava: disse il corvo, “mai più”. Le spalle nude che mostravano tutti i tatuaggi tribali, i rovi, i teschi e i cuori, e le spirali irregolari.

«Avanti, guardami: non riesco neanche a uccidere qualcuno per legittima difesa senza sentirmi uno schifo. È come se avessi un masso di granito dentro al petto. Come pensi che potrei mai uccidere Reuben a sangue freddo?».

Allungò una mano a zoomare sul suo viso.

«Lei mi ha protetto. Il minimo che posso fare è restituirle il favore».

Il motore della Punto ticchettava, raffreddandosi.

«Mi manchi».

Nessuna risposta.

Sospirò, rimise in tasca il cellulare e riavviò il motore. Fece un’inversione a U.

Al diavolo, non sarebbe tornato a casa.

L’asda di Peterhead non era molto affollato, alle cinque e mezzo di sabato pomeriggio. E per fortuna. Questo significava che non c’era molta gente a guardare Logan che zoppicava in giro nel reparto vestiti.

Notò il suo riflesso nello specchio a figura intera attaccato a una colonna.

A proposito di non dare nell’occhio. La mantella impermeabile, ripresa nel parcheggio dopo averla lasciata avvolta intorno alla scatola della pistola, copriva una moltitudine di peccati e macchie di sangue, ma non faceva niente per nascondere la figura ricurva e ammaccata che lo guardava dallo specchio.

Se avesse avuto un minimo di buonsenso, la sicurezza del negozio l’avrebbe tenuto d’occhio. Era come se portasse con sé un cartello con sopra scritto “rubo formaggio e pancetta!!!”.

Si piegò sul carrello e aggiunse un paio di jeans alla t-shirt nera, alla felpa blu con il cappuccio, ai calzini neri e alle scarpe da ginnastica grigie che aveva già scelto. Poi zoppicò fino al reparto farmacia e aggiunse due confezioni degli antidolorifici più forti che gli riuscì di trovare, un pacchetto di cerotti impermeabili e una banda elastica.

Con quelli, sarebbe stato probabilmente a posto.

Un grosso tizio di mezza età con un maglione nero con scollo a V e cravatta lo seguì fino alle casse. Per sicurezza.

La guardia carceraria gli tenne la porta aperta, facendo una smorfia mentre Logan zoppicava dentro alla sala per gli interrogatori.

«È sicuro di non voler vedere un medico?».

Logan emise un respiro sibilante, mentre si sistemava con lentezza su una delle sedie. «Sto bene, davvero».

La stanza era vuota e anonima. Pavimento grigio, pareti grigie, tavolo grigio, sedie grigie. Un emisfero nero specchiato se ne stava in un angolo, come una telecamera di sicurezza del supermercato, e un maniglione antipanico correva lungo una parete.

«Sì, ma…». La donna indicò la sua faccia.

«Ho dovuto fermare una rissa fuori da un pub, all’ora di pranzo». Logan tentò un sorriso. «Dovrebbe vedere come se la passa l’altro».

Al momento, probabilmente stava passando nell’intestino di un maiale. Se Logan era fortunato.

«Be’, okay. Se ne è proprio sicuro».

«Assolutamente».

Lei annuì. «Vado a prendere il signor Wallace».

Non appena si fu allontanata, Logan inghiottì un altro paio di compresse di Nurofen. Al diavolo la dose giornaliera raccomandata. Rimise la confezione nella tasca della sua felpa nuova. Non era stato facile, cambiarsi sul sedile del passeggero della Punto, in una piazzola di sosta, ma almeno adesso sembrava un po’ meno un tossico.

Peccato che tutto il corpo gli facesse male. E ogni volta che si muoveva, i cerotti bloccati dalla banda elastica gli tiravano i peli sull’addome.

Ma, per il resto, tutto era maledettamente perfetto.

Non passarono più di cinque minuti, prima che la guardia tornasse con Jack Wallace.

La prigione non gli aveva fatto prendere peso, era già piccolo e magro, la maglia rossa e i pantaloni da jogging grigi gli pendevano addosso. Aveva mantenuto la frangia pettinata in avanti, ma la barbetta sottile si era infoltita. Probabilmente non era facile ottenere degli strumenti per radersi alla perfezione, all’hmp Grampian.

