IL CUSTODE DEI SEGRETI
Con Ashgar ormai malato e confinato in cabina, Devi era l’unico addetto alla sicurezza presente sul ponte principale, mentre attorno a lui i passeggeri ribollivano di risentimento e paura. La gente distoglieva lo sguardo da lui, oppure lo fissava con aperta ostilità, e gli altri membri dell’equipaggio ricevevano più o meno lo stesso trattamento. C’erano meno inservienti del solito per le pulizie, e sporcizia e rifiuti si stavano accumulando. Alcuni continuavano a lavorare in maniera indefessa, raccogliendo piatti e bicchieri di plastica usati, ma non ricevevano nessun ringraziamento ed erano anzi costretti a rispondere a infinite domande su quando avrebbero riaperto i bar o quando sarebbero arrivati gli elicotteri per prelevare i passeggeri e riportarli a terra. Per fortuna nelle ultime due ore non c’erano stati litigi degni di nota, anche se Devi aveva dovuto richiamare all’ordine un branco di ragazzi – del gruppo dei single con cui aveva parlato dopo la morte della ragazza – sorpreso a fumare marijuana sul ponte di atletica. Diversi passeggeri avevano cominciato a utilizzare la sala giochi dei bambini come bagno di fortuna, e aveva dovuto chiedere ad alcuni di loro di smetterla di orinare dalla fiancata della nave. Ram aveva dato istruzioni d’intervenire solo in caso d’incidenti gravi: in quelle condizioni non potevano rinchiudere i colpevoli in cabina e lasciare un uomo a sorvegliarli.
Passò accanto a un gruppetto di persone accoccolate attorno a un tavolo di plastica, che si tenevano per mano a capo chino, e si diresse verso la zona del buffet. La piscina stava assumendo un malsano colore verdastro, ma ciò non impediva ai passeggeri di continuare a utilizzarla. Nella Jacuzzi (che sarebbe stato meglio chiudere del tutto, in mancanza di energia per far circolare l’acqua) una donna dormiva con la bocca aperta, il reggiseno del bikini scivolato a scoprire un capezzolo scuro. Si svegliò di soprassalto quando l’altoparlante mandò un bip improvviso: «Salve, gente. È Damien, il vostro direttore di crociera, che vi parla. Desidero nuovamente ringraziarvi per la vostra pazienza mentre cerchiamo di risolvere i problemi che ancora ci affliggono. Il comandante farà a breve un nuovo annuncio. Vorrei cogliere l’occasione per ricordarvi di usare ogni volta che potete i disinfettanti per le mani e d’informare il personale di servizio se avvertite qualche problema intestinale. Per tornare ad argomenti più allegri, Keri e Jason, due tra le nostre stelle più luminose, v’insegneranno a ballare la rumba sul palcoscenico del ponte Lido tra pochi minuti, e la fantastica Celine del Ray terrà un altro dei suoi eventi questa sera al Dare to Dream Theatre, aperto a chiunque voglia unirsi a lei».
Mentre faceva il suo giro, Devi si guardava attorno alla ricerca di chiunque potesse corrispondere all’aggressore di Kelly per aspetto e corporatura. Aveva già deciso di passare dall’infermeria, a fine turno, per assicurarsi che non si trattasse dello stesso passeggero che aveva aggredito la steward.
«Ehi! Senta, lei!» Un uomo in cima alle scale che conducevano in basso, al ponte Tranquillity, stava gesticolando verso di lui, come se Devi fosse un servo. Devi sospirò dentro di sé. Uno di quegli americani pieni di sé che sulle navi non mancavano mai. Perennemente irritati se c’era un po’ di coda all’imbarco. Grondanti di falso moralismo. Di quelli che trattavano gli addetti alla sicurezza come se fossero invisibili, a meno che non dovessero aspettare più di cinque minuti per risalire sulla nave dopo le gite a terra.
Devi se la prese comoda per raggiungerlo, approfittando del tragitto per sporgersi oltre il parapetto e controllare il gruppo raccolto sul ponte inferiore. Una cinquantina di persone, con l’aria di essersi organizzate bene, i materassi disposti in file ordinate. Scrutò gli uomini in vista – gli era impossibile vedere chi era al riparo della sporgenza del ponte – ma nessuno si adattava alle caratteristiche dell’aggressore di Kelly.
«Ehi!» gridò di nuovo l’uomo. «Ehi, sto parlando con lei!»
«Posso aiutarla, signore?»
