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Entrando in sala riunioni, Aurora diede una rapida occhiata alle persone sedute al lungo tavolo rettangolare. A parte Piovani, Torrese, e naturalmente Bruno, non conosceva nessuno. In tutto erano una decina e indossavano abiti civili, a eccezione di una ragazza con la divisa della forestale.
Affisse alle pareti della stanza, accanto alla bandiera italiana, c’erano le foto del presidente della Repubblica e dei capi di stato maggiore. Una lavagnetta bianca era montata su un cavalletto, a cui era appeso un pennarello con dello spago.
L’atmosfera era tesa. Piovani aveva il volto contratto e sembrava nervoso.
Aurora si sedette con cautela, quasi temendo che la sedia fosse fragile. Ebbe l’impressione che il suo ingresso avesse interrotto una discussione.
Fu Torrese a prendere la parola. «La ringrazio di essersi degnata di venire, vice ispettore Scalviati. Cominciavamo a temere che non si sarebbe fatta viva.»
«Ho avuto un contrattempo.»
«Immagino si trattasse di qualcosa di più importante di un caso di duplice omicidio in cui è rimasta coinvolta una bambina di nove anni» la incalzò Piovani.
«Certamente no,» ribatté Aurora «ma le ricordo che non faccio parte del pool investigativo. Ho solo pensato che potevate fare a meno di me per qualche minuto.»
Torrese fece un sorrisetto compiaciuto, e Aurora si chiese cosa significasse. Perché era stata convocata?
Durante l’incontro privato con Piovani, Aurora aveva avuto l’impressione che alla procura interessasse soprattutto non sfigurare di fronte alla stampa e, possibilmente, contenere l’indignazione dell’opinione pubblica. Non avevano forse già raggiunto quell’intento con il ritrovamento della piccola Aprile?
«Come sta Aprile?» chiese Aurora, rivolgendosi a Torrese.
«Per il momento è stabile» rispose un uomo sulla trentina, dai lineamenti regolari e i capelli brizzolati. Era pallido e i suoi occhi grigio nebbia sembravano distanti. «Purtroppo non si è ancora svegliata, ma il primario è ottimista: le sue condizioni fisiche sono tutto sommato buone.»
Aurora gli rivolse un’occhiata incuriosita. «Mi scusi, lei è…?»
«Mi chiamo Bucci» rispose lui con sicurezza. «Aldo Bucci. Sono il consulente psichiatrico dell’ospedale.» La sua voce era calma, ma vagamente stridula.
«Piacere di conoscerla, dottor Bucci» fece Aurora con tono brusco.
Bruno le lanciò un’occhiata per esortarla a essere più diplomatica; lei lo guardò negli occhi e gli fece un cenno con la mano per fargli capire che gli avrebbe spiegato più tardi il motivo della sua reazione.
«Bucci si occuperà di offrire supporto psichiatrico alla piccola Aprile» precisò Torrese.
Aurora lo guardò poco convinta.
«Scalviati, lei ha già avuto modo di conoscere il commissario Piovani» proseguì il giudice, gesticolando come un direttore d’orchestra. «Gli altri presenti sono l’ispettore capo Placido Ferri, della scientifica,» e indicò un uomo dalle folte sopracciglia e la fossetta sul mento «l’assistente Silvia Sassi del corpo forestale» e indicò la ragazza in divisa, che aveva un viso grazioso, la pelle chiara e i capelli biondi che le lambivano le spalle «e l’agente scelto Tommaso Carelli, operatore radio della polizia stradale.»
Carelli era un ragazzo magro dai capelli ricci e spessi. Indossava un paio di occhiali dalla montatura quadrata e una t-shirt arancione con il logo di Star Trek. «Puoi chiamarmi Tom» disse, rivolgendo ad Aurora un sorriso impacciato.
«Alla mia destra» continuò Torrese «ci sono la mia assistente personale Lorenza Pinna e l’assessore Guglielmo Costa, in veste di osservatore per l’ufficio del sindaco.» Entrambi fecero un cenno con la testa mentre venivano nominati.
Aurora ondeggiò lievemente la mano in segno di saluto. «Vice ispettore Scalviati» bofonchiò. «Immagino sappiate già tutto di me.»
«Bruno Colasanti» si presentò Bruno. «Alcuni di voi mi conoscono già da qualche anno. Sono un sovrintendente dell’anticrimine, operativo qui al commissariato.»
