16.
Cominciò a migliorare. Dapprima, come beatamente smemorato, non cercava un legame fra le cose, accettava tutto, non ricordava nulla, di nulla si stupiva. La moglie lo nutriva di pane bianco col burro e gli dava da bere tè zuccherato e caffè. Jurij Andrèevich aveva dimenticato che tutto questo adesso non c’era più e si rallegrava di quelle raffinatezze, come per una poesia o una fiaba, quasi fossero cibi normali, che spettassero, anzi, di diritto a un convalescente. Ma, la prima volta che si rese conto, chiese alla moglie:
«Di dove viene tutta questa roba?»
«E’ sempre il tuo Granja che ce la manda.»
«Quale Grania?»
«Granja Zivago.»
«Granja Zivago?»
«Ma si, Evgràf, tuo fratello, quello di Omsk. Il tuo fratellastro. Quando eri in delirio veniva sempre a trovarti.»
«Con una pelliccia di renna?»
«Sì, sì. Allora te ne sei accorto, anche in delirio? Ti aveva incontrato per le scale di una casa; lo so, perché me l’hai raccontato. Sapeva chi eri e avrebbe voluto farsi riconoscere, ma gli avevi fatto paura! Lui ti adora, legge sempre le tue cose. Ed è capace di tirar fuori di sottoterra delle meraviglie! Riso, uva passa, zucchero. Ora è ripartito per il suo paese. E ci vuole là. E’ così strano, enigmatico. Secondo me, deve essere in rapporti intimi con le autorità. Dice che per un anno o due bisogna andar via dalle grandi città, ‘attaccarsi alla terra’. Mi sono consigliata con lui a proposito di quei luoghi di Krueger. Li consiglia senz’altro. Bisogna poter coltivare un orto e avere un bosco vicino. Non si può mica lasciarsi morire così, passivamente come pecore.»
Nell’aprile di quell’anno tutta la famiglia Zivago partì per i lontani Urali, alla volta dell’antica tenuta di Varykino, nei pressi di Jurjatin.