Che cosa è successo?

Torino, giugno 2019

Dieci anni fa partiva definitivamente l’avventura della mia azienda, la Manganorobot. Noi facciamo muovere i robot che lavorano sulle linee produttive delle attività industriali.

Manganorobot ha una particolarità nella sua storia: è nata da un azzardo. Un ragionevole azzardo. Se ci penso… che spavalderia abbiamo avuto, io, mia moglie, mio fratello e mio cugino, con una buona percentuale di incoscienza, ma soprattutto sulle ali della fiducia come carburante essenziale per il nostro tentativo di volo! Avevamo tra le mani una grande opportunità e allora ci siamo detti: «Ora ci strutturiamo e scommettiamo tutto su questa occasione che ci è venuta incontro».

Ma forse non riesco a farmi capire… Bisognerebbe poter spiegare tutto per filo e per segno…

Il nostro headquarter operativo è in via Ala di Stura, 67, a Torino: due rampe di scale portano agli uffici, nuovi di zecca, concepiti con una disposizione di stanze e di arredi che danno l’impressione di trovarsi in un moderno e comodo appartamento. Entrato nella mia stanza mi sono seduto sulla poltrona davanti alla scrivania dove campeggiano ben due computer, quello fisso e quello portatile.

Dall’altra parte della scrivania, di fronte a me, c’è un amico che mi chiede come sta andando l’azienda, come abbiamo chiuso il 2018, come procedono i progetti che abbiamo in giro per il mondo… È una coincidenza fortunata, perché è tutta la mattina che ragiono sul fatto che esattamente dieci anni fa è cominciato tutto, e ho una grande voglia di capire di più che cosa è successo, da dove siamo partiti, come abbiamo fatto ad arrivare dove siamo arrivati…

Lo guardo e quasi schermendomi gli dettaglio che cosa siamo oggi: «Tra Manganorobot italiana, americana e serba abbiamo chiuso il 2018 con un fatturato di oltre sei milioni di euro. Tanta roba, sai…, per un’impresa di servizi. E il nostro obiettivo nell’arco dei prossimi due anni è di ottenere ricavi per almeno dieci milioni di euro. Tantissimo… Nuova linfa arriverà sicuramente dalle nostre filiali attive in Thailandia, dove opera mio fratello Claudio, in Germania e in Uzbekistan. Già oggi contiamo sul lavoro di 65 persone con contratto di lavoro dipendente, di cui 35 in Italia, 14 in Serbia, sette in Uzbekistan, quattro in Thailandia, tre negli Stati Uniti e due in Germania, e in più ci avvaliamo della collaborazione di una quindicina di bravissimi artigiani programmatori di robot con partita Iva».

«Dieci anni fa, solo dieci anni fa», aggiungo, mentre l’amico mi guarda con gli occhi spalancati, «tutto quello che ti ho descritto non c’era. C’eravamo solo io, mio fratello Claudio e mio cugino Rocco, e a noi si erano aggiunti Giovanni, Francesco e Claudio, tutti disposti a seguire un pazzo come me… L’anno dopo si sarebbe unita a noi anche Annalisa…, è quella signora che sta di là, l’avrai vista… Annalisa è il vero cervello dell’azienda. Lei ha in mano tutta la contabilità, si occupa del personale, dei rapporti con i nostri legali e delle coperture assicurative… Siamo cresciuti insieme. Abbiamo costruito insieme la Manganorobot. Guai a toccarle l’azienda… è come se si facesse del male ai suoi figli, e te ne rendi conto quando parli con lei. L’ho assunta che faceva l’apprendista per un’altra ditta. Con noi ha cominciato da zero, non sapeva nulla, abbiamo imparato tutto insieme. Insomma, senza Annalisa, ancora oggi, sono sicuro che la Manganorobot avrebbe pochi mesi di autonomia…»

«E tua moglie, che ruolo ha svolto in questa storia?», mi domanda l’amico.

«Essenziale», gli rispondo. «Se mia moglie non mi avesse obbligato a non comprare un ristorante… Sì, stavo per comprare un ristorante… Avrei fatto il ristoratore… Se non mi avesse stimolato a sviluppare ciò che già sapevo fare, il programmatore di robot, io avrei mollato la strada che ci ha portato fin qui. Il risultato più bello è che abbiamo prodotto lavoro e anche occupazione per tante persone. Sono i miei collaboratori, ma in molti casi sono anche dei veri e propri amici…»

«Daniele», mi dice all’improvviso l’amico che sta davanti a me, «perché non scriviamo insieme la vostra storia?»

Si chiama Adriano, questo amico. Gli ho risposto che «sì, sarebbe bello scriverla… la nostra storia». Eccoci, dunque, qui oggi, nel mio ufficio, a cominciare il racconto della storia della Manganorobot. E, necessariamente, anche della mia. Il finale ve l’abbiamo già raccontato – chi sia “l’assassino” in questa storia l’abbiamo già svelato, sin dalle prime pagine − ma ora proviamo a spiegare come siamo arrivati fin qui.