Una scommessa d’amore
Karlsruhe, luglio-settembre 2004
Abbiamo trascorso belle giornate in Italia, a casa mia, quella dei miei genitori, a Borgaro. Papà e mio fratello ci hanno ospitati con cordialità, con qualche sorriso e qualche connivenza, ma ho assicurato: «Tranquilli, non c’è ancora niente tra noi due, non è la mia fidanzata». «Anche se lo spero», ho poi aggiunto, parlando con mio fratello, faccia a faccia, facendogli l’occhiolino.
Victoria è piaciuta ai miei familiari e ai parenti. Lei mi è parsa a suo agio, l’Italia fa sempre colpo sugli stranieri, specialmente sui russi. E da come si è comportata direi che ha confermato pienamente la regola. Si sarà convinta a voler stare con me?
In auto, quando ci siamo rimessi in viaggio per tornare a Karlsruhe, e ancora in territorio italiano, ho voluto affrontare nuovamente l’argomento: «Victoria, ho desiderato che conoscessi la mia famiglia come per darti una conferma del mio sincero amore. Sei importante per me… dammi un’opportunità di dimostrarti tutto il mio affetto. E per farlo vorrei che mi concedessi di mettermi con te…» Più chiaro di così…
Ho guardato la carta stradale: ci stiamo avvicinando a Como e al confine svizzero. Ho pensato: «Mi dirà finalmente qualcosa?» Silenzio. Victoria mi guarda con i suoi occhi buoni, ma non dice nulla…
Siamo arrivati al confine, stiamo per lasciare alle nostre spalle il cartello con scritto “Italia”. Gioco l’ultima carta: «Senti Victoria, io credo che siamo arrivati a un punto di non ritorno: io voglio stare con te, ma non so neanche che cosa voglia dire stare con te se non mi darai l’opportunità di farlo… Se la nostra relazione non dovesse andare bene, ti assicuro che non ti lascerò per strada e ti aiuterò a rimanere a Karlsruhe visto che dovresti tornare in Uzbekistan!»
Victoria, invece di rispondere, ha girato il suo bel viso verso la strada ed è scoppiata a piangere.
A sera, quando arriviamo a casa sua, Victoria mi abbraccia. Ci siamo baciati. «Victoria…», le ho detto, «adesso sono io che piango». Un uomo che piange di gioia!
Abbiamo cominciato a convivere, ma il lavoro mi sta conducendo altrove. L’altro giorno ho ricevuto una telefonata di Paolo Destefanis:
«Senti Daniele, è importante che tu vada a seguirmi un nuovo cantiere a Berlino».
«Devo proprio andare, Paolo? Sai, ho cominciato a vivere con questa ragazza, qui a Karlsruhe, e Berlino dista 600 chilometri. Vorrebbe dire rinunciare a fare una vita insieme, che abbiamo appena cominciato. In ogni caso, Paolo», ho dovuto tagliar corto, conoscendolo, «se hai bisogno che vada là vedo di arrangiarmi».
«Ecco, Daniele, vedi di arrangiarti».
È stato categorico il mio capo. E allora devo vedermela con Victoria. Sono almeno due ore che sto cercando il momento buono per parlarle, per dirle quello che ho maturato in testa. Ecco, adesso, a cena, mi sembra arrivato il momento propizio per comunicarle la novità.
«Victoria, devo dirti una cosa importante. Mi hanno chiamato dall’Italia: devo trasferirmi a Berlino, per un nuovo cantiere, in un altro stabilimento automobilistico di Mercedes. Non ho alternative. Devo andarci… Perché non vieni a vivere con me a Berlino?»
Victoria mi guarda interdetta: «Ma se vengo con te e lascio Karlsruhe significa che devo smettere di studiare e tutto il resto».
«Molla tutto, vieni con me. Ti prego».