5.
Alla vigilia della partenza si levò la tormenta. Il vento spingeva in alto verso il cielo grigie nubi di volteggianti fiocchi di neve che tornavano sulla terra in bianchi turbinii, s’ingolfavano nel fondo cupo della strada, e la ricoprivano d’un candido velo.
Tutto nella casa era ormai imballato. La sorveglianza delle stanze e di quanto vi rimaneva fu affidata a un’anziana coppia di coniugi, parenti, moscoviti della Egòrovna, con i quali Antonina Aleksàndrovna aveva fatto conoscenza l’inverno precedente allorché, per loro mezzo, aveva dato via roba vecchia, stracci e mobili inutili in cambio di legna e patate.
Di Markèl non ci si poteva fidare. Alla milizia, che aveva scelto come club politico, non accusava gli ex padroni Gromeko d’avergli bevuto il sangue, ma li rimproverava d’averlo sempre, in tutti quegli anni, tenuto all’oscuro, nascondendogli intenzionalmente che l’uomo derivava dalla scimmia.
Antonina Aleksàndrovna condusse per l’ultima volta la coppia di parenti della Egòrovna, un ex commesso e sua moglie, attraverso le stanze, mostrando quali fossero le chiavi di ogni serratura e dove ogni cosa si trovasse, aprendo e chiudendo insieme a loro armadi e cassetti, indicando e spiegando tutto.
I tavoli e le sedie erano addossati contro le pareti, i fagotti per il viaggio stavano ammucchiati in disparte, e da tutte le finestre erano state tolte le tende. La tormenta, con meno impedimenti che non nella cornice dell’intimità invernale, si affacciava nelle stanze ormai vuote attraverso le finestre spoglie. A ognuno la tormenta ricordava qualcosa. A Jurij Andrèevich l’infanzia e la morte della madre; ad Antonina Aleksàndrovna e Aleksàndr Aleksàndrovich la fine e i funerali di Anna Ivànovna. A tutti pareva che quella fosse la loro ultima notte in una casa che non avrebbero più rivisto. Su questo s’ingannavano, ma, suggestionati da quel pensiero che non si confidavano per non amareggiarsi a vicenda, ciascuno fra sé ripensava la propria esistenza, gli anni trascorsi sotto quel tetto e tratteneva a stento le lacrime.
Ciò non impediva ad Antonina Aleksàndrovna di mantenere le forme di fronte agli estranei, conversando senza tregua con la donna alla quale affidava la casa. Esagerava l’importanza del servigio che le veniva reso, e per manifestare la sua gratitudine, ogni momento, con molte scuse andava nella stanza vicina tornando sempre con un dono, ora un fazzoletto, ora una blusa, ora un pezzo di indiana o di chiffon. E tutte quelle stoffe erano scure, a quadretti o pallini bianchi, come nera e punteggiata di bianco era l’oscura strada nevosa che attraverso le nude finestre senza tende guardava quella sera d’addio.