IL CUSTODE DEI SEGRETI
Si stava diffondendo. Il panico si stava diffondendo.
Il personale aveva abbandonato il bar accanto alla piscina e un gruppo di passeggeri, uomini e donne, stava scavalcando il bancone, prendendosi a botte, mentre il crescente rollio della nave riusciva a fare ben poco per rallentarli. Un inserviente che spingeva un carrello carico di sacchetti rossi puliti si accorse della confusione, spinse via il carrello e corse verso la porta di servizio più vicina. Due passeggeri cercarono d’imitarlo, ma lui ci arrivò per primo ed ebbe il buon senso di chiudersi a chiave la porta alle spalle. Più avanti, sul ponte Promenade Dreamz, i negozi venivano razziati e un passeggero stava usando la statua di un cherubino per sfondare le porte a vetri della Sandman Lounge. Un altro gruppetto (uno degli uomini aveva un’aria familiare) stava cercando di forzare il portello di servizio dietro il banco del servizio clienti. L’unica oasi di pace era il Dare to Dream Theatre. Le porte erano chiuse, con diverse sagome scure che vi montavano la guardia.
Devi cliccò per tornare alle schermate che mostravano il ponte principale. Una donna coi capelli bagnati che le aderivano alle guance gesticolava freneticamente rivolta alla videocamera, ondeggiando mentre la nave s’inclinava di lato. Era più che evidente che il vento stava rinforzando. Tempeste improvvise erano abbastanza comuni nel golfo, e il maltempo era arrivato senza preavviso. Devi ne sapeva abbastanza da capire che, senza energia per manovrare la nave, un’onda anomala avrebbe potuto rovesciarli come una scatola di fiammiferi. Se il tempo fosse peggiorato, non aveva dubbi che il comandante avrebbe ordinato di abbandonare la nave.
Se voleva trovare la sua preda non gli restava molto tempo.
Cercò di nuovo di chiedere aiuto via radio: «Rispondete, controllo. Rispondete. Pran? Madan? Ram? Rispondete, passo». Tentativo inutile. Non vedeva il suo superiore dalla discussione della sera precedente, Madan si stava ubriacando a morte, Ashgar era ancora malato, e Ram aveva ordinato a Pran di raggiungerlo sul ponte. Pran gli aveva detto che Ram aveva sorpreso un gruppo di passeggeri che si aggirava nell’area dietro il palco riservata al personale, e il comandante aveva allora ordinato che tutte le porte di servizio restassero sigillate.
Non poteva andare sul ponte principale da solo. Sarebbe riuscito a controllare quattro uomini al massimo. L’unica soluzione poteva essere utilizzare l’MRAD, ma avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo aiutasse a tenere a bada i passeggeri mentre raggiungeva l’armadietto in cui era custodito.
Sarebbe stato un suicidio.
E Devi doveva stabilire delle priorità. Gary Johansson doveva trovarsi da qualche parte sulla nave. Il giorno prima gli era sfuggito sul ponte principale, dopo che Pran lo aveva individuato, ma Devi era quasi sicuro che l’aggressore di Kelly e il passeggero violento che era scappato dall’infermeria fossero la stessa persona. