IL CONDANNATO

L’oscurità era così completa che non avrebbe saputo dire se aveva gli occhi aperti o chiusi. Inspirò. Annusò. C’era cattivo odore all’inizio, quando il suo amico l’aveva portato lì, ma ci si era abituato in fretta. Per un po’ aveva avuto la nausea, ma adesso era passata anche quella.

Mosse le dita dei piedi, sentendo scricchiolare il materasso bitorzoluto sotto di lui. A volte cigolava. Morbido e in certi punti duro. Doveva contorcersi per mettersi comodo.

Un rumore basso e ribollente. Allungò una mano. Le pareti accoglienti del suo nascondiglio vibravano: che fosse quello ad averlo svegliato? Non si sentiva più il braccio sinistro. Ci si era disteso sopra e si era intorpidito. Piegò le dita, sentì il formicolio della circolazione che riprendeva.

Recitò una preghiera silenziosa di ringraziamento al suo amico che l’aveva portato lì. Un cassone chiuso, per conservarci qualcosa. Ecco cos’era. Doveva essere proprio quello.

Le sue dita trovarono di nuovo la parete. Una pulsazione bassa, come un battito cardiaco. Piano, spinse il chiavistello. Tanto per controllare. Per controllare se si apriva. Era al sicuro lì dentro e non voleva andarsene, ma voleva solo controllare se si apriva nel caso fosse dovuto scappare di nuovo.

Non si muoveva. Ma andava bene così, non era che avesse spinto forte. Cambiò posizione per poter fare più forza, il materasso scricchiolò sotto di lui.

Non è un materasso.

Sstt.

Quello non è un materasso, Gary. Lo sai dove sei.

Sstt!

Spinse di nuovo, stavolta con la spalla. Niente. Il piede. Ecco, poteva dargli un calcio.

Fuorifuorifuorifuorifuorifuorifuorifuori.

Doveva solo...

Il materasso ondeggiò sotto di lui.