L’ANGELO DELLA MISERICORDIA

Jesse ancora non osava respirare dal naso. Aveva visto (e annusato) di molto peggio – aveva fatto l’internato al Makiwane Hospital, che cazzo – ma l’odore di vomito e decomposizione in quello spazio ristretto stava cominciando a dargli veramente fastidio. Il suo primo decesso a bordo, e nel bel mezzo di tutto quello che stava già succedendo.

Ram, il più anziano dei due addetti alla sicurezza in attesa alla porta, si schiarì la gola. «Le ci vuole ancora molto, dottore?»

«Ho quasi finito.» Jesse detestava ammetterlo, ma gli addetti alla sicurezza lo intimidivano parecchio, e più di tutti Ram, che era una specie di leggenda. Secondo Martha, fonte di tutti i pettegolezzi di bordo, Ram era un ex Gurkha, veterano dell’Afghanistan, uno con cui proprio non era il caso di mettersi a litigare. Devi, l’altra guardia, era più misterioso. Era di quasi una testa più alto del suo capo e, contrariamente ai colleghi che ostentavano i baffoni di ordinanza, aveva la faccia ben rasata. Jesse non aveva mai parlato con lui, anche se l’aveva visto un paio di volte al bar del personale.

«Può dirci l’ora del decesso?» Era stato Devi a chiederlo. Il suo capo gli lanciò un’occhiata tagliente.

«Non sono un patologo», sospirò Jesse. Aveva preso la temperatura interna della ragazza, tenendo conto del fatto che l’aria condizionata aveva funzionato a tutto spiano fino al momento in cui la nave non si era fermata. Il rosso-violaceo del livor mortis era visibile sulle cosce e sul ventre della ragazza, e il rigor mortis era ancora evidente, ma l’equipaggiamento del medico non gli consentiva di concludere molto di più. Dallo stato del cadavere poteva dedurre che il decesso fosse avvenuto da almeno dodici ore; più probabile diciotto o venti. Doveva muoversi con cautela: non poteva rischiare che la cosa gli si rivoltasse contro. «Non lo prenda per oro colato, ma direi dalle dodici alle venti ore fa, più o meno.»

«È morta questa mattina presto?» chiese Ram.

Jesse scrollò le spalle. «Ja. Direi di sì. Ma, ripeto, non posso stabilirlo con certezza.»

«Il corpo potrebbe essere stato spostato?»

«Ne dubito. I segni indicano che è rimasta qui per un pezzo. Come mai lo steward non l’ha scoperta ore fa?» Paulo, lo steward di Jesse, rifaceva le cabine due volte al giorno.

«Controlleremo in proposito», disse Ram. «Parleremo con lo steward della ragazza e con gli altri del suo gruppo.»

«Gruppo?»

«Faceva parte di un gruppo di single qui a bordo», spiegò Devi. «Avremo anche bisogno di...»

«La trapunta che aveva sopra», lo interruppe Ram. «È possibile che se la sia tirata sopra la testa quand’è rotolata giù dal letto?»

«Nossignore», disse Devi prima che Jesse potesse rispondere. «Ho preso delle foto della scena dopo aver controllato le sue condizioni. Era evidente che qualcuno aveva cercato di nasconderla.»

«Non possiamo esserne sicuri», disse Ram.

Jesse si accorse che Devi serrava le labbra, ma non contraddisse il suo superiore.

«Chi l’ha trovata?» chiese Jesse.

Devi guardò Ram, e poi rispose: «Io e una steward l’abbiamo trovata mentre controllavamo che le cabine fossero vuote».

«C’è qualche segno di violenza?» chiese Ram.

«Violenza sessuale?»

«Sì.»

