7

 

Alessandria d’Egitto. Anno 684 a.U.c. (70 a.C.)

Al fallito tentativo di rovesciare il regno di Tolomeo seguì un periodo di dura repressione: chi non fu giustiziato sommariamente all’indomani del tradimento languiva in una cella, in attesa di una sentenza di morte già scritta. I gran sacerdoti ribelli furono sostituiti insieme a tutti i funzionari che si erano schierati col re siriano. Gli unici che parevano averla fatta franca erano il generale Ghanim, comandante del corpo d’armata di Rah, che si diede alla fuga poco prima dell’imminente cattura, e Narmer, gran sacerdote di Anubi. Il comando del corpo d’armata venne affidato al generale Fadil, alto ufficiale fedele al faraone. Narmer, invece, barattò la propria sopravvivenza con il pentimento e vuotò il sacco riferendo nomi e circostanze dei sovversivi prima di sparire dalla circolazione.

Molte altre teste caddero ai vertici delle istituzioni. Spesso ciò avveniva senza suscitare troppo clamore: era sufficiente che le generalità di questo o quel funzionario comparissero nelle liste consegnate da Narmer perché il sospettato venisse sollevato dal suo incarico dalla sera alla mattina. Naturalmente solo nel caso in cui non vi fossero indizi più gravi, tali da meritare il carcere o, peggio, la pena capitale.

 

 

L’incontro con il faraone era appena iniziato. I quattro comandanti di corpo d’armata erano seduti attorno al grande tavolo intarsiato in marmo policromo nella sala delle strategie. I diversi colori della pietra delineavano una mappa raffigurante il territorio egiziano e il mare prospiciente.

Lì erano collocati modellini di navi e soldati. Ciascuna miniatura indicava flotte di cinquanta navi o schieramenti di diecimila fanti.

«L’armata del dio Rah», disse il generale Fadil, indicando il piano del tavolo, «resta a presidiare la sicurezza nella capitale. Solo ad Alessandria stazionano cinquantamila uomini. Quasi altrettanti possono raggiungere i commilitoni nell’arco di tre giorni. La flotta al mio comando è in porto. Le navi escono a turno per pattugliare lo spazio di mare antistante il faro. Le nostre vedette non segnalano movimenti di truppe ostili nel raggio di centinaia di miglia.»

«Non sono gli attacchi dall’esterno che mi preoccupano. Io temo che qualcuno possa approfittarsi di questo momento di difficoltà per tentare ancora una volta di destabilizzare l’ordine», disse il faraone, invitando i presenti a un commento.

I generali parlarono uno dopo l’altro: era loro opinione che, al momento, la situazione in Egitto fosse tranquilla.

 

Teie, vista l’importanza della riunione, aveva voluto essere a fianco delle sue soldatesse. E, sebbene non fosse compito di un comandante montare di guardia, si era unita a loro all’interno della sala nella quale si trovavano i vertici militari egiziani.

Mentre Fadil era intento a muovere le sue pedine sul piano lucido del grande tavolo, il suo aiutante di bandiera, un giovane dai lineamenti marcati e il fisico atletico, alzò gli occhi dal modello riprodotto in scala e rivolse lo sguardo verso le soldatesse che, disposte sotto le colonne a fianco dei bracieri, vegliavano sull’incolumità del sovrano.

Teie era bella: aveva la pelle scura, gli occhi e i capelli neri, profondi come la notte più misteriosa. Il fisico aitante, le gambe affusolate, le cosce massicce e ben tornite dopo spossanti addestramenti.

Il giovane colonnello abbassò gli occhi. Ma pochi istanti più tardi li rialzò. Teie, cui difficilmente sfuggiva il volo di una mosca, e non solo in quella sala, rimase imperterrita, lo sguardo duro a fissare un punto nel nulla.

Alla terza occhiata dell’ufficiale, la giovane non riuscì a mantenere l’indifferenza e le sue labbra si piegarono in un sorriso.

La riunione ebbe termine poco dopo. Teie rimase impassibile nella sua postazione, mentre il bel colonnello si allontanava dalla sala senza rivolgerle altri cenni.

Una volta rientrata in caserma, il pensiero della Cinnane fu dominato per qualche ora dal ricordo del volto del militare. Non le era mai successo, e quella sensazione piacevole prese a pervaderle tutto il corpo, dagli arti ai muscoli, fino al cuore.

Poi, col passare dei giorni, anche le emozioni andarono scemando. Nella sua mente rimaneva solo qualche frammento del ricordo dell’ufficiale che la guardava con crescente interesse. Ma l’immagine svaniva subito. Almeno sino al mattino in cui la raggiunse una delle sue sentinelle.

