4
Aurora scavalcò una recinzione e si ritrovò nel cortile di una villetta perimetrata dal nastro giallo di contenimento. Due poliziotti in divisa stavano chiacchierando con un paramedico vicino a una delle volanti. Uno dei poliziotti la notò e si staccò dal gruppo, andandole incontro con la mano alzata per fermarla.
«Alt! Non si può entrare» gridò.
«Sono una collega» ribatté nervosamente Aurora, mostrando il tesserino di riconoscimento. «Vice ispettore Scalviati, in servizio presso il commissariato di Sparvara.»
Il poliziotto le rivolse un’occhiata diffidente. Guardò attentamente il tesserino come per studiarlo. «Mi spiace, vice ispettore Scalviati» disse, poco convinto. «Ma ho ricevuto l’ordine di non far passare nessuno.»
Aurora non riuscì a controllare il tono. «Sono un tuo superiore, maledizione! E ora, per favore, lasciami entrare.»
«Cosa sta succedendo qua fuori?» la interruppe una voce autoritaria alle sue spalle. A parlare era stato un uomo basso, sulla cinquantina, dal volto spigoloso e gli occhi distanziati. Aveva una cartellina sotto il braccio e stava uscendo dalla porta principale della villetta, accompagnato da qualcuno a cui Aurora, sul momento, non prestò attenzione.
«Commissario Piovani, stavo appunto cercando di…» biascicò l’agente.
«Chi è questa donna?» fece Piovani, senza degnare Aurora di uno sguardo.
«Vice ispettore Scalviati» si intromise lei, porgendogli la mano. «Sono appena arrivata da Torino.»
Piovani la squadrò da capo a piedi come se fosse un pesce raro fuoriuscito dagli abissi. «La aspettavo domani mattina nel mio ufficio» disse.
Aurora ritrasse la mano, imbarazzata. «Ho visto i lampeggianti dalla strada e ho pensato che fosse un’emergenza.»
«Ce la caviamo benissimo anche da soli, Scalviati. Non c’è bisogno della sua presenza, qui. Può andare.»
Aurora si schiarì la voce. «Con tutto il rispetto, commissario, le ricordo che sono stata alla mobile per tre anni e ho avuto ottime valutazioni sull’analisi delle scene di crimini violenti. Anche se sarò effettiva da domani, se c’è stato un omicidio ritengo di poter dare il mio contributo alle indagini.»
«Chi le ha parlato di un omicidio?» la incalzò Piovani.
«N-nessuno… ma quel carabiniere laggiù mi ha detto che il pubblico ministero era qui, e non credo che si sia scomodato per un gatto sull’albero.»
«Che c’è, Scalviati? Ansiosa di tornare in azione? Eppure dovrebbe aver imparato la lezione, dopo quello che ha provocato.»
Aurora avvertì la pressione alle tempie che aumentava e un nodo stringersi intorno alla gola. «C’è stata un’inchiesta» disse con la voce che tremava. «E sono certa che lei è al corrente del fatto che ne sono uscita pulita.»
«Di questo dovrebbe parlare con la sua coscienza» ribatté Piovani con uno sguardo di sfida. «Conosco bene la sua storia. Vuole sapere come l’hanno soprannominata alcuni colleghi?» Una pausa ad effetto. «Ammazzasbirri.»
Aurora si sforzò di ignorare la provocazione. Sostenne lo sguardo di Piovani e mandò giù una boccata di fiele. «Mi faccia entrare, commissario» disse. «Mi limiterò a fare da osservatrice, starò in disparte. Ma se questa è la scena di un omicidio, le faranno comodo un paio di occhi in più.»
Piovani indicò gli anfibi di Aurora sporchi di fango. «Davvero pensa che la farei entrare là dentro conciata così? La scena è già stata abbastanza contaminata, con tutto il viavai di paramedici e di agenti che c’è stato stanotte. Sarà anche stata alla mobile, ma la procedura…»
«Conosco la procedura» affermò Aurora, chinandosi per slacciare gli anfibi. «Se il problema sono i miei anfibi sporchi, ecco fatto.» Dopo averli sfilati fece uno scatto, scartando Piovani e intrufolandosi nella porta d’ingresso della villetta.
«Colasanti!» sentì urlare al commissario. «Fermala!»
Aurora udì dei passi veloci dietro di lei. Ma ormai era già dentro. E ciò che vide le gelò il sangue.
Rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo e, per un attimo, si dimenticò persino di respirare.