12.

«Che hai fatto tanto tempo a Varykino? Perché là non c’è nessuno, vero, è un deserto? Cosa ti tratteneva laggiù?»

«Insieme a Kàten’ka ho messo in ordine la vostra casa. Temevo che per prima cosa tu andassi laggiù. Non volevo che la trovassi in quello stato.»

«In quale stato? Che c’è, confusione, disordine?»

«Disordine, sporcizia. Ho sistemato tutto.»

«Sei evasivamente laconica. C’è qualcosa che non vuoi dire, che mi nascondi. Ma va bene, non cercherò di sapere di più. Dimmi di Tonja. Che nome hanno messo alla bambina?»

«Masha. In memoria di tua madre.»

«Raccontami di loro.»

«Un’altra volta, ti prego. Ti ho già detto che trattengo a stento le lacrime.»

«Quel Samdevjatov che ti ha dato il cavallo è un tipo interessante Che te ne sembra?»

«Interessantissimo.»

«Io conosco molto bene Anfìm Efìmovich. Qui, in questi posti, per noi nuovi è stato un amico, ci ha aiutati.»

«Lo so, me l’ha raccontato.»

«Probabilmente siete amici. Cerca di essere utile anche a te?»

«Non fa che colmarmi di gentilezze. Non so cosa farei senza di lui.»

«Lo immagino. Tra voi ci saranno certo dei rapporti d’amicizia camerateschi, alla buona. Sono sicuro che ti fa una gran corte.»

«Come no, senza stancarsi.»

«E tu? Ma scusami, sto esagerando. Che diritto ho di farti queste domande? Scusa, sono indiscreto.»

«Oh, ti prego! Forse volevi chiedermi di che tipo siano i nostri rapporti, sapere se nella nostra amicizia non si sia introdotto qualcosa di più personale. No, certo. Sono debitrice ad Anfìm Efìmovich di moltissimo, sono enormemente in debito verso di lui, ma anche se mi coprisse d’oro, anche se desse la vita per me, questo non me lo avvicinerebbe d’un passo. Ho sempre provato avversione per quel tipo di persone, non hanno niente in comune con me. Nelle cose pratiche questi uomini intraprendenti, sicuri di sé, autoritari, sono insostituibili. Ma, nelle cose del cuore, la loro maschia, baffuta, ostentata sufficienza è insopportabile. Io concepisco in tutt’altro modo l’intimità e la vita. Non solo, ma dal punto di vista morale Anfìm mi ricorda un altro uomo, assai più ripugnante, quello a cui devo d’essere così, d’essere quella che sono.»

«Non capisco. Come sei? Che vuoi dire? Spiegati. Sei la migliore di tutti al mondo.»

«Ah, Jùrochka, perché fai così? Io parlo seriamente e tu mi fai dei complimenti, come in un salotto. Mi domandi come sono. Sono incrinata, ho una crepa per tutta la vita. Sono stata resa donna prima del tempo, delittuosamente presto, sono stata iniziata alla vita dal suo lato peggiore e nell’interpretazione falsata e volgare di un maturo parassita dei tempi andati, sicuro di sé e che credeva di potersi permettere di tutto.»

«Ho capito. Avevo immaginato qualcosa. Ma aspetta. Mi figuro la tua pena già acuta di allora, il terrore dell’inesperienza sgomenta, la prima onta patita e così presto. Però sono cose del passato. Voglio dire che oggi di questo non devi addolorarti tu, ma le persone che ti amano, come me. Sono io che devo torturarmi e disperarmi per averti conosciuta tardi, per non esserti stato accanto allora, a prevenire quel che è accaduto, se per te costituisce davvero un dolore. E’ strano, mi sembra di poter essere mortalmente geloso soltanto di una persona ignobile, del tutto estranea a me. La rivalità con un essere superiore mi suscita tutt’altri sentimenti. Se un uomo spiritualmente vicino a me, per il quale avessi dell’affetto, amasse la stessa donna che amo io, proverei un sentimento di dolente fraternità con lui, non di contrasto e di avversione. Certo, non potrei dividere con lui, neppure per un istante l’oggetto della mia adorazione, ma sarebbe una sofferenza completamente diversa dalla gelosia, non così accesa e sanguinosa. Lo stesso mi accadrebbe se mi imbattessi in un artista che mi soggiogasse con la superiorità del suo ingegno in opere similari alle mie. Probabilmente rinuncerei ai miei tentativi, ormai superati dalle ricerche. Ma sto divagando. Credo che non ti amerei tanto se in te non ci fosse nulla da lamentare, nulla da rimpiangere. Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.»