«Ha il top sollevato, ma per il resto i vestiti sono intatti. Non ci sono ferite evidenti. Non sapremo altro prima dell’autopsia.» E quello non sarebbe stato un problema suo, grazie al cielo. «Bisognerà portarla in obitorio. Non possiamo lasciarla qui con questo caldo!» Ripassò nella propria mente le procedure da adottare, grato di essersi preso il tempo per studiare i manuali della compagnia di navigazione. Bisognava informare dell’accaduto il comandante, che avrebbe dato ordine al personale di macchina di raffreddare l’obitorio, sempre che fosse possibile con la mancanza di energia. Cristo. La sicurezza si sarebbe messa in contatto con le autorità di Miami e delle Bahamas, dove la nave era registrata, ma stava a lui informare la compagnia d’assicurazione, l’ufficio centrale, la compagnia armatrice e i parenti della passeggera, anche se restava un mistero come avrebbe potuto fare tutte quelle comunicazioni e ricerche coi sistemi radio e satellitari fuori uso. Aveva scoperto l’ultimo regalo del gran casino in cui si stava trasformando quella notte dopo aver cercato di contattare il comando terra per informarli dei feriti nell’incendio.

Si passò una mano sulla faccia; l’ansia sembrava diffondersi a ondate. Mai – neppure quand’era stato a un pelo dall’essere radiato – si era sentito così sopraffatto. Non se la cavava bene con lo stress. Sapeva come poteva finire.

«E non può fare qualche ipotesi sulle cause della morte?» chiese Devi.

«Posso fare tutte le speculazioni che vuole», disse Jesse guadagnandosi uno sguardo corrucciato di Ram. Il nervosismo lo rendeva insolente. «Il vomito potrebbe averle ostruito le vie aeree. È possibile che questo l’abbia uccisa.»

«Crede che possa trattarsi di droga?»

«Senza le analisi del sangue, non saprei.»

«Forse qualcuno dei suoi amici ha cercato di nasconderla», ipotizzò Ram, fissandolo con un’intensità preoccupante. «Forse stavano bevendo insieme, forse la ragazza si è sentita male e loro avevano paura di finire nei guai. È possibile?»

«Non sono un detective.»

«Ma è possibile che sia morta per un consumo eccessivo di alcol, magari insieme con qualche droga?»

«È possibile. Però questo non spiega perché qualcuno l’avrebbe coperta con la trapunta...»

«Grazie, dottore», lo interruppe Ram.

«Mi assicurerò che il cadavere venga trasferito in obitorio.»

«Sì. Sarebbe meglio farlo prima che i passeggeri vengano autorizzati a rientrare nelle loro cabine. Delimiteremo la scena.»

«Le serve altro da me?»

«Per ora è tutto.»

«Devo informare il comandante?»

«È già stato fatto.»

«Bene. Allora io vado.»

Jesse uscì passando tra le guardie. Superò la porta di servizio, si fermò e si batté i pugni sulle cosce. Respira. Puoi farcela. Non era solo, doveva ricordarselo. Bin e Martha lo avrebbero aiutato. Poteva fare affidamento su di loro. Lo avevano avvisato che le crociere di New York potevano essere difficili, ma non si aspettava niente di più serio dei soliti problemi con l’alcol e dei normali casi d’intossicazioni e allergie alimentari: aveva imparato in fretta che spesso lo strumento più prezioso a bordo di una nave era un’EpiPen.

Scese rumorosamente le scale metalliche verso l’I-95, con l’aria che puzzava sempre più nei ponti inferiori. Giorno o notte che fosse, i corridoi di servizio che si estendevano per l’intera lunghezza della nave ronzavano sempre di attività ma quella sera, a parte una coppia di camerieri esausti che respiravano con l’aiuto degli inalatori in una nicchia vicino all’ufficio del commissario di bordo, era tutto deserto, le luci di emergenza mascheravano lo squallore dei pavimenti rigati. Il pavimento sembrava incresparsi sotto i suoi piedi, anche se non aveva idea se fosse perché gli stabilizzatori della nave non erano operativi (aveva solo una vaghissima idea della meccanica della grande nave) o perché era esausto. E c’erano ben poche possibilità di potersi prendere una pausa nell’immediato futuro: prima Bin gli aveva portato una ciotola di verdure al curry, ma era rimasta a raffreddarsi sulla sua scrivania. Gli formicolavano le dita. Non cedere, non arrenderti. Perché sapeva come sarebbe andata a finire poi. Ehi, Jesse. Dai, su. Solo un’ultima volta. Non c’è bisogno che lo sappia nessuno. Tanto per smussare gli spigoli, te lo meriti.

