22.
Verso il mattino Jurij Andrèevich si svegliò un’altra volta. Aveva sognato ancora qualcosa di piacevole. La sensazione di felicità e di liberazione che l’aveva invaso non era cessata. Di nuovo il treno era fermo, forse in un’altra stazione, forse ancora in quella di prima. Di nuovo rombava una cascata, probabilmente la stessa di prima, forse un’altra.
Si riassopì quasi subito e, dormendo, gli parve di sognare un gran correre di gente, un parapiglia. Kostoèd se l’era presa col capotreno e tutti e due gridavano l’uno contro l’altro. Fuori era ancora più bello. Alitava qualcosa di nuovo, assente fino ad allora, qualcosa di magico, di primaverile, di bianco-nero aereo, leggero, come la ventata di una tempesta dì neve in viaggio, quando i fiocchi umidi e già sciolti non imbiancano, ma rendono più scura la terra. Un che di diafano, di bianco-nero, di odoroso. «Il ciliegio selvatico!» indovinò Jurij Andrèevich nel sonno.