13.
Durante tutto il tempo che essi si trattennero con gli Sventickij, Lara era in sala. Benché non fosse in abito da ballo e non conoscesse nessuno, a volte, abulicamente, come in sogno, si lasciava trascinare da Koka Kornakòv nel ballo, per poi vagare, accasciata, per la sala.
Una o due volte si era fermata esitante sulla soglia dei salotto, nella speranza che Komarovskij, seduto col viso rivolto alla sala, la vedesse. Ma lui guardava le carte, che teneva nella sinistra come uno schermo davanti a sé, e o non la vedeva davvero, o fingeva di non notarla. Lara si era sentita mancare il respiro per l’umiliazione. Intanto, dalla sala era entrata nel salotto una ragazza, che lei non conosceva. Komarovskij la fissò con lo sguardo che le era fin troppo noto. La ragazza, lusingata, gli sorrise, arrossì e s’illuminò. A quella vista, per poco Lara non gridò. Un rossore di vergogna le salì al viso; le si imporporarono anche la fronte e il collo. «Una nuova vittima,» pensò. Vedeva come in uno specchio se stessa e la propria storia. Ma non aveva ancora rinunciato all’idea di parlare con Komarovskij e, decidendo di rimandare il tentativo a un momento più adatto, si costrinse alla calma e tornò nella sala.
Al tavolo di Komarovskij sedevano altre tre persone. Uno dei suoi “partner”, quello accanto a lui, era il padre del bellimbusto che aveva invitato Lara al valzer. Lara lo dedusse da due o tre parole che aveva scambiato col suo cavaliere mentre ballavano. E l’alta donna bruna, vestita di nero, con gli strani occhi ardenti e il collo sgradevolmente teso, simile a un serpente, che ogni momento passava dal salotto in sala, invadendo il campo d’azione del figlio, o, viceversa, avvicinandosi al marito che giocava, era la madre di Koka Kornakòv. Poi, per caso seppe che la ragazza che le aveva causato tante complesse emozioni, era la sorella di Koka e le sue supposizioni si rivelarono infondate.
«Kornakòv,» si era presentato Koka. Ma Lara non aveva afferrato il nome. «Kornakòv,» aveva ripetuto all’ultimo giro, accompagnandola alla poltrona, e si era inchinato. Questa volta Lara aveva capito. «Kornakòv, Kornakòv,» rifletteva. «Non mi è nuovo. Qualcosa di spiacevole.» Poi ricordò. Kornakòv era il sostituto procuratore della Corte di giustizia di Mosca. Era stato lui il pubblico ministero al processo dei ferrovieri, nel quale era stato condannato Tiverzin. Su preghiera di Lara, Lavrentij Michàjlovich era andato a parlargli, perché non infierisse troppo, ma non aveva ottenuto nulla. «Così, allora! Ah, così, così. Interessante. Kornakòv. Kornakòv.»