«Certo. Devo vedere il comandante.»
«Signore, non ho l’autorità per ottenere un incontro col comandante.»
«Be’, e allora chi diavolo ce l’ha? Ho pagato dei bei soldi per salire su questa nave, ed è così che ci trattate?»
Devi lasciò che le parole dell’uomo gli passassero sopra. All’estremità opposta del ponte Tranquillity una donna magra con la pelle striata dal sole si stava chinando su un secchio. L’altra donna accanto a lei le strofinava la schiena e la sorreggeva mentre vomitava.
L’uomo finì la sua tiritera. «E allora?»
«Ci sarà presto un annuncio, signore.»
L’uomo gli scoccò un’occhiata disgustata e imprecò tra sé. Devi tornò verso l’area coperta. Alla testa della fila del buffet, un uomo stava protestando a gran voce perché la lattuga era marrone. Senza guardarlo negli occhi, il cameriere continuava a scusarsi in tono inespressivo. Devi si preparò a ritrovarsi coinvolto, ma, con un irritato «Al diavolo», il passeggero lasciò perdere.
La sua radio crepitò, e ne uscì la voce gracchiante di Pran: «Serve assistenza... equipaggio... lavanderia».
Devi aspettò che rispondesse qualcun altro – era riluttante ad abbandonare il ponte principale – ma non sentì altro che silenzio e scariche. Gli toccava andare. S’infilò nel corridoio di servizio accanto alla cucina del buffet e si precipitò verso i ponti dell’equipaggio.
Una ventina di uomini, per la maggior parte indonesiani ma con qualche presenza dell’Est europeo, si stava accalcando e spintonando nel corridoio davanti alla lavanderia. Pran, che cercava di farsi largo tra loro, veniva completamente ignorato, e Devi scorse il dottore ai margini dell’assembramento, che urlava: «Levatevi subito di qui!»
Si sentì sbattere una porta, un grido e poi la folla si ritrasse. Attraverso il varco che si era aperto, Devi scorse due uomini che trascinavano fuori dal magazzino un grosso borsone nero.
Un sacco portasalma.
Pran si fece largo a gomitate per raggiungerlo, un’espressione di sollievo sul viso. «Vogliono gettare in mare il cadavere, Devi. Dicono che è la ragazza morta a infestare la nave.»
Devi aveva visto e sentito la sua parte di superstizioni, in quei mesi di navigazione; la cosa non lo stupiva, ma era infuriato per la mancanza di rispetto nei confronti di quella povera ragazza. Ne aveva già passate abbastanza.
«Ehi!» urlò a pieni polmoni. «Ehi!»
Gli uomini alzarono lo sguardo, alcuni si staccarono dal gruppo cercando di passare inosservati. I due che trascinavano il sacco erano evidentemente i principali istigatori. Diede un’occhiata a quello che gli sembrava il leader, un tizio panciuto di nome Benyamin, come si leggeva sul suo cartellino. «Allontanatevi subito.»
Benyamin borbottò qualcosa e fece segno alla sua banda, ora piuttosto riluttante, di continuare.
«Chiunque tocchi quel sacco verrà immediatamente sbarcato», disse Devi mantenendo un tono basso e autoritario. Minaccia a vuoto, considerata la loro situazione attuale. «Se non desistete, mi assicurerò personalmente che non lavoriate mai più su una nave.»
Diversi uomini abbassarono la testa e sgattaiolarono via. Non potevano rischiare di perdere il lavoro. La maggior parte di loro aveva famiglie numerose da mantenere.
«Non possiamo fermarci!» urlò Benyamin. «È lei che sta facendo tutto questo. Non torneremo mai a terra se lei resta qui!»
«Non è la ragazza. La nave si era già fermata prima che lei morisse. Non è così, dottore?» Devi scoccò un’occhiata d’intesa al dottore, che per fortuna gli resse il gioco.
«Proprio così.»
Alcuni altri uomini si allontanarono.
Devi tentò un’altra tattica: «Come vi sentireste se quella fosse vostra madre, o il corpo di vostra moglie o di vostra sorella?»
«Abbiamo visto tutti. Quello che sta facendo...»
Ma Devi sapeva di avere ormai vinto. Benyamin stava perdendo coraggio. «Finirà tutto molto presto. Se continuate, vi ritroverete senza lavoro. Dovrete tornare dalle vostre famiglie senza niente. Sapete cosa farà l’agenzia. Dovete loro ancora dei soldi?»
«Sì, però... non viene nessuno a soccorrerci.»
«Verranno.»
Benyamin lo fissò risentito per qualche secondo, poi le sue spalle si afflosciarono. Senza una parola si allontanò, e gli altri lo seguirono.
«Grazie», gli disse il dottore. L’infermiere che era con lui – Devi non si era ancora accorto della sua presenza – accennò un inchino per ringraziarlo. «Come possiamo impedire a quella gente di riprovarci?»
«Torneranno, non c’è modo di evitarlo. Non possiamo tenerci una guardia.»
«Perché no?»
«Perché non abbiamo personale.»
Il dottore annuì stancamente. «Andiamo, Bin. Rimettiamola a posto.»
I due presero un’estremità del sacco ciascuno e si avviarono nel magazzino trascinando i piedi.
Pran si stava fissando le scarpe. «Non sono riuscito a gestirla bene, questa storia.» Si pizzicò i baffetti. «Ero in sala di controllo. Ho chiesto aiuto, ma non è venuto nessuno.» Trasalì quando la porta dell’obitorio si chiuse sbattendo.
Il dottore si passò una mano sulla bocca e si avvicinò a Devi. «Senta, abbiamo un altro problema...»
Devi aspettò che continuasse.
«Il paziente che ha aggredito la steward ha lasciato l’infermeria senza essere stato dimesso.»
«Quando?»
«Questa mattina.»
«Dottore, secondo lei... potrebbe essere la stessa persona che ha ucciso la ragazza?»
Il dottore spalancò gli occhi e Devi imprecò dentro di sé. Ram si sarebbe infuriato se avesse scoperto che Devi metteva in giro la voce che c’era un assassino a bordo. Ma si rese anche conto che non gliene importava.
«Quindi siete proprio convinti che sia stata uccisa?»
«Stiamo valutando tutte le possibilità.»
«Gesù.»
«Ho controllato, Devi», intervenne Pran, continuando a tormentarsi i baffetti. «Ho parlato con la moglie del passeggero. Ha detto che è rimasto con lei per tutta la notte.»
«Te l’ha chiesto Ram di farlo?»
Pran si guardò i piedi. «Nossignore. Però il passeggero aveva aggredito la steward, e mi è sembrata una domanda logica da fare.»
Forse Pran non era poi così inutile, dopotutto. «Ottimo lavoro. Buona pensata.» Ma si sapeva che la gente mentiva per proteggere i propri cari. «Tu le credi?»
Pran si strinse nelle spalle. «Credo che stesse dicendo la verità. Sembra convinta che suo marito sia una vittima, in tutta questa storia.»
Devi ci rifletté, poi tornò a rivolgersi al dottore. «Vedrò se riesco a localizzare il passeggero, dottore. Me lo può descrivere?»
«Si chiama Gary Johansson. Sulla quarantina. Bianco. Un po’ sovrappeso. Capelli che si diradano.»
Quella descrizione poteva adattarsi al settanta per cento dei passeggeri maschi a bordo, ma non era neppure troppo diversa da quella dell’uomo che aveva visto nel filmato.
Il dottore ringraziò ancora Devi, poi si avviò verso le scale.
«Pran, quali sono adesso i tuoi ordini?»
«Sarei dovuto smontare, signore, però Madan...»
«Madan?»
«Non è venuto a darmi il cambio.»
«È malato?»
«No... L’ultima volta che l’ho visto era al bar.»
«Andrò a parlarci io. Resta nella sala di controllo finché non arrivo.»
«Sissignore.»
«Bravo.»
E, pensò Devi, poteva far vedere anche a Pran il filmato di quella mattina. L’immagine dell’aggressore della ragazza non era chiara, ma forse Pran sarebbe riuscito a cogliere qualche caratteristica in grado di confermare o escludere la somiglianza col paziente che aveva lasciato l’infermeria.
Devi si diresse verso il bar del personale. Come al solito, all’interno aleggiava la foschia dei vapori delle sigarette elettroniche. Un aiutocameriere era stravaccato vicino al calciobalilla. I dipendenti del casinò e le addette al centro benessere si stringevano attorno a un tavolo, a chiacchierare con aria furtiva. E in un angolo, tutto solo, era seduto Madan, con una barriera di lattine vuote di Heineken a circondarlo.
Gli fece segno di avvicinarsi. «Devi. Devi. Vieni a bere qualcosa.»
«Sai che non bevo, Madan.»
«C’è una prima volta per tutto.»