«C’è un militare a cavallo, comandante», disse la soldatessa. «Chiede di poter parlare con te.»

Quando Teie se lo trovò davanti rimase impietrita. Poi si riscosse e gli si rivolse per prima: «Posso esservi d’aiuto, signore?»

«Vedere un comandante così giovane mi stupisce...» esordì l’ufficiale. «Volevo sapere, dato che devo recarmi a palazzo dal faraone, se posso lasciare qui in caserma il mio cavallo: tengo molto a lui. È con me da sempre.» L’ufficiale fece una carezza al collo del bel destriero dal manto candido.

«Capisco le vostre premure, signore...»

«Sati... Sono il colonnello Sati, aiutante del generale Fadil, del corpo d’armata di Rah.»

«Mi sono già accorta di te!» avrebbe voluto rispondere Teie.

Invece disse: «Certamente, colonnello. Ci prenderemo cura noi del vostro cavallo anche se debbo segnalarvi che a palazzo troverete ottimi stallieri...»

«Lo so. Ma preferisco affidarlo alle vostre attenzioni se possibile. Sarà in mani migliori, ne sono convinto.»

Quando Sati se ne fu andato, Teie si sentì assalita da una strana inquietudine: aspettava con ansia che il giovane tornasse, ma ne aveva anche timore. Cercò di distrarsi spronando le sue sottoposte agli allenamenti. Ma vedeva il giovane colonnello ovunque.

Huda era una sottufficiale anziana ed era considerata l’anima della caserma. Le soldatesse spesso si rivolgevano a lei per chiederle consigli e conforto.

Come caposquadra era stata parigrado di Teie e, tra le due, c’era da sempre un’affettuosa confidenza.

Teie guardò per l’ennesima volta in direzione del massiccio portone della caserma.

Accanto a lei, Huda l’assisteva nell’impartire gli ordini per gli addestramenti.

«Non preoccuparti, comandante», le disse il sottufficiale. «È una semplice infatuazione.»

«Che cosa hai detto?»

«Credi non me ne sia accorta? C’ero anche io nella sala delle strategie quando vi sorridevate di nascosto», rispose Huda.

«Non dire eresie, sergente!» disse Teie con poca convinzione.

«Tu pensi che lui sia arrivato qui per caso stamattina? Mio comandante, sei molto abile con la spada, ma piuttosto sprovveduta in amore. Sii resistente con lo spasimante, ma lasciati andare almeno con te stessa e goditi questo splendido vento di primavera che soffia sulla tua gioventù. Che gli dei ti benedicano.»

Il colonnello Sati si ripresentò nel tardo pomeriggio. Teie rimase a osservarlo mentre attraversava la piazza d’armi della caserma e, quando il giovane fu vicino al suo cavallo, lei uscì dalla fureria e si diresse verso il lato opposto della corte, passandogli casualmente vicino.

«Vi sono infinitamente grato, comandante», disse Sati guardandola negli occhi.

«È stato un piacere esservi d’aiuto, colonnello», rispose lei accorgendosi che non riusciva a mantenere il tono formale che avrebbe voluto.

«Se mi permettete, approfitterò ancora della vostra squisita ospitalità per il mio amato cavallo.»

«Sarà ancora un piacere», rispose Teie guardandolo negli occhi.

«Un grande piacere», le fece eco il colonnello.

 

Quattro giorni più tardi, Teie uscì presto al mattino per un servizio. Poco dopo, il colonnello Sati si presentò in caserma sul suo cavallo e non nascose il proprio disappunto quando gli fu comunicato che il comandante non era in loco.

Huda svolgeva le mansioni di vice.

«Il mio comandante mi ha personalmente ordinato di soddisfare ogni vostra richiesta qualora vi foste ripresentato in caserma durante la sua assenza», mentì.

«Volete dire che il comandante Teie ha dato precise consegne qualora fossi tornato?» chiese il colonnello sorridendo.

«Certo, signore. Ma non mi pare che nessuno abbia chiamato per nome il mio comandante. Il fatto che voi lo conosciate mi stupisce...» insinuò la soldatessa.

«Ho appreso il suo nome...» l’ufficiale era in evidente difficoltà, «da un collega.»

«La cosa non mi riguarda. Sono felice se il mio comandante e gli ufficiali del faraone intrattengono buoni rapporti. La informo che il servizio che sta effettuando Teie si concluderà poco prima del tramonto.» Huda, con aria complice, prese le redini del cavallo, attese che il militare scendesse di sella e, conducendo per le briglie il bianco destriero, si avviò verso le stalle.

Era da poco calata l’oscurità quando Sati decise di recuperare il cavallo e tornare al suo corpo d’armata. Quello che il giovane non disse era che, terminate le riunioni a palazzo, aveva speso il suo tempo a bighellonare nei paraggi.