Ad Aurora non sfuggì che, a parte Piovani, alla riunione non erano presenti veri e propri investigatori, il che era piuttosto strano, trattandosi presumibilmente di un briefing di coordinamento per un’indagine. A voler essere scrupolosi, la lista dei partecipanti era a dir poco anomala.
«Molto bene» continuò Torrese. «Terminate le presentazioni, possiamo proseguire con il primo punto all’ordine del giorno. Vorrei che il vice ispettore Scalviati e il sovrintendente Colasanti ci aggiornassero sulle circostanze che hanno portato al ritrovamento della bambina e del cadavere di suo padre.»
Dopo un istante di smarrimento, Aurora si schiarì la voce e iniziò a esporre in che modo lei e Bruno avevano interpretato gli indizi che l’assassino aveva volutamente lasciato sulla scena del crimine a casa Gualtieri.
«Come le dicevo, Torrese, è evidente che si è trattato di una mera casualità» la interruppe Piovani. «Non c’è nemmeno l’ombra di un indizio concreto. Lo scarabocchio sulla pagina di quel calendario non significa niente, avremmo controllato la zona della ferrovia abbandonata in ogni caso.»
«Piovani, so già come la pensa» intervenne Torrese. «Quello che voglio sapere adesso è l’opinione dell’ispettore Scalviati.»
«Credo che si tratti di un caso complesso» affermò Aurora. «Non è un omicidio per gelosia o un raptus di follia. Qualunque siano le sue intenzioni, il soggetto ha messo a punto un piano meticoloso prima di commettere il delitto. Il fatto poi che abbia volutamente indicato il luogo dove avremmo trovato Gualtieri e sua figlia fa presumere che sia estremamente sicuro di sé. Lo stato in cui sono stati trovati i cadaveri di Carlo Gualtieri e della moglie fa pensare a una specie di rituale, e questo dovrebbe farci riflettere. Ha agito esattamente come farebbe un killer seriale, e i chiodi sono la sua firma. Per questo motivo, sono convinta che non è la prima volta che uccide. Per non parlare del fatto che potrebbe ripetere il gesto.»
«È ridicolo» sbuffò Piovani. «Tra tutte le sciocchezze che ho dovuto ascoltare, ci mancava la teoria del serial killer. Se ne faccia una ragione, Scalviati. Qui siamo in Emilia, i mostri esistono soltanto nelle fiabe.»
«Come il Lupo Cattivo, per esempio?»
Piovani le rivolse uno sguardo ostile. «Sono convinto che la scritta sul muro di casa Gualtieri sia soltanto un tentativo di depistaggio. A meno che non vogliamo credere che un assassino morto più di vent’anni fa sia resuscitato dalla tomba.»
«Tuttavia, non si può ignorare il collegamento tra il caso del Lupo Cattivo e la morte dei Gualtieri» precisò Aurora.
«Stronzate» la seccò Piovani. «Gualtieri si sarà imbattuto in una delle bande di rapinatori che imperversano nella zona. Ormai è una piaga diffusa, si tratta di professionisti dell’est, ex militari, mercenari. Soltanto nelle province di Modena e Ferrara abbiamo una ventina di denunce per malviventi entrati nelle case coi fucili spianati e il colpo in canna. È gente per cui brutalità e tortura sono all’ordine del giorno.»
«Mi scusi, commissario» ribatté Aurora, allibita. «Ma come si spiega la frase sul muro? Come potrebbero essere a conoscenza di un fatto di cronaca di più di vent’anni fa dei… mercenari dell’est? È chiaro che si tratta di qualcuno che conosce bene questa città… e i suoi segreti.»
«Lei è qui soltanto da un paio di giorni e sembra sapere tutto di questi luoghi» sbuffò Piovani, ironico.
Aurora fece un respiro profondo. «A me pare evidente che ci sia un collegamento tra i due casi…»
«Non c’è alcun collegamento tra questo e il caso Ranuzzi!» la interruppe Piovani. «E lo sa perché?» Rimase per alcuni istanti in silenzio, prima di aggiungere: «Perché tutti coloro che erano coinvolti sono morti».
«L’ipotesi dei mercenari non sta comunque in piedi» protestò Aurora. «Ho parlato con Di Blasi, il titolare della Sicurpadana; ha ammesso che Carlo Gualtieri era scomparso da almeno ventiquattro ore, quando la moglie è stata uccisa. Se fosse stato un ladro a rapirlo, non si sarebbe di certo preso un giorno di pausa prima di agire.»
«Lei non aveva nessun titolo per parlare con Di Blasi!» esplose Piovani. «Lo avrei convocato io stesso al commissariato in giornata. Al telefono ho dovuto pregarlo di non farci causa per abuso di potere.»
«Abuso di potere?» si difese Aurora. «È stata una chiacchierata informale.»
«Ma quale chiacchierata! Lei ha minacciato Di Blasi di fronte a dei testimoni.»
«Non ti sembra di esagerare?» intervenne Bruno. «Anch’io ero presente, e ti posso assicurare che Aurora non ha affatto minacciato Di Blasi. Si è limitata a esprimere la sua opinione in maniera… energica, diciamo.»
«Zitto, Colasanti!» sbottò Piovani. «Piantala di fare l’avvocato difensore, o finirai per prenderti una pallottola anche tu, come il suo ex partner.»
Bruno impallidì e volse lo sguardo verso Aurora.
Lei strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e, con le labbra che tremavano, si limitò a dire, tra i denti: «’Fanculo».
«Tu cosa ne pensi, Ferri?» chiese Torrese.
L’ispettore della scientifica fece una smorfia di sufficienza. «L’unica cosa che posso affermare è che dalle impronte trovate in cortile si direbbe che l’assalitore ha agito da solo. Comunque, siamo ancora alle fasi preliminari. Stiamo ancora raccogliendo elementi utili sulla scena del crimine.»
«Avete dato un’occhiata alle impronte che ho fotografato sull’argine?» chiese Aurora.
«Un’altra situazione in cui lei ha agito in totale sprezzo delle regole, al punto che ho ricevuto un reclamo formale da parte dei carabinieri per l’insolenza dimostrata nei confronti di un maresciallo.»
«Piantatela di rimbeccarvi, voi due!» intervenne Torrese. Assaporò il silenzio che seguì nella stanza, poi aggiunse: «Sarò sincero, Scalviati. Lei ha causato un certo scompiglio in città. La fama che l’ha preceduta non era certo lusinghiera, e i suoi modi non convenzionali non hanno fatto che confermare l’opinione che mi ero fatto prima del suo arrivo».
Aurora corrugò la fronte. «E sarebbe?»
«Che lei è una risorsa per le forze dell’ordine, ma anche un potenziale pericolo.»
Aurora incrociò le braccia al petto, contrariata. «E ha aspettato di avere un pubblico per dirmelo, giudice Torrese?»
«Volevo soltanto chiarire che non condivido i suoi metodi» affermò lui. «Ma anche che sarei uno stolto se non prendessi atto dei risultati che ha ottenuto. Tutto sommato, ha dimostrato iniziativa e una certa dose di intuito.»
Bruno guardava Torrese con curiosità. Sembrava elettrizzato come raramente gli era parso di vederlo.
«Su una cosa lei ha ragione, Scalviati» proseguì Torrese. «Dobbiamo affrontare una situazione straordinaria. E per fronteggiarla abbiamo bisogno di risorse straordinarie.»
Piovani alzò la mano, come se si trovasse in un’aula del tribunale e stesse per fare un’obiezione. «Non vorrà sul serio…»
«Piovani, non metta alla prova la mia pazienza!» lo bloccò Torrese. «Ho già preso la mia decisione. Ho intenzione di formare un’unità speciale che si occupi del caso Gualtieri.» Fece un ampio respiro. Poi annunciò: «Vice ispettore Scalviati, lei sarà a capo di una squadra investigativa formata dal sovrintendente Bruno Colasanti, dall’agente scelto Tom Carelli e dall’assistente Silvia Sassi.»
Aurora scattò all’indietro, come se fosse stata colpita da un proiettile invisibile. «C-che cosa?»
Bruno dovette reggersi per non cadere dalla sedia.
«È ridicolo» bofonchiò Piovani, scuotendo la testa.
«Ognuno di loro ha una specialità in cui eccelle» continuò Torrese, ignorando le reazioni sconcertate dei presenti. «Colasanti è nato e cresciuto qui, conosce praticamente chiunque, in città. Sarà utile per raccogliere testimonianze e vincere la diffidenza della gente del posto. Carelli è un esperto di tecnologie; è un fuoriclasse quando si tratta di intercettazioni ambientali. Ha già dimostrato un’abilità non comune nel collezionare e analizzare i dati provenienti da qualsiasi dispositivo informatico o di videosorveglianza.» Lo guardò con aria vagamente paternalistica. «Anche quelli a cui normalmente non sarebbe consentito avere l’accesso» aggiunse. Poi riprese un tono neutro. «Silvia Sassi conosce ogni anfratto del territorio, è un’esperta di idrogeologia e di monitoraggio ambientale. Il suo apporto sarà fondamentale per ricostruire i movimenti del killer fuori dal tessuto urbano. Ferri sarà il referente per le scienze forensi. Farà in modo che qualsiasi campione inviato al gabinetto regionale della scientifica per le analisi abbia la priorità.»
Aurora attese qualche attimo prima di ribattere. Era stupita, ma anche confusa. Aveva fatto delle ipotesi prima dell’incontro sulle intenzioni di Torrese, ma ciò che stava succedendo superava qualunque aspettativa. «È… una bella squadra, non c’è che dire» farfugliò. «Ma credevo che la mia partecipazione alle indagini fosse motivo di imbarazzo per la procura.»
«La stampa è in fermento, e non sarà facile distogliere l’attenzione dai suoi precedenti» puntualizzò Torrese. «Per questo motivo, l’esistenza della sua squadra rimarrà segreta. Nessuno di voi è autorizzato a parlare di ciò che ci siamo detti in questa riunione. Se dovesse trapelare un minimo dettaglio vi assicuro che scoprirò chi è stato, e farò di tutto perché venga condannato per rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.» Si schiarì la voce. «Il commissario Piovani rimarrà formalmente a capo delle indagini, e si occuperà di comunicare alla stampa eventuali novità di rilievo, dopo aver concordato con me il contenuto dei comunicati.»
Piovani appoggiò i gomiti sul tavolo. «Lei sta commettendo un errore.»
Torrese lo ignorò. Guardando Aurora intensamente, le disse: «Nonostante Piovani sia ancora il titolare delle indagini, lei farà rapporto direttamente a me. Lorenza farà da intermediario con gli uffici della procura, affinché vi venga fornito il supporto logistico di cui avrete bisogno. Ma ricordi, Scalviati, che voglio un aggiornamento sulla situazione ogni sei ore nella mia casella email».
«Che cosa?» protestò Aurora. «In questo modo rischiamo di passare più tempo a stilare rapporti che a condurre le indagini.»
«Non mi interessano dei rapporti formali» precisò Torrese. «Mi bastano poche righe che riassumano i progressi nelle indagini.»
Aurora non riusciva a tenere fermi i piedi sotto il tavolo. Dovette sforzarsi di controllare il respiro, dentro di sé era un ribollire di emozioni contrastanti.
Per molto tempo, durante la permanenza in ospedale psichiatrico, si era chiesta come sarebbe stato il suo rientro in servizio. Ora, per la prima volta dopo la fine della terapia, si trovava bruscamente catapultata nel cuore dell’azione. All’inizio si era trovata coinvolta nel caso e per cercare di salvare Aprile aveva agito d’istinto. Ma era davvero pronta a dirigere personalmente una task force?
Si sentiva eccitata e allo stesso tempo inadeguata, come se la caccia all’uomo fosse il rimedio contro la sua solitudine, ma anche la sua condanna. Provava una paura folle che la situazione potesse sfuggirle di mano. Il passato era come un cane idrofobo che viveva nella sua ombra, pronto a infettarla con il morso dei ricordi.
E poi c’era dell’altro: la sensazione che Torrese non fosse completamente sincero riguardo alle sue vere intenzioni. Sentiva il nervosismo crescere dentro di lei, e per un attimo Aurora ebbe la tentazione di alzarsi e correre fuori. Ma lo sapeva che ormai non c’era un solo posto al mondo dove avrebbe potuto trovare rifugio. Non c’era nessun luogo dove fuggire dalle sue ossessioni.
«Cosa succede se rifiuto l’incarico?» si decise a chiedere.
«Lei c’è dentro fino al collo» rispose secco Torrese. «È tardi per fare marcia indietro.»
«Non intendo accettare comunque.»
«In tal caso, sono certo che avrà la compiacenza di consegnare oggi stesso la sua lettera di dimissioni al commissario Piovani.»
Aurora gli rivolse un’occhiata di sfida. Poi distolse lo sguardo, inchiodandolo a un punto indefinito tra la parete e il tavolo.
«Ha quarantotto ore per trovare degli elementi utili» concluse Torrese. «Se alla scadenza del termine non avrà niente di concreto, la squadra verrà sciolta. Tornerete alle vostre mansioni abituali, e Piovani assumerà nuovamente il pieno controllo dell’attività investigativa.»