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Delta del Nilo, Egitto. Anno 684 a.U.c. (70 a.C.)

Il Nilo, avvicinandosi al mare, sembrava indebolirsi per il peso enorme che gravava sulle sue rive. Così, dopo aver percorso centinaia di chilometri attraverso foreste inesplorate e deserti impraticabili, si apriva a raggiera in un’infinità di rami. La città di Bolbitine – Rosetta, la chiameranno i romani – era adagiata sulla riva sinistra di un ramo occidentale del grande fiume. Poche case basse, qualche migliaio di abitanti dediti all’agricoltura e alla pesca.

Il giovane colonnello indicò raggiante la periferia alla sua compagna di viaggio: «Eccoci a Bolbitine, Teie. Adesso raggiungeremo la locanda e ti potrai riposare».

Il padre di Sati – le aveva spiegato il giovane ufficiale mentre coprivano gli oltre sessanta chilometri di distanza da Alessandria a bordo di un carro – era un veterano dell’esercito. A fine carriera, com’era d’uso, aveva ricevuto una somma di denaro per acquistare un terreno e due schiavi per coltivarlo. Invece di un terreno, l’ex militare si era comprato un’imbarcazione da pesca e aveva iniziato a calare le reti nel fiume e nel vicino Mediterraneo, particolarmente pescoso alla foce del Nilo.

Durante i giorni consacrati alla dea Iside, la cittadina si animava, le strade si riempivano dei banchi della fiera e una gran massa di visitatori vi proveniva da ogni località vicina.

Venivano anche officiati riti propiziatori alla divinità seguiti da migliaia di fedeli, devoti alla dea del cielo, della maternità e della magia. Il culto della dea, infatti, era nato proprio sul delta del Nilo in una località poco distante da Bolbitine che, narrava la mitologia, aveva dato i natali a Iside.

Appena raggiunta la città, i due giovani si trovarono immersi nel clima di festa che permeava le vie. L’allegria era trascinante: la gente ballava e cantava. Ma i momenti ludici si alternavano a quelli più solenni delle celebrazioni liturgiche.

«Quella è l’unica locanda», disse Sati indicando un palazzetto dall’aspetto pulito e decoroso.

Quando Teie chiese ospitalità per le notti del suo soggiorno, il locandiere scosse la testa: «Mi dispiace. In questi giorni di festa è impossibile trovare alloggio». Quindi si rivolse a Sati: «Se solo tu mi avessi preavvertito, amico mio. Lo sai che in questi giorni non si trova un letto e la gente si accampa un po’ ovunque».

Sati non sembrava rammaricato o ancor meno preoccupato dalle parole dell’albergatore.

«Farò anch’io così», disse Teie a Sati uscendo dalla locanda. «Cercherò un posto vicino al fiume dove accamparmi. Sono un soldato e qualche notte all’addiaccio non mi fa paura.»

«Stai scherzando?» disse il militare. «Mio padre non vede l’ora di avere ospiti. La sua casa non è una reggia, ma è pulita e decorosa. Verrai da noi, Teie.»

Jarir, il padre di Sati, li accolse con una gioia commovente. La sua dimora si trovava poco fuori città, costruita su una palafitta lungo la sponda del fiume.

Proprio davanti alla casa era ormeggiata una feluca a un solo albero, la barca da pesca del veterano.

«Mio ufficiale», disse Jarir abbracciando il figlio. «Finalmente sei venuto a trovare il tuo vecchio padre. Ci voleva questa bella giovane per smuoverti dalla città. Vuoi forse dirmi qualche cosa d’importante?»

«Padre!» rispose Sati imbarazzato. «La locanda non ha posto e io ho solo offerto l’ospitalità della nostra casa a un’ufficiale delle Cinnane», disse il colonnello indicando la khopesh – la spada ricurva – che Teie, benché non indossasse la sua uniforme, portava comunque al fianco.

«Una Cinnane?» chiese incredulo Jarir.

«Il comandante delle guerriere, Teie», lo corresse il figlio.

«Lo sai che credo di non aver mai visto una di queste leggendarie spadaccine? Sono onorato di accoglierti nella mia casa, Teie. Siediti e raccontami di te. Voglio sapere tutto della tua vita.»

Il mattino seguente, quando Teie si alzò, Jarir era già tornato da una cala particolarmente fortunata. «Devo andare al mercato a vendere quel pesce», disse il veterano indicando la cesta riposta all’ombra. «Quando mio figlio si sveglia, chiedigli di portarti in barca. Se non ha disimparato i segreti della navigazione, Sati è un buon marinaio. E il delta del fiume offre panorami meravigliosi.»