Quando Teie era rientrata aveva visto subito il cavallo bianco davanti alle stalle e ne aveva chiesto immediatamente notizia a Huda.

«Tornerà presto a prenderselo», aveva detto la caposquadra.

Sati stava varcando il corpo di guardia e avanzava con passo sicuro verso di lei. Un meraviglioso sorriso gli illuminava il volto.

«Buonasera, colonnello», disse Teie quando lui la raggiunse.

«Buonasera, comandante», rispose l’uomo. «Non vorrei approfittare troppo della vostra ospitalità.»

«Nessun disturbo, colonnello», rispose Teie.

«Avrei pensato a un modo per sdebitarmi della vostra cortesia, comandante Teie. Mi piacerebbe invitarvi alla fiera del mio paese la prossima settimana: sono originario di Bolbitine e tra pochi giorni inizieranno i festeggiamenti per celebrare la dea Iside. Vi metterei a disposizione un alloggio in una locanda. Avervi ospite per qualche giorno sarebbe per me un onore, comandante.»

Lei lo avrebbe seguito in capo al mondo. Ma trattenne il suo entusiasmo: «Non credo mi sarebbe consentito allontanarmi dalle mie Cinnane per più di qualche ora. Mi dispiace, colonnello».

Teie salutò l’ufficiale non senza una punta di rimpianto: aveva il rammarico di essere stata troppo brusca.

Ma solo due giorni più tardi Sati fece ritorno in caserma. Stringeva in mano un dispaccio che consegnò subito a Teie.

«Ecco qui! Il faraone in persona vi ha concesso tre giorni di licenza: lui stesso dice che nessun militare li ha meritati più di voi. Adesso non potete più negarvi.»

L'ombra di Iside
9788830456563-cov01.xhtml
9788830456563-presentazione.xhtml
9788830456563-tp01.xhtml
9788830456563-cop01.xhtml
9788830456563-occhiello-libro.xhtml
9788830456563-ded01.xhtml
9788830456563-fm_1.xhtml
9788830456563-fm_2.xhtml
9788830456563-p-1-c-1.xhtml
9788830456563-p-1-c-2.xhtml
9788830456563-p-1-c-3.xhtml
9788830456563-p-1-c-4.xhtml
9788830456563-p-1-c-5.xhtml
9788830456563-p-1-c-6.xhtml
9788830456563-p-1-c-7.xhtml
9788830456563-p-1-c-8.xhtml
9788830456563-p-1-c-9.xhtml
9788830456563-p-1-c-10.xhtml
9788830456563-p-1-c-11.xhtml
9788830456563-p-1-c-12.xhtml
9788830456563-p-1-c-13.xhtml
9788830456563-p-2-c-14.xhtml
9788830456563-p-2-c-15.xhtml
9788830456563-p-2-c-16.xhtml
9788830456563-p-2-c-17.xhtml
9788830456563-p-2-c-18.xhtml
9788830456563-p-2-c-19.xhtml
9788830456563-p-2-c-20.xhtml
9788830456563-p-2-c-21.xhtml
9788830456563-p-3-c-22.xhtml
9788830456563-p-3-c-23.xhtml
9788830456563-p-3-c-24.xhtml
9788830456563-p-3-c-25.xhtml
9788830456563-p-3-c-26.xhtml
9788830456563-p-3-c-27.xhtml
9788830456563-p-3-c-28.xhtml
9788830456563-p-4-c-29.xhtml
9788830456563-p-4-c-30.xhtml
9788830456563-p-4-c-31.xhtml
9788830456563-p-4-c-32.xhtml
9788830456563-p-4-c-33.xhtml
9788830456563-p-4-c-34.xhtml
9788830456563-p-4-c-35.xhtml
9788830456563-p-5-c-36.xhtml
9788830456563-p-5-c-37.xhtml
9788830456563-p-5-c-38.xhtml
9788830456563-p-5-c-39.xhtml
9788830456563-p-5-c-40.xhtml
9788830456563-p-5-c-41.xhtml
9788830456563-p-5-c-42.xhtml
9788830456563-p-6-c-43.xhtml
9788830456563-p-6-c-44.xhtml
9788830456563-p-6-c-45.xhtml
9788830456563-p-6-c-46.xhtml
9788830456563-p-6-c-47.xhtml
9788830456563-p-6-c-48.xhtml
9788830456563-p-6-c-49.xhtml
9788830456563-p-6-c-50.xhtml
9788830456563-p-7-c-51.xhtml
9788830456563-p-7-c-52.xhtml
9788830456563-p-7-c-53.xhtml
9788830456563-p-7-c-54.xhtml
9788830456563-ind01.xhtml
Il_libraio.xhtml