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Piovani aprì la porta di casa. «Scalviati» esclamò, incredulo.

«Mi hanno detto che potevo trovarla qui» ribatté Aurora.

Lui voltò le spalle e Aurora lo seguì all’interno di un soggiorno arredato con semplicità.

Piovani aveva l’aria sbattuta e la barba sfatta. Era come se fosse improvvisamente invecchiato di dieci anni. «Se è venuta per scusarsi per quello che è successo in questura, può anche risparmiarselo. Non serbo rancore.»

«Ero convinta del contrario.»

Piovani si sedette su un divano a fiori sgualcito. «Lei è così piena di convinzioni che mi chiedo se ci sia spazio per qualcos’altro, nella sua testa calda.»

La frase riuscì a strappare un sorriso ad Aurora. «Non crede che sia arrivato il momento di smetterla di farci la guerra?»

Piovani si strinse nelle spalle. «È questo che crede? Che io le stia facendo la guerra?»

«Non saprei come altro definire la sua ostilità.»

«Si faccia un esame di coscienza, Scalviati. Da quando è arrivata qui non ha fatto che comportarsi da prima della classe. Forse sono stato un po’ duro, ma lei ha continuamente messo in discussione la mia autorità. Ma ha davvero importanza, adesso?»

«No.»

«Ho appena parlato con la madre di Bonaccorsi per farle le mie condoglianze» proseguì Piovani. «Quando un collega ci rimette la pelle è sempre una tale merda… Mi perdoni se non ho voglia di ascoltare le sue lamentele.»

L’attenzione di Aurora fu catturata da un rumore proveniente da dietro una porta socchiusa. Era soltanto un lieve scricchiolio, ma le fece pensare che c’era qualcuno oltre la soglia. Si trattava forse di Umberto?

«Bruno mi ha raccontato di suo figlio.»

«Colasanti non ha mai capito quando tenere chiusa quella cazzo di bocca.»

«Volevo soltanto dirle che mi dispiace…»

«Non me ne faccio niente della sua commiserazione, Scalviati. E ora, se vuole scusarmi, come può ben immaginare ho molto da fare.»

Aurora scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Non è ancora finita» disse con un filo di voce. «So che lei lo sa, anche se cerca di nasconderlo. Se lo sente dentro come me lo sento io. Perché lei, come me, è un poliziotto abituato alla strada. Lei lo conosce, l’odore della morte.»

«È questa la differenza tra me e lei, Scalviati. Io so stare al mio posto. Siamo funzionari, non giustizieri.»

«È stato ciò che ha visto vent’anni fa nella casa dei Rovere a cambiarla, vero?»

Piovani si stropicciò gli occhi come per respingere un ricordo doloroso. «Io…»

«È per quello che ha deciso di rifugiarsi dietro una scrivania, sperando di mettere una barriera tra lei e l’orrore a cui aveva assistito.»

Piovani fece un profondo respiro. Rimase in silenzio per alcuni, lunghissimi secondi. Quando si decise a parlare, la voce gli uscì a fatica. «Carlo è sempre stato più forte di me. Quando eravamo giovani era più bello, più spigliato con le ragazze. Soprattutto, era un poliziotto migliore. Ma dopo il caso Ranuzzi cambiò completamente. Diventò schivo, riservato. E dopo che Ranuzzi si era tolto la vita non ha mai più voluto riparlare di quella storia. Ma io lo sapevo che lo divorava dentro, che gli aveva fatto perdere il sonno, proprio come era successo a me, altrimenti non avrebbe mai deciso di adottare quel disgraziato di Filippo Rovere.» Piovani fece una breve pausa in cui cercò gli occhi di Aurora. «Io e Rossella eravamo fidanzati, una volta. Ero convinto che avessimo un legame speciale, che fosse lei la donna che avrei sposato. E invece ha preferito Carlo, ma non l’ho mai biasimata per questo. Con gli anni siamo diventati buoni amici. Con lei potevo parlare liberamente di ciò di cui non potevo parlare con Carlo. Quando andò male con l’adozione di Filippo, era con me che si sfogava Rossella, esattamente come avevo fatto io quando ero tormentato dagli incubi per ciò che avevo visto quella notte. Ricordo ancora quando seppe che Filippo era morto. Le presi la mano per confortarla, ma lei si ritrasse. Mi disse che forse era soltanto meglio così. Sembrava persino… sollevata. Come se finalmente potesse mettere la parola fine a una storia che aveva cambiato per sempre la sua vita.» Piovani abbassò lo sguardo per un istante. «Non siamo mai stati amanti, io e Rossella. Ma lo ammetto, c’è stato un periodo in cui ho pensato che il nostro legame fosse più solido che mai. C’è stato un momento in cui ho pensato di mollare tutto e fuggire con lei. Per andare dove, poi?»

«È quello che ho provato io un’infinità di volte» ammise Aurora. «Anch’io ho desiderato mollare tutto. Ma non si può fuggire dal proprio passato. Rimane per sempre dietro di te. O forse sarebbe meglio dire dentro di te.»

«Crede di poter fare la differenza, Scalviati. Ma nel nostro lavoro ci sono delle regole da rispettare. Mi dispiace per la sua squadra. Devo ammettere che Torrese aveva visto giusto su di lei. È una brava poliziotta, solo un po’ troppo emotiva. Ma ora deve rassegnarsi. È il momento di lasciare che la giustizia faccia il suo corso.»

«Non posso farlo» mugolò Aurora.

Ancora quel rumore oltre la porta. Ora Aurora ne era certa. Qualcuno stava ascoltando la conversazione oltre la soglia.

«Vuol sapere una cosa buffa?» fece Piovani, con una smorfia. «Quando Rossella mi ha chiamato per dirmi che Carlo era scomparso, mercoledì mattina, per un momento ho provato una strana euforia. Sono stato così stupido da pensare che se ne fosse semplicemente andato, come aveva fatto quando aveva dato le dimissioni dalla polizia. È stato solo un attimo. Ma in quell’attimo ho creduto che io e Rossella avremmo avuto una nuova occasione per riavvicinarci. Perché la verità è che sono ancora innamorato di lei, più di quanto sia mai stato innamorato di mia moglie. Non è incredibilmente patetico?»

«Provare dei sentimenti non è una colpa.»

«Eppure mi sento uno schifo. Non ho dato peso alle preoccupazioni di Rossella. Ho persino cercato di rassicurarla. Ma se mi fossi mosso con tempestività, chissà, forse avremmo potuto persino salvare Carlo.»

«Non starò a farle della retorica su quanto siano inutili e dannosi i rimpianti, Piovani. L’unica cosa che volevo dirle è che andrò fino in fondo. Nonostante Torrese, nonostante lei.»

Piovani la guardò intensamente. «E allora faccia quello che deve, Scalviati. Io non cercherò di fermarla. Ma se è venuta qui per avere la mia benedizione, be’, quella non posso dargliela. Sono stanco di combattere. Da troppo tempo, ormai.»

Aurora nel buio
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