Una sorpresa in agenzia viaggi
Torino-Bangkok e ritorno, agosto-ottobre 1997
Silvio, il mio amico, il mio maestro di vita, che con le sue parole e i suoi suggerimenti mi ha introdotto al gusto per la cultura e a mondi che non conoscevo, mi ha suscitato un tale interesse per l’Oriente che, appena preso il diploma da perito grafico, il mio primo pensiero – quasi volessi darmi un premio con qualche soldino messo da parte – è stato di andare a visitare uno di quei Paesi.
«Potrebbe dirmi se c’è qualche viaggio a buon prezzo per il Sud-Est asiatico?», domando a una ragazza che sta dietro il bancone dell’agenzia viaggi Nouvelles Frontieres, a Torino, nei pressi del Municipio. A fianco a me c’è un prete. «Ragazzo, ti andrebbe di andare in Thailandia? Io ho prenotato il viaggio, ma sono insorti problemi e sono costretto a rinunciare ad andarci, per ora. Può interessarti prendere i miei biglietti?» Avviene tutto così rapidamente che quasi non so che cosa dire. Poi, d’istinto, faccio la prima domanda che mi viene in mente:
«Ma quando è prevista la partenza?»
«Domani».
«Domani?!?»
Ho accettato lo scambio. E sono arrivato a casa, a Borgaro, con in tasca i biglietti per andare in Thailandia. Come dirlo ai miei? Come fargliela digerire?
In che guaio mi sono cacciato! Sono arrivato all’aeroporto di Bangkok con circa dieci ore di volo diretto da Milano Malpensa e già sono pentito di aver avuto questo colpo di testa. Mi aggiro spaesato per il grande scalo thailandese. Solo con il mio minimalissimo bagaglio. Penso a mia madre, preoccupata, che mi ha visto partire eccitatissimo e con uno zainetto comprato alla Coop con dentro indumenti intimi, una maglietta e un paio di pantaloncini di ricambio!
Non ho neanche compiuto 19 anni… In tasca ho alcuni indirizzi e numeri di telefono che mi ha dato il prete che mi ha ceduto i suoi biglietti per la Thailandia. È un sacerdote salesiano, si chiama don Antonio Miele e fa il missionario in quel Paese da diverso tempo.
Mi avvicino a una cabina telefonica e mando giù un po’ di baht, la moneta locale, sperando siano sufficienti per una telefonata: «Missioni salesiane…», sento rispondere, in lingua thailandese e poi in italiano e spiego: «Sono un giovane, amico di don Miele. Mi ha detto che posso rivolgermi a voi per rimanere in Thailandia per qualche giorno». «Aspettaci all’interno dell’aeroporto, vicino all’uscita, ti veniamo a prendere».
Nella loro casa di Bangkok i salesiani amici di don Miele mi hanno dato subito ospitalità e un letto per dormire. Ma io continuo a essere spaesato e intimorito e ho chiesto più volte di riportarmi in aeroporto per tornare a casa. «Ascolta Daniele», mi ha detto il direttore, don Tito Pedron, un veneto che nella capitale ha aperto un centro di formazione tecnico-professionale, come è nello stile dei programmi dei salesiani, «non farti prendere dal panico; adesso tranquillizzati e riposati. Ti farò visitare la nostra scuola e ti racconterò quello che facciamo. E poi, se proprio non riesci a resistere e a rimanere lontano dalla tua famiglia, ti condurremo all’aeroporto per tornare in Italia».
Ho accettato il suo invito e mi sono tranquillizzato.
Sono rimasto a Bangkok per 25 giorni. Alla fine mi sono trovato così bene che, lungo il viaggio di ritorno a casa, mi sono ripromesso: «Tornerò. Prima possibile».
Non è passato molto tempo da quell’avventuroso primo viaggio – appena due mesi − che sono nuovamente tornato in Thailandia. Ma questa volta ci sono venuto con don Antonio. Sì, il prete che mi aveva ceduto i suoi biglietti… Ha saputo di come è andata la mia permanenza al centro salesiano di Bangkok e mi ha cercato. Ho imparato a stimarlo subito… Clamoroso, non ci posso credere: ho parlato di lui a Silvio Zingarelli e il mio amico e maestro mi ha stupito, conosce pure lui don Antonio…
Nel tempo intercorso tra il primo e il secondo viaggio in Thailandia ho avuto modo di riflettere bene su quale tipo di studi universitari scegliere e alla fine mi sono iscritto a Scienze politiche. Ancora una volta, come era già successo dopo la licenza media, si è trattato di una scelta di valore transitorio, priva di quelle convinzioni del tipo «mi iscrivo a Giurisprudenza perché voglio fare l’avvocato».
No, non ho le idee chiare e la scelta per Scienze politiche è stata per certi versi una non-scelta. Ho cominciato a frequentare alcune lezioni, ma molto spesso mi monta dentro un senso di ribellione rispetto a concetti e idee che sento esposti dai docenti e che vorrebbero sentirsi ripetere in sede d’esame…
Con don Antonio è tutto diverso, mi sento a mio agio. Condivido tutto quello che fa e quello che pensa. L’ho raggiunto a Chumphon, in quella lingua di terra a Sud della Thailandia che si protende verso la Malesia e Sumatra e, ancora più in là a Sud, verso l’Indonesia e l’Oceania. Sono lontano da casa, enormemente lontano, ma rapito da questi mondi così diversi dal mio. Lì, nella foresta, don Antonio ha costruito un villaggio, partendo dalla croce e da una casetta, e sto vivendo con lui e con la gente di cui si occupa. Quanti bambini…
Don Antonio mi racconta tutto quello che sa della Thailandia… e ne sa… molto più dei thailandesi stessi. Mi ha già portato diverse volte a pescare con lui e a raccogliere il caffè separandolo dalle bucce con i setacci. «Vedi Daniele…», e attacca a spiegarmi come è questo mondo a me ignoto. Mi parla delle sue bellezze naturali, delle sue religioni, e io l’ascolto, bevo le sue parole.
Non avverto mai in don Antonio la minima pretesa di catechizzarmi, mi fa solo vedere questa realtà con i suoi stessi occhi. Ama la gente che ha intorno a sé e ha un profondo rispetto della loro diversità. Mi sento di definirlo un “amante delle persone”. C’è qualcosa di meglio? In cuor mio mi sono detto: «Questo non lo abbandono». Che abbia finalmente visto in lui cosa vuol dire veramente “essere libero”? Antonio, in modo evidente, lo è.