6.
Al mattino, appena alzati, lo sguardo di Jurij Andrèevich prese subito ad andare alla scrivania presso la finestra, che non cessava di tentarlo. Sentiva il formicolio alle mani, dalla voglia di trovarsi davanti alla carta bianca. Ma se ne riservò il piacere per la sera, quando Lara e Kàten’ka fossero andate a dormire. Fino a quel momento c’era da fare fin sopra i capelli, per mettere in ordine almeno due stanze.
Sognando il lavoro della sera, non si proponeva grandi cose: era semplicemente amore dell’inchiostro, attrazione per la penna.
Aveva voglia di scrivere, di tracciare le parole sul foglio. In un primo momento si sarebbe contentato di trascrivere a memoria qualcosa di vecchio, che non aveva ancora messo su carta, solo per sgranchire le proprie facoltà intorpidite dall’inattività, sonnecchianti nel lungo intervallo. Ma sperava che qui si sarebbero fermati più a lungo e che avrebbe avuto il tempo di dedicarsi liberamente a qualche cosa di nuovo, d’importante:
«Sei occupato? Che stai facendo?»
«Non faccio che scaldare, perché?»
«Mi servirebbe il mastello.»
«Scaldando così, la legna che c’è qui non basterà per più di tre giorni. Bisogna fare una capatina nel nostro antico deposito. Chissà che non se ne trovi! Se ne è rimasta abbastanza, farò alcuni viaggi e la porterò qui. Me ne occuperò domani. Mi hai chiesto il mastello. Ma si, devo averlo visto in qualche posto, ma non so dove, non riesco a ricordarlo.»
«Succede la stessa cosa a me. L’ho visto chissà dove, e me ne sono dimenticata. Certo, non doveva essere al suo posto, per questo si dimentica. Ma pazienza. Voglio scaldare molta acqua per le pulizie. Con quella che resterà, laverò qualcosa per me e per Katja. Dammi anche la tua biancheria sporca. Questa sera, prima d’andare a dormire, dopo esserci sistemati e aver preso le nostre decisioni, ci laveremo tutti.»
«Preparo subito la mia biancheria. Grazie. Ho spostato dalle pareti tutti gli armadi e le cose ingombranti, come mi avevi chiesto.»
«Bene. Invece che nel mastello laverò nel catino. Solo che è molto unto. Bisognerà sgrassarlo.»
«Appena la stufa avrà preso bene, chiuderò il tiraggio e tornerò a guardare nei cassetti. A ogni momento, nuove scoperte nel tavolo e nel comò: sapone, fiammiferi, matite, carta, oggetti di cancelleria. E cose non meno inaspettate, proprio sotto i nostri occhi: la lampada sul tavolo, per esempio, piena di petrolio. Non è roba di Mikùlicyn, lo so. Viene da qualche altra parte.»
«Che fortuna incredibile! E’ sempre lui, l’inquilino misterioso. Come in Giulio Verne. Ah, ma vedi! Ci siamo di nuovo perduti in chiacchiere e intanto la mia acqua sta bollendo.»
Si affaccendarono correndo qua e là per le stanze, con le mani ingombre, e correndo si scontravano l’uno con l’altra o urtavano Kàten’ka che li impacciava mettendosi fra i piedi, intrufolandosi dappertutto, disturbando il lavoro. Quando la rimproveravano faceva il muso. Era intirizzita e si lamentava d’aver freddo.
«Poveri bambini d’oggi, vittime della nostra vita di zingari, piccoli, rassegnati compagni delle nostre peregrinazioni,» pensò il dottore, ma le disse lo stesso:
«Scusa, cara. Non hai nessuna ragione di raggomitolarti così per il freddo. Son tutte storie e capricci, perché la stufa è addirittura rovente.»
«Avrà caldo la stufa, io sento freddo.»
«Allora abbi pazienza, Katjusha. Questa sera la scalderò forte un’altra volta, e la mamma ha detto che ti farà il bagno, hai sentito? E intanto, ecco, tieni!»
E ammonticchiò sul pavimento i vecchi giocattoli di Liverij, tolti dal freddo ripostiglio, alcuni ancora intatti, altri rotti, piccoli cubi per costruzioni, vagoni di locomotive, fogli di cartone a quadretti numerati per giocarci con le “fiches” e le pedine.
«Che fate, Jurij Andrèevich?» si risentì come un’adulta Kàten’ka. «E’ roba d’altri. E poi è per bambini. Io, ormai, sono grande.»
Ma un momento dopo, era già comodamente seduta in mezzo al tappeto e sotto le sue mani i giocattoli d’ogni genere si trasformavano in materiale da costruzione, col quale fabbricava alla sua bambola Ninka, portata dalla città., un’abitazione assai più razionale e più stabile dei rifugi altrui e sempre diversi, in cui i grandi la trascinavano.
«Che istinto casalingo, che attrazione insopprimibile verso un nido e l’ordine!» disse Larisa Fëdorovna osservando dalla cucina i giochi della figlia. I bambini sono sinceri, senza impacci, e non si vergognano della verità, mentre noi, per paura di sembrare arretrati, siamo pronti a ripudiare ciò che ci è più caro, a lodare cose che ci ripugnano ed accettarne altre che non comprendiamo.»
«Ho trovato il mastello,» la interruppe il dottore, uscendo con quel recipiente in mano dal buio ripostiglio. «Non era davvero al suo posto. Si vede che l’autunno scorso l’avevano messo sotto un punto dei soffitto dove filtrava l’acqua.»