«Pran dice che dovevi andare a dargli il cambio.»
«Fallo fare ad Ashgar.»
«Ashgar sta male.»
«Anch’io. Sono in piedi da diciotto ore. Mi serve una pausa.»
«Se Ram ti vede qui ti punisce.» No, l’avrebbe licenziato.
Madan rise. «No, non lo farebbe. Sono il suo braccio destro. Lo sai. Abbiamo una storia.» Quello Devi non l’aveva mai saputo. «E poi lui è dal comandante. È sempre dal comandante. Non te ne sei accorto? Il nostro amato e integerrimo comandante...» Madan si sporse di lato per sputare in terra. «Il nostro comandante è paranoico, ha il terrore che i passeggeri possano ammutinarsi e invadere le cucine e gli alloggi dell’equipaggio. Facciano pure. C’è un gran casino quaggiù. E perché mai dovrebbero farlo? A che pro?»
«Vogliono solo avere delle risposte.»
«Non ce ne sono, di risposte. Devo scendere da questa nave, Devi. È una nave sfortunata. Malata.»
«Hanno mandato la barca di appoggio. Presto verrà qualcuno.»
Madan ruttò. «Sei così ingenuo, Devi. È una cosa che mi piace di te. È bello essere così. Io invece non lo sono. Io... Io non lo sono. Sei una brava persona. Hai onore, sei un uomo d’onore.» Ruttò di nuovo e si pulì la bocca col dorso della mano. «Non tornerò al mio posto. ’Fanculo. Credi forse che ci pagheranno lo straordinario per tutto questo macello? ’Fanculo, Devi. Il comandante ci ha fregati, ci ha fatti perdere chissà dove. Potremmo essere ovunque.»
«Il golfo del Messico non è poi così grande...»
«Ma si può venire trascinati dalla corrente del Golfo, Devi, per tutto il suo percorso, e andare a finire...» Agitò la mano. «Finire sai un accidente dove.»
«Non sembra che siamo andati più di tanto alla deriva.»
«Ci siamo andati eccome, caro mio. Ci siamo persi.»
«Impossibile.»
«Come dicevo, siamo fregati. Dai, bevi qualcosa con me.»
«No, Madan, tu devi...»
Madan si sporse per dare una pacca sulla spalla a Devi, mancò il colpo e fece rovinare a terra la pila di lattine vuote. Nessuno alzò la testa per scoprire l’origine del fracasso.
«E stanno succedendo anche altre cose. L’avrai visto pure tu, Devi. Te ne sarai accorto per forza. C’è qualcosa che non va, te lo dico io. Questa nave è infestata», disse di nuovo. Madan non era certo il tipo che Devi avrebbe definito superstizioso. Semmai il contrario. Di rado accennava a questioni che avessero a che fare con la religione o la spiritualità. Navigava su quelle navi da più tempo di tutti loro: sette anni come minimo, e aveva avuto tutto il tempo per sviluppare un bel cinismo. «Devo scendere da questa nave, Devi. E lo farò.»
«Cos’hai visto?»
«Non è stato tanto vederlo quanto sentirlo. L’hanno avvertito tutti.»
La mano che aveva coperto l’obiettivo della videocamera. I marinai convinti che la ragazza morta perseguitasse la nave. I racconti di diversi membri del personale, indonesiani e filippini, sulla Signora in Bianco che fluttuava nelle viscere della nave, tormentando passeggeri ed equipaggio.
Per tutte quelle cose c’era una spiegazione razionale. Doveva esserci.
«Siamo fregati, Devi. Fregati.» Madan rise senza allegria. «E poi c’è la storia dei generatori. Dicono che non ci sono danni particolari. Dicono che apparentemente non c’è motivo per cui le macchine non dovrebbero funzionare.»
«E allora perché la nave è bloccata?»
Madan si sporse verso di lui. «Non lo è.»
Niente di quello che gli diceva sembrava avere un senso. Però, qualsiasi cosa fosse successa ai generatori o alle macchine della nave, andava oltre il suo controllo. Invece scoprire chi aveva ucciso Kelly non lo era.
«Qualcuno ti cerca, Devi.» Si voltò e vide Rogelio vicino all’ingresso del bar. Madan sogghignò e inarcò le sopracciglia. Devi si sentì sprofondare. Lo sapeva. Madan lo sapeva. Che cazzo. Non ci poteva fare niente, se non supplicare Madan di tenere la bocca chiusa.
Devi si affrettò a raggiungere Rogelio prima che potesse fare una scenata. Aveva sperato di non incontrarlo quella sera. Già la mattina Rogelio lo aveva messo alle strette in una delle aree pubbliche, dove chiunque avrebbe potuto vederli, lagnandosi perché non aveva trovato il tempo per andare a trovarlo la sera prima. Ma come avrebbe potuto? Era già tanto se era riuscito a schiacciare un sonnellino nella sua cabina. L’ultima cosa di cui aveva bisogno erano le pretese di Rogelio, ma poteva dare la colpa solo a se stesso. Prima che Rogelio potesse aprir bocca, lo spinse nella sala computer deserta. «Ho da fare, Rogelio. Sono in servizio.»
«Hai tempo per venire al bar, ma non per venire da me?»
«Rogelio, ti prego, non mettertici anche tu.»
«Perché non vuoi parlare con me, Devi?»
«Hai visto com’è la situazione là fuori, Rogelio. I passeggeri hanno bisogno di rassicurazioni.»
«Io ho bisogno di rassicurazioni, Devi. E se non finisse mai? Se dovessimo restare bloccati qui finché non termineremo le provviste e...» Si afflosciò. «Scusa. So di essere insopportabile.» Alzò lo sguardo da sotto la frangia. «Immagino che mi detesti.»
La rabbia che aveva continuato a ribollire in Devi fin da quando aveva trovato il cadavere di Kelly montò di colpo. «Rogelio, cerca di capire, ci sono delle cose che devo fare, e non puoi starmi sempre addosso in questo modo.»
Rogelio sussultò e Devi si preparò a una salva di recriminazioni. Invece gli chiese: «Cos’è che devi fare?»
Devi esitò, e poi si lasciò andare. Non cercò neppure di trattenersi. Gli raccontò di Merinda, la bambina violentata dallo zio, e di come aveva permesso alla famiglia e ai suoi superiori d’insabbiare tutto, pur di salvarsi la pelle. Gli raccontò dell’uomo che aveva visto nel filmato, il mostro che aveva seguito Kelly nella sua cabina. Gli disse del suo terrore che quel mostro se la potesse cavare, che la morte della ragazza finisse sommersa dalla bufera che avrebbero sollevato i media dopo il loro salvataggio.
Rogelio rimase ad ascoltarlo e alla fine si limitò a dire: «Vai. Fa’ quello che devi fare». E poi se ne andò.
Devi tornò al centro di controllo. Si sentiva più leggero, come se si fosse tolto un peso di dosso. Forse si sarebbe dovuto confidare con Rogelio fin dall’inizio. Forse l’aveva sottovalutato. Probabilmente l’aveva sempre considerato vuoto e superficiale come i divertimenti che promuoveva: le serate di karaoke, i balli di gruppo, gli eventi per single. Nient’altro che un bel faccino.
«Devi.»
Alzò gli occhi e vide Ram sulla soglia dell’ufficio, le mani intrecciate dietro la schiena.
«Cosa fa lontano dalla sua postazione, Devi?»
«C’è stato un incidente al magazzino accanto alla lavanderia, signore.» Adesso aveva l’occasione per farsi ascoltare da Ram. «Signore, devo parlare con lei, signore.»
«A che proposito?»
«L’uomo che ha assassinato Kelly Lewis.»
«Non c’è stato nessun assassinio, Devi. L’ho già ripetuto diverse volte. La ragazza ha bevuto troppo.»
«Signore, ho le prove. Il filmato della videocamera...»
Ram non alzò la voce. «Lei è qui per assicurarsi che il comportamento di passeggeri ed equipaggio non ecceda i limiti. Questo è tutto. Gliel’ho già detto una volta. Non tollero insubordinazioni. Sono stato chiaro? Se non si comporta in accordo coi miei ordini, ci saranno delle conseguenze.»
Inutile. Ormai se n’era reso conto. «Sì, sahib.»
«Bene. Spero che ci siamo capiti.»
Devi guardò il suo superiore che si allontanava in direzione del ponte. Ma non si sarebbe arreso, qualunque cosa avesse detto Ram. Non poteva arrendersi.
Quando entrò nell’area di sorveglianza, Pran stava fissando i monitor, e Devi era quasi certo che avesse sentito la conversazione. Pran alzò lo sguardo su di lui. «Devi... c’è... guarda. Schermo sette.»
Devi guardò oltre la spalla di Pran. Il monitor mostrava il corridoio del Cinque.
E le porte di tutte le cabine erano aperte.