Victoria

Rastatt-Borgaro, metà giugno 2004

Da quando è mancata mamma ho cercato di ricominciare la mia vita concentrandomi nuovamente sul lavoro. Devo farmi onore, anche pensando a lei. Se da qualche parte c’è, spero sia contenta di me…

Ho chiesto di poter rimanere a lavorare in Italia e mi hanno accontentato. Hanno compreso il mio disagio… Per un breve periodo sono stato dirottato sul cantiere di Pomigliano d’Arco, sulle linee di produzione della Fiat, ma poi mi hanno rimandato in Germania.

Ora è trascorso quasi un anno dalla morte di mamma e conduco una vita molto semplice a Rastatt. Un’esistenza molto “basica”: lavoro-casa. E a casa vado perlopiù solo per dormire. Il lavoro è hard tutti i giorni, febbrilmente impegnato, come sono, sulle linee di produzione delle macchine e attento al funzionamento dei robot. È stato un duro colpo nello stomaco perdere mamma e la sensazione della botta presa continua a farsi sentire ogni tanto. Allora riaffiora in me la canzone che ho scritto per lei e la sento per un momento vicina a me…

Per papà è stata durissima: l’ha persa sei mesi prima di andare in pensione. Quanti sogni infranti di una nuova vita insieme con la mamma. Diceva spesso di voler andare in giro in camper a vedere il mondo con lei…

Ma proprio in quei giorni così tristi qualcosa ha risvegliato in me un po’ di entusiasmo e di speranza: sì, ho incontrato una bella ragazza e – manco a dirlo − me ne sono invaghito subito… «Che ci sia lo zampino di mamma?», mi è venuto da pensare…

Ora è in auto con me. La sto portando a Borgaro. Voglio farle vedere dove sono nato, dove sono cresciuto, voglio presentarla ai miei parenti. No… non siamo fidanzati, e non l’ho mai sfiorata nemmeno con un dito. Amici, sì, certo, ma io vorrei qualcosa di più. E ne soffro. Mentre guido, in silenzio, diretto verso l’Italia, con lei assopita sul sedile del passeggero, la mente è piena di ricordi…

Ecco come ci siamo conosciuti.

Una sera dello scorso autunno vado in un locale latino-americano in una città vicino a Rastatt. È molto più grande di Rastatt, che, a confronto, è proprio un “buco”. La città si chiama Karlsruhe ed è più abitata, c’è più vita… Sono andato lì per svagarmi un po’. Posso dirlo? Avevo voglia di sentire attorno a me lingue neolatine e di passare una sera con degli italiani. «Lì» mi hanno detto degli amici, sul lavoro, «troverai quello che cerchi». Appena entrato mi invade la musica: note caraibiche, ritmo, percussioni, suono di chitarre riempiono il locale e lo fanno vibrare. Se chiudi gli occhi ti viene da pensare a spiagge e mare… Il locale è stracolmo di gente che mentre beve e mangia osserva divertita coppie di ballerini che si esibiscono con naturalezza.

Io sono da solo e mi siedo a un tavolo rimasto libero. Ordino una birra e mentre osservo i ballerini che si sono lanciati in un’avvolgente “salsa” noto tra loro una bella ragazza – bionda – che si muove con disinvoltura tra pasitos, vueltas e caricias e le otto battute che caratterizzano la frase musicale di questo ballo caraibico. Un po’ me ne intendo di musica e il ritmo mi entra subito nell’anima. Ma nell’anima mi entra subito anche lei. Penso: «Che bella brasiliana...».

Sono tornato altre volte in quel locale, il venerdì o il sabato sera, sperando di incontrarla nuovamente. Sono riuscito a parlarle. Si chiama Victoria, è di origini russe, altro che brasiliana… Siamo diventati amici: quando trascorro le sere in quel locale lei si ferma al mio tavolino e parliamo.

Ho avuto anche il suo numero di telefono. Ho scoperto che viene addirittura dall’Uzbekistan, frequenta l’università e lavora come babysitter per una coppia di medici. Con i soldi che guadagna riesce a pagarsi l’affitto dell’appartamento a Karlsruhe.

Passano in questo modo alcuni mesi e quella che io spero diventi presto una relazione amorosa continua a rimanere un’amicizia, anche se una bella amicizia. Una sera Victoria mi confida: «Daniele, devo tornare in Uzbekistan, sto per terminare i miei studi. Questo vuol dire che non ci potremo più vedere». «Addio sogni di gloria…», penso tra me. Mi sento come un uccellino colpito a morte dal cacciatore e volo giù giù giù fino ad accasciarmi a terra…

La mia fortuna è che in quegli stessi giorni dall’azienda di Bruino mi arriva una comunicazione che mi scuote dalla delusione: «Devi cambiare cantiere. Dovrai assentarti per un periodo imprecisato dal lavoro che stai facendo a Rastatt, ma poi tornerai».

La trasferta fuori Rastatt è durata veramente poco e riesco a tornare a Karlsruhe proprio mentre Victoria sta facendo i preparativi per il ritorno a casa, in Uzbekistan. Non riesco ad accettare il pensiero di non poterla più rivedere, per quanto non ci sia stato finora nulla di sentimentalmente significativo tra noi due. Ma io sento di non poter rinunciare a lei… Provo il colpo disperato: «Victoria, fammi venire a vivere a casa tua. Pagherò la mia quota e contribuirò alle spese».

Ha accettato. Per me è stata una consolazione. Abbiamo cominciato a vivere insieme ma senza che potessi cominciare a considerarla la mia fidanzata. Abbiamo abitato insieme, ecco, questa è la definizione giusta: non c’è stato proprio nulla. Ma, questo sì, abbiamo cominciato a conoscerci più a fondo, con sempre maggiore confidenza. Ho cominciato a parlarle della mia vita, dei desideri e degli interessi, delle incertezze e delle certezze, delle gioie e della tristezza per la morte di mamma. E lei pure a confidarsi, con discrezione, anche rompendo un po’ quella rigidità che le deriva dall’educazione che ha avuto in famiglia… e specialmente da una nonna che l’ha cresciuta… Sì, posso dire che abbiamo rotto il ghiaccio tra noi, e io sento sempre di più la necessità di parlarle, di confrontarmi con lei… Chissà se nascerà qualcosa di simile anche in lei in questo viaggio tra Germania e Italia?