«E io, è proprio questa bellezza che intendo dire. Mi sembra che per vederla occorra un’immaginazione intatta, una sensibilità come primordiale. E questo mi è stato tolto. Forse avrei potuto avere una mia concezione della vita, se fin dai primi passi non l’avessi vista sotto l’influsso di uno che la rendeva volgare. Ma non basta: l’intromissione nella mia vita, allora appena agli inizi, di quella mediocrità, di quell’immorale, di quel gaudente è stata anche causa del fallimento del mio matrimonio con un uomo di grande valore, che mi amava profondamente e che corrispondevo allo stesso modo.»

«Aspetta. Di tuo marito mi parlerai poi. Ti ho già detto che io non sono geloso di una persona che sento eguale, ma soltanto di chi è inferiore a me. Non sono geloso di tuo marito. Ma quell’altro?»

«Quale altro’?»

«Quel viveur che ti ha rovinata. Chi era?»

«Un avvocato di Mosca, piuttosto noto. Era amico di mio padre e dopo la sua morte ha aiutato la mamma quando eravamo in miseria. Scapolo, ricco. Certo gli attribuisco un interesse eccessivo, ne esagero l’importanza, a denigrarlo tanto. E’, del resto, un fenomeno comune. Se vuoi ti dico come si chiama.»

«Non importa. Lo so. Una volta l’ho visto.»

«Davvero?»

«Una volta, in un albergo, tua madre aveva tentato di avvelenarsi. Una sera tardi. Noi eravamo ancora ragazzi, al ginnasio.»

«Ah, sì, mi ricordo. Voi stavate nel corridoio dell’albergo, al buio. Forse mi sarei dimenticata di questa scena, ma tu me l’hai fatta ricordare già un’altra volta; mi pare a Meljuzeev.»

«C’era Komarovskij allora.»

«Davvero? E’ possibilissimo. Era facile trovarmi con lui. Eravamo spesso insieme.»

«Perché sei arrossita?»

«Sentendo il suono della parola Komarovskij sulle tue labbra. Perché non ci sono abituata: è stato così inaspettato.»

«Insieme a me c’era un mio compagno, un ragazzo della mia classe. All’albergo mi disse che lui aveva riconosciuto in Komarovskij l’uomo che già una volta aveva visto per caso, in circostanze eccezionali. Una volta, durante un viaggio, lui, Michaìl Gordon, era stato testimone oculare del suicidio di mio padre, un industriale ricchissimo. Misha viaggiava nello stesso treno. Mio padre si gettò dal treno per uccidersi e infatti morì. Viaggiava in compagnia di Komarovskij che era suo legale. Komarovskij lo faceva bere, imbrogliava i suoi affari e lo portò alla bancarotta, spingendolo sulla via del suicidio. E’ lui il responsabile della sua morte, ed è per lui che sono rimasto orfano.»

«Incredibile. Che coincidenza sorprendente! Possibile che sia vero? E così è stato anche il tuo cattivo genio? Questo ci unisce ancora dì più! Sembra una predestinazione!»

«Ecco di chi sono geloso in modo folle, irrimediabile.»

«Che dici? Non solo non lo amo, ma lo detesto.»

«Credi di conoscerti così bene? La natura umana e specialmente quella femminile è così ambigua e contraddittoria! Forse tu sei succube di lui più di qualunque altro che pure ami di tua spontanea volontà, liberamente.»

«E’ terribile quello che hai detto. E come al solito hai colto nel segno, tanto che quest’assurdità contro natura mi sembra vera. Ma è spaventoso allora!»

«Stai tranquilla. Non mi dare retta. Volevo dire che nei tuoi confronti io sono geloso di ciò che è oscuro, inconscio, che non si può spiegare, né capire. Sono geloso degli oggetti della tua toeletta, delle gocce di sudore sulla tua pelle, delle malattie che sono nell’aria e che possono attaccarsi a te e avvelenare il tuo sangue. E, come di un’infezione di questo genere, sono geloso di Komarovskij, che un giorno ti strapperà a me, così come un giorno la mia o la tua morte ci dividerà. Lo so, tutto questo ti deve sembrare un oscuro groviglio. Ma non so dirlo in maniera più comprensibile e chiara. Ti amo follemente, da perdere la ragione, senza limiti.»

Il dottor Zivago
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