L’agente lo indicò. «Jack, questo è il sergente McRae, ed è qui per parlare delle tue dichiarazioni. Per la cronaca, te lo ripeto, questo interrogatorio non sarà registrato, e tu hai deciso di non avvalerti della presenza dell’avvocato. Giusto?».

Wallace annuì. Sembrava magro, ma quando mosse la testa, la pelle gli ondeggiò sotto il mento. Come se fosse stato molto più grosso, un tempo, e avesse perso troppo peso in troppo poco tempo.

«Molto bene, dunque. Sergente McRae, sarò qui fuori, se avrà bisogno di me».

«Grazie». Logan attese che la porta si chiudesse, poi tornò a sistemarsi meglio sulla sedia. Perché non riusciva a trovare una posizione che non lo facesse soffrire? Si accontentò di una posa che gli provocava dolore solo al lato sinistro del corpo e restò così, senza dire nulla, lasciando che il silenzio crescesse tra loro.

Okay, era un vecchio trucchetto da due soldi, ma funzionava sempre. Presto o tardi, la persona dall’altra parte del tavolo avrebbe…

«Non sono stato io». Wallace si piegò in avanti, le mani strette davanti a sé. «Non so perché lei dice che sono stato io, ma non è così. Insomma, dei bambini?». Mostrò i denti e rabbrividì. «È una cosa da pervertiti».

Logan restò dov’era. A bocca chiusa.

«Non capisco. Non ho mai guardato un bambino in quel modo. Mai». Tirò su con il naso, poi si asciugò gli occhi sulla manica della maglia. «Non c’entro niente, io, qui. Non sa con che persone mi hanno messo: pedofili, stupratori, gente che si scopa le pecore, Dio santo! Feccia». Il labbro inferiore prese a tremargli, poi lo morse forte. «Io non dovrei essere qui».

Qualcuno attraversò il corridoio, all’esterno, fischiettando un motivetto monocorde.

«È stata opera dell’ispettore capo Steel». Pronunciò quel nome come se fosse fatto di acido per batterie. «Mi ha incastrato. Ha rubato il mio portatile e ci ha messo sopra quelle foto orribili, in modo da potermi arrestare». Si raggomitolò su se stesso, un gomito sul tavolo e la testa tra le mani. «Erano anni che ci provava. E questa è la sua idea di uno scherzo. Ma stiamo parlando della mia vita!».

«Perché?».

Wallace alzò lo sguardo. «Cosa?»

«Perché avrebbe dovuto farlo? Perché a lei?»

«Non lo so». Si passò di nuovo la mano sugli occhi. «Se lo sapessi, glielo direi, ma non lo so. Non ho mai fatto niente. Niente».

Logan piegò la testa di lato, allungando i muscoli del collo e facendo tirare la striscia di garza che gli copriva la gola. «E Claudia Boroditsky?».

Wallace reagì come se l’avessero preso a schiaffi. Si raddrizzò di scatto, sbattendo le palpebre per allontanare le lacrime. «Non l’ho mai toccata. Mai. Può chiederlo a lei, erano tutte bugie. Ha fatto cadere le accuse e il caso non è mai arrivato davanti al giudice». Premette un indice sottile contro il tavolo. «Avrei dovuto farle causa. Farla condannare per diffamazione. Per aver intralciato il corso della giustizia. Sono io la vittima, qui».

Sì, certo.

«Non è giusto». Si allungò sul tavolo, ma Logan tenne le mani fuori dalla sua portata. «Non ho stuprato nessuno e non ho scaricato foto pedopornografiche. Lo giuro sulla tomba di mia madre, quella vecchia stronza rugosa mi ha incastrato».

Ed eccolo lì, il vero Jack Wallace, per un attimo: aggressivo, misogino, furioso e convinto di essere un martire, un bastardo sessista e nient’altro. Pronto a mentire e a confondere le acque. E a tentare di sfuggire di nuovo alla giustizia.

Be’, non stavolta.

Logan si alzò. «Abbiamo finito».