«La smetti, padre, di dipingermi come un debosciato? Sono sempre un alto ufficiale...» disse Sati entrando nella stanza che fungeva da zona comune della casa.

«Per me rimani sempre il mio ragazzo. Ho un solo rammarico, che la mia santa moglie non abbia potuto godere delle soddisfazioni che mi hai regalato con la tua carriera militare. Tua madre ci ha lasciato troppo presto. Ma adesso devo correre, se voglio piazzare il mio pescato.»

La feluca era accostata a un molo basculante la cui piattaforma seguiva l’andamento delle maree del Nilo correndo lungo alcuni grossi pali conficcati nel fondale.

«Anche la casa», disse Sati indicando la palafitta, «è costruita così in alto per non essere travolta dall’impeto del fiume durante la stagione delle piogge.»

Sati mollò gli ormeggi, si munì di una lunga pertica e, facendo forza su questa, scostò l’imbarcazione dalla banchina. Valutata come sufficiente la distanza, afferrò la drizza in testa d’albero e prese a issare la vela.

Teie lo guardava incantata. I muscoli del giovane guizzavano nei riflessi di un sole già caldo e lucente. Il Nilo sciabordava lungo le mura della barca da pesca.

La feluca si arrestò. I legni massicci con cui era costruita parvero valutare per un istante l’intensità del vento. Poi un brivido scosse l’alberatura, l’imbarcazione s’inclinò leggermente dal lato sottovento e prese a navigare lenta ma incessante.

Sati stringeva il timone e valutava l’angolazione della brezza sulla vela.

Teie era seduta accanto a lui nel pozzetto.

La casa era costruita al vertice di una curva a gomito del fiume. Seguiva un tratto rettilineo del letto, confinante con la città e con il suo porto. Quindi si apriva un’ampia curva a destra, e un nuovo rettilineo prima che il ramo occidentale del Nilo si gettasse nel Mediterraneo.

Gli occhi di Teie erano abituati al colore bruno delle sabbie. Il verde intenso della vegetazione che faceva da contorno al triangolo sconfinato del delta del fiume faceva apparire la zona come l’anticamera del paradiso.

Sati scelse con cura un’ansa ridossata tra le canne della riva, manovrò con perizia ponendo la prora alla corrente e la vela al vento. Quando l’imbarcazione fu ferma calò l’ancora e ammainò d’un colpo la vela.

Teie era seduta proprio sotto alla randa, e la tela, calando sul ponte, la coprì sommergendola.

Sati prese allora a mimare una disperata ricerca, rovistando tra la tela, di una guerriera scomparsa nel mistero.

Teie rideva divertita dal suo nascondiglio, le mani forti del colonnello, invece, continuavano a scandagliare, smuovere, spostare. Poi, finalmente la trovarono e la cinsero. La liberarono dalla piacevole prigionia. I loro volti erano vicini, i loro occhi dicevano molto più di mille parole. Ci fu il silenzio a bordo della feluca. Il bacio proruppe a suggellare il desiderio reciproco che li univa. Compresero entrambi che era inutile confessarsi quanto l’uno facesse parte dell’altra. Erano le loro bocche, in silenzio, a dire tutto quello che a lungo avevano taciuto.

Teie lasciò che le mani del giovane la spogliassero. Nudi si avvinghiarono tra le pieghe della vela, rotolarono abbracciati, risero. Poi cadde di nuovo un silenzio colmo di trepidante tensione. Sati premette e lei si schiuse per la prima volta a un uomo. Fecero l’amore con dolcezza, sul ponte della barca da pesca in un’ansa vicino alla foce del fiume. Entrambi avrebbero voluto non finisse mai. E invece arrivò la fine a portare la mente lontana dalla ragione. Si accasciarono esausti l’uno accanto all’altra, appagati dalla passione che li aveva travolti.

Il veterano Jarir riconobbe la sua barca che rientrava. Sorrise vedendo i due giovani seduti vicini nel pozzetto: si accorse che qualcosa era cambiato tra loro. Si sentì felice. Si avvicinò al fuoco e riprese a cucinare un bel pesce pescato quella stessa mattina per i ragazzi, quando fossero sbarcati.

Ma gli occhi del buon Jarir non erano i soli a osservare in quel momento le manovre della coppia. E l’altro sguardo non era altrettanto pieno d’amore.

L'ombra di Iside
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