No.

Non si accorgeranno che manca. Non lo sapranno mai.

No.

Si costrinse a pensare ai feriti dell’incendio. Il vicecommissario di bordo e il meccanico con l’intossicazione da fumo erano stabili, però era ancora preoccupato per Alfonso, il tecnico con ustioni di secondo grado. Le aveva trattate con garze medicate, ma il paziente era ancora agitato, come se fosse sotto shock, e ciò lo aveva sorpreso. Sebbene non conoscesse bene Alfonso (il tecnico tendeva a fraternizzare con gli altri colleghi italiani), una quindicina di giorni prima lo aveva curato per una brutta infezione all’orecchio e Alfonso non aveva fatto una piega, faceva il duro e snocciolava battute. Poi c’erano stati due casi di vomito e diarrea: un passeggero e uno steward. Si augurava che non preludessero a un’epidemia virale. Cose del genere su una nave da crociera finivano sempre nei notiziari e, insieme con l’incendio, avrebbero potuto segnare la fine di quel po’ di reputazione che la Foveros ancora conservava.

Aprì la porta dell’infermeria con la spalla, accolto dai sorrisi ugualmente esausti di Bin e Martha, stravaccati sul divanetto della sala d’attesa. Mollò la borsa sulla scrivania e Bin si alzò subito per sterilizzare gli strumenti.

«Come stanno?» chiese a Martha accennando alla porta che dava sull’infermeria vera e propria.

«Dormono. Ho pensato che fosse meglio trattenerli qui per il resto della notte.»

«Anche l’ustionato?»

«Sì, gli ho dato qualcosa per calmarsi e si è spento come una candela.»

«Bene.» Era già qualcosa.

«E la ragazza?» chiese Martha.

«Morta. Sembra lo sia da un po’.»

«Oh, cavolo. Da quanto?»

«Dodici, venti ore.»

Martha imprecò, e persino il solitamente imperturbabile Bin interruppe quello che stava facendo, risucchiò l’aria attraverso i denti e chiese: «Era nella sua cabina?»

«Ja. L’hanno trovata di fianco al letto.»

«Strano. Lo steward avrebbe dovuto trovarla ore fa.»

«Lo so. Bel casino. Sembra che possa esserci di mezzo qualcun altro.»

Martha imprecò di nuovo. «Cos’è successo?»

«Non ne sono sicuro. Forse un tentativo di stupro andato male.»

«L’hanno violentata?»

«Non lo so. Bisognerà aspettare l’autopsia.»

«Povera ragazza.» Martha gli aveva detto che nel corso degli anni le era capitato di avere a che fare con diversi casi di sospetto stupro a bordo – c’erano anche i kit stupro tra le attrezzature mediche – ma, che lei sapesse, nessun caso si era mai concluso con una condanna.

«Cristo. Spero di aver fatto tutto bene. Ram sembrava piuttosto ansioso di sentirmi dire che si era trattato di morte accidentale.»

Martha s’inalberò: «Figuriamoci, l’ultima cosa che vogliono è altra cattiva pubblicità».

«Non sono completamente sicuro di aver fatto tutto quello che avrei dovuto. Non sono certo un patologo né un tecnico della Scientifica.»

«Non buttarti giù.» Martha gli batté su una mano. «Stai andando alla grande. Domani saremo di nuovo in porto.»

«Tu dici? Devo fare rapporto. Il wifi ha ripreso a funzionare?»

«No.»

Cristo. «Niente? E la radio?»

«Morta anche quella.»

«Cosa dice il tecnico informatico?»

«Sono tutti sconcertati», disse Bin.

Sconcertati. Una parola proprio da Bin. «Quindi siamo tagliati fuori dal mondo civile?»

«Per il momento. Ma non temere», disse Martha non troppo convinta. «Risolveranno il problema alla svelta. Vedrai.»

