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«Emiliani, gente espansiva, vero?» bofonchiò Aurora.

«Scusami per prima. Spero di non averti fatto troppo male.»

«Lascia stare, Colasanti. Non sono mica di cristallo.»

«Puoi chiamarmi Bruno. Saremo colleghi, no?»

«Sempre che Piovani non trovi un modo per cacciarmi dal commissariato.»

Bruno si strinse nelle spalle. «Sparvara non è propriamente una metropoli. È un piccolo mondo di provincia in cui bene o male ci si conosce tutti. È normale un po’ di diffidenza nei confronti delle facce nuove, e Piovani non fa eccezione. Ma è un buon poliziotto e, tutto sommato, anche una brava persona.»

Mentre camminavano, Bruno non poté fare a meno di lanciare delle occhiate furtive in direzione di Aurora. Era magra ma aveva i fianchi generosi. Sembrava così fragile, con quegli abiti dal taglio maschile. La pelle chiara spiccava nella penombra e i polsi erano sottili come rami di frassino. Nell’insieme dava l’idea di una statuetta di porcellana sul punto di rompersi. Aveva un’espressione determinata e, in fondo ai grandi occhi nocciola, Bruno fu certo di intravedere un tormento interiore, ma anche un’indomabile dolcezza. Non smetteva di tormentare il caschetto di capelli castani, spostando continuamente dietro l’orecchio una ciocca ribelle che, puntualmente, tornava a posarsi sullo zigomo leggermente sporgente. Bruno notò la lunga cicatrice sulla tempia e pensò alla storia che circolava in commissariato da quando si era saputo del trasferimento di Aurora. Una storia che lei certamente ricordava ogni volta che si guardava allo specchio.

«Quella non era diffidenza, ma autentica ostilità» constatò Aurora.

«Non biasimarlo. Credo che le chiacchiere sul tuo conto abbiano condizionato il suo giudizio. E poi ha passato una nottata d’inferno. Conosceva bene la donna che è stata uccisa. Si chiamava Rossella Gualtieri, era la moglie di un ex collega.»

Aurora alzò un sopracciglio. «Un ex collega?»

«Carlo Gualtieri era un poliziotto fino a qualche anno fa, prima di passare al… settore privato.»

«GPG?» commentò Aurora, riferendosi all’acronimo di Guardia Particolare Giurata.

Bruno si limitò ad annuire.

«Dove si trova ora?» lo incalzò Aurora.

«Lo stiamo cercando, ma è irreperibile. È scomparso insieme alla figlia e non c’è stato modo di rintracciarli. L'auto non è in garage, e il suo cellulare è spento. La piccola si chiama Aprile, ha soltanto nove anni.»

«Oh mio dio» sospirò Aurora. «Pensate che Carlo Gualtieri abbia ucciso la moglie in preda a un raptus, e poi abbia rapito la figlia?»

«Sai bene che quando una donna viene uccisa, nel novanta per cento dei casi il colpevole è il compagno. Stiamo diramando la sua foto e quella di Aprile. Puoi immaginare quanto un avvenimento del genere possa risultare sconvolgente, in una cittadina di provincia come questa. Piovani e il sostituto procuratore Torrese stanno organizzando la più imponente caccia all’uomo che si sia mai vista da queste parti, anche se sono concordi nel ritenere che ci siano pochissime probabilità di trovarli vivi.»

«Omicidio-suicidio» commentò Aurora con scarsa convinzione. Rimase pensierosa per qualche istante. «Chi ha trovato il cadavere?» chiese, poi.

«Questa sera, verso le dieci, in centrale è arrivata una telefonata. Un vicino dei Gualtieri era uscito in giardino per calmare il cane, che non la smetteva di abbaiare. Pochi istanti dopo, ha udito una serie di grida provenire dall’interno della casa. La nebbia e la volante di turno già impegnata per un incidente fuori città hanno impedito un intervento tempestivo. La porta d’ingresso era socchiusa quando sono arrivati gli agenti, che si sono trovati davanti la scena che hai visto.»

Aurora scacciò un brivido. Le immagini erano ancora nitide. E c’era un particolare, nella scena del crimine, che ancora non riusciva a mettere a fuoco, ma che la sua mente analitica aveva registrato.

«Non assomiglia affatto a un omicidio-suicidio, ma a un omicidio rituale» pensò a voce alta.

Bruno si accese una sigaretta usando un accendino cromato con una piccola testa di leone in rilievo. «Un rituale? Come quello di un serial killer? Andiamo, Aurora. Siamo nella Bassa padana. Non c’è niente del genere da queste parti.»

«I chiodi piantati nella mano e negli occhi, la scritta sul muro… sono chiari segni di una mente disturbata, ossessiva.»

«Su questo non c’è dubbio. Ma ci sono buoni motivi per ritenere che a scrivere quella frase sul muro sia stato proprio Carlo Gualtieri.»

«Mi stai dicendo che Carlo Gualtieri soffriva di psicosi?»

«Non ho detto questo» si limitò a rispondere Bruno, sbuffando una boccata di fumo. «E comunque io non lo conoscevo bene.»

«E allora? Quali sarebbero questi motivi?»

«È una vecchia storia» troncò Bruno.

Aurora iniziò a giocherellare nervosamente con il ciondolo che portava al collo. Capì che era inutile insistere. D’un tratto Bruno si era rabbuiato, ed era evidente che non aveva intenzione di proseguire la conversazione.

Giunti all’auto, Bruno chiese: «Allora, dove ti devo portare?» e tese la mano per farsi consegnare le chiavi.

«So guidare» protestò lei.

«Non ne dubito» ribatté Bruno. «Ma sarai esausta per il viaggio, e qui la nebbia uccide più dei… serial killer.»

Aurora ignorò la frecciatina. «E va bene» si arrese, consegnando le chiavi a Bruno.

I due rimasero in silenzio per tutta la durata del viaggio. Oltrepassando il cartello Sparvara, non fecero caso al pick-up grigio con i fari spenti accostato a lato della strada, né all’uomo al suo interno, protetto dal buio, che osservava le auto di passaggio.

Bruno parcheggiò di fronte al b&b indicatogli da Aurora. Si chiamava La piccola fattoria, un nome insolito per un albergo situato in prossimità del centro.

Che l’edificio non avesse nulla a che fare con una fattoria era evidente. Si trattava di un vecchia abitazione in stile liberty, su cui svettava una torre dalle finestre con i timpani decorati con la luna e le stelle. Si trovava nel viale alberato che fiancheggiava la ferrovia, illuminato da lampioni che gettavano sugli alberi una spettrale luce arancione. Il silenzio in cui l’intera zona era immersa suggeriva l’idea di un posto disabitato.

I due si congedarono freddamente con un cenno di saluto.

Mentre si avviava verso l’ingresso, Aurora si trovò a riflettere su ciò che aveva visto all’interno della casa. Era convinta che l’assassino avesse predisposto la scena con metodica lucidità, ma lei, sopraffatta dall’orrore, non era riuscita ad afferrare il particolare che creava disarmonia. Era sempre più convinta che ci fosse un’altra verità dietro le apparenze e, mentre si sforzava di ignorare quel pensiero, le tornò in mente la frase che il vicequestore le aveva detto prima che partisse: Laggiù non succede mai niente, è quello che ti ci vuole per riprenderti.

Aurora nel buio
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