«Lo spero. E la ragazza... bisognerà spostarla nell’obitorio.»

«Ci sarà da divertirsi, con gli ascensori che non funzionano», sospirò Martha. «Possiamo pensarci io e Bin. Sappiamo come fare.»

Jesse le scoccò un sorriso grato. «Nient’altro che devo sapere? Come stanno i due passeggeri che si lamentavano della nausea?»

Bin rispose: «Nessun cambiamento. E sono andato a vedere il presunto ictus...»

«Il cosa? Perché non ne sapevo niente?» Bin trasalì e Jesse alzò la mano. «Scusami, Bin.»

«Non prendertela con Bin, adesso. È colpa mia», intervenne Martha. «Non te l’ho detto perché avevi già troppe cose per le mani. Si tratta di quella medium.»

«Di chi?»

«La medium di bordo. Uno dei gruppi speciali.»

«E...?» chiese a Bin.

«Da quel che ho visto, era ubriaca.»

«Nessun segno FAST?»

«So a cosa fare attenzione, Jesse», disse Bin senza sembrare sulla difensiva. «La faccia non mostrava cedimenti, i riflessi erano regolari, le pupille normoreagenti. Puzzava terribilmente di alcol. Le ho dato un paio di aspirine.»

«Che le saranno di aiuto per il doposbronza», sospirò Martha.

Jesse si passò una mano sulla faccia. «Che cazzo di nottata!»

«Tranquillo, Jesse, te la stai cavando alla grande.»

«Ah, sì?»

«Sì.»

«Grazie.» Non sapeva cos’avrebbe fatto senza Martha. Gli copriva le spalle fin dal primo istante in cui era salito a bordo, gli aveva insegnato con pazienza i trucchi del mestiere, il gergo, le scorciatoie, la cultura di bordo. Bin si era mostrato altrettanto gentile con lui, ma tendeva a mantenersi a una certa distanza, e Jesse si sentiva un po’ intimidito davanti all’etica del lavoro di quell’uomo. Sapeva che entrambi gli infermieri erano incuriositi dai motivi che potevano aver spinto un giovane medico ad abbandonare una fiorente pratica privata per mettersi a lavorare per la Foveros, il livello più infimo dell’industria della crociera, e un paio di volte era stato quasi sul punto di confidarsi con Martha. Di sputare tutta la sua triste storia. Le piaceva bere, ogni tanto, ed era quasi sicuro che non l’avrebbe giudicato. Del resto tutti possono commettere un errore, no? Poteva capitare a chiunque. A volte gli succedeva di fantasticare come sarebbe stato avere una moglie come lei: solida, affidabile, calorosa, divertente, che non giudicava. Però in Irlanda lei aveva già un marito, due figli ormai grandi, e non era proprio il suo tipo (se mai avesse avuto un tipo, ultimamente). Lo incoraggiava di continuo a farsi avanti con qualcuna delle ballerine inglesi o con una delle statuarie slave delle risorse umane. Aveva l’impressione che anche lei avesse avuto due o tre storielle nel corso degli anni: d’altra parte, le avventure occasionali erano una delle gratifiche della vita di bordo.

Ma il sesso era l’ultima cosa che gli passava per la testa. Per il momento gli interessava solo tenersi fuori dai guai. Un passo alla volta. «Meglio che cominci con le scartoffie.»

La porta si spalancò e irruppe una tizia alta e ossuta, con una gran massa di capelli neri. Gli puntò contro il dito. «È lei il dottore?» Prima che potesse risponderle, continuò: «Non gliene importa proprio niente dei suoi passeggeri? Sono almeno due ore che aspetto che venga a visitare il mio capo!»

Senza capire di cosa parlasse, Jesse fece un passo indietro. «Io...»

«Il presunto ictus, dottore», suggerì Bin.

«Si calmi», disse Martha infilandosi tra Jesse e la donna. «Il dottore verrà appena potrà.»

«Appena potrà? Mi prende in giro?»

Si sarebbero ritrovati tutti nella kak, se Bin avesse sbagliato a valutare l’ubriachezza della paziente. Non erano attrezzati per affrontare un’emergenza neurologica – di solito avrebbero chiesto soccorso da terra via radio, per qualcosa di così grave – ma non aveva intenzione di condividere quell’informazione. «Ma certo», disse. «Vengo subito.»

«Be’... bene», disse la donna scostandosi i capelli dalla faccia. Più che bella, un tipo, ricordava un po’ Farouka. Lascia perdere.

Jesse si rivolse a Martha e Bin. «Ve la potete cavare voi con l’altra faccenda?»

Bin annuì.

«Mi può fornire i dettagli della paziente, Ms...?»

«Maddie. Mi chiamo Maddie.» Scoccò un’occhiataccia a Bin. «Quell’infermiere ha già tutti i dettagli.»

Martha mimò uno scusa mentre lui afferrava la borsa e seguiva Maddie fuori dall’infermeria. Lei lo precedeva camminando in fretta e imboccò le scale a tutta velocità, costringendolo a correre per starle dietro. Aveva avuto l’intenzione di frequentare la palestra di bordo, ma non l’aveva mai fatto. Dopo aver finalmente mollato la dieta a base di petidina tendeva a ingrassare; già sentiva la cintura di quei ridicoli calzoni bianchi che gli affondava nella pancetta. Se solo Farouka potesse vedermi adesso. Tornerebbe da me di corsa. Si chiese cosa stesse facendo quella sera. Se la rideva a Kalk Bay, probabilmente. Una festa con gli amici. Coi suoi amici, che prima erano amici di entrambi.

Il suono lontano di un’acclamazione echeggiò attraverso la nave.

«Buon anno», borbottò.

Maddie si fermò in cima alla terza rampa di scale e si voltò a guardarlo. «Lo è?» Aspettò che la raggiungesse ansimando.

«No, in effetti no. È stata una nottataccia. Quanti anni ha la paziente?»

«Celine dice a tutti di averne sessantacinque, ma secondo il suo passaporto ne ha dieci di più.» Gli fece un sorrisetto.

«E la sua storia clinica? Qualche ictus precedente, attacchi di cuore, niente del genere?»

«No. Solo problemi alle anche, così usa spesso una sedia a rotelle per muoversi. È in grado di camminare, ma non per molto.»

«Beve? Fuma?»

«Non le dispiace farsi un goccetto.»

Maddie imboccò la rampa successiva, e lui la seguì lungo il corridoio verso una delle cabine VIP. Lei aprì la porta e lo invitò a entrare con impazienza.

Ad accoglierlo trovò due donne anziane, una magra e l’altra obesa (Zia Stecco e zia Spugna, pensò poco gentilmente), sedute sul bordo del letto, due bicchieri da whisky vuoti in mano. Un’altra donna, presumibilmente la paziente, era seduta su una sedia a rotelle vicino al televisore, gli occhi chiusi.

«Sta bene?» chiese Maddie alle due donne, in ansia.

«Pare di sì», rispose Zia Stecco con uno spiccato accento britannico. Le diede una settantina d’anni, la pelle abbronzata da una vita all’aperto. «Quando se n’è andata lei sembrava inerte, ma adesso parla.»

«Eccome, se parla», disse l’altra donna: americana, più o meno della stessa età. Occhi gentili, la carnagione arrossata da ipertesa. «Ha detto cose davvero strampalate.»

«Per esempio?»

«Per esempio, che non era sicura che funzionasse.»

«Che funzionasse cosa?»

«Non si sa. Non ha aggiunto altro.»

«Celine?» provò a chiamarla Maddie. «C’è qui il dottore.»

«Salve, Celine», disse Jesse. «Vorrei visitarla, per assicurarmi che sia tutto in ordine.»

Celine emise un verso a metà tra un grugnito e una risata. Jesse estrasse la sua penna luminosa e le esaminò le pupille. Normali, tutt’e due. Poi frugò in borsa alla ricerca dello sfigmomanometro e le strinse il bracciale. «Le misuro solo un momento la pressione, Celine.»

«Non c’è bisogno che si rivolga a me come se fossi una ritardata, dottore.»

«Celine! Allora parli!» sbottò Maddie.

Celine ridacchiò. «E perché non dovrei parlare?»

«Eri... per un po’ sembrava avessi perso conoscenza. Ero preoccupata per te.»

«Non c’è niente di cui preoccuparsi.» Agitò le dita in direzione delle due donne più anziane. «Me ne sono stata qui con le mie nuove amiche, vero? Solo noi ragazze, a cercare di conoscerci meglio.»

«Qualche dolore alla testa, senso di debolezza o intorpidimento degli arti, Celine?» chiese Jesse.

«Niente. Tutto in perfetto ordine, dottore.»

Gonfiò il manicotto. «Le dispiace se le faccio solo qualche altra domanda? Cominciamo da qualcosa di facile. Mi può dire il suo nome completo?»

Gli scoccò un ampio sorriso mettendo in mostra i denti. «Celine del Ray, medium per le stelle. E lei come si chiama?»

«Dottor Zimri.»

«Zimri. Strano. Un re di Israele, vero? E di nome, dottore?»

«Jesse.»

«Jesse. Come il bandito?»

«Ja. Mio padre andava pazzo per i western.»

«A quanto pare.»

Sembrava perfettamente lucida. «Mi sa dire che giorno è oggi, Celine?»

«Dipende dal fuso orario in cui siamo, dottore.»

«Chi è il presidente degli Stati Uniti?»

«A che servono tutte queste domande?» Celine si premette le dita sulla fronte. «Aspetti... sento... Qualcuno si sta facendo avanti dall’altra parte. Chi è questa giovane donna che faceva parte della sua vita ed è passata di là? Prova tristezza. Come se si sentisse tradita. E dolore. Dolore fisico.»

Jesse sbatté le palpebre e avvertì la sensazione di un soffio gelido sul collo. «Non credo che...»

«È una medium», spiegò Maddie.

«Vedo la gente morta», disse Celine strizzandogli ostentatamente l’occhio. «Solo che, come dico sempre, la morte non esiste. Non è vero, Maddie?»

Jesse si schiarì la gola. «Avverte per caso qualche dolore alla testa o al collo, Celine?»

La donna ridacchiò. «Senza dolore non si ottiene niente. Sa, dottore, ho sempre sognato di morire con un bel medico di bordo che mi teneva la mano, dopo aver mangiato uva avvelenata.»

La vecchia inglese trattenne il fiato.

«Significa qualcosa, per lei?» le chiese Jesse.

«È una citazione. Blanche DuBois, da Un tram che si chiama desiderio

«Helen le sa proprio tutte, eh?» urlò Celine con un vocione da zio Tom che li fece trasalire tutti. «Signore onnipotente, non sbaglia un colpo!»

«Celine!» Maddie guardò Jesse con aria di scusa.

«Credo sia ora che ce ne andiamo», disse Zia Stecco, Helen. Le due donne si alzarono.

Maddie, che fissava ancora Celine con un miscuglio di sollievo ed esasperazione, le accompagnò alla porta. «Grazie di tutto.»

«Di niente, Maddie», rispose Helen sostenuta. «Buonanotte, Celine.»

Mentre le due donne uscivano, Jesse sentì che Celine borbottava qualcosa tra sé. Somigliava molto a: «Buonanotte, lesbicone». Gli strizzò di nuovo l’occhio. «Allora, dottore, ho passato l’esame?»

«Per adesso. Tornerò a rivederla domani.»

«Fantastico. Non vedo l’ora.» Celine fece segno a Maddie. «Madeleine, potresti prendermi un pettine in bagno?»

«Ma certo.»

Jesse ripose lo sfigmomanometro nella sua custodia. «Direi che siamo a posto. Mi faccia sapere se...»

La mano di Celine scattò ad afferrargli il polso. Lo attirò a sé con forza sorprendente. «Ha fatto il bambino cattivo, vero? È ora di rimettere le cose a posto. Verrà messo alla prova di nuovo, dottore. Verrete messi alla prova tutti. La domanda è: lei supererà l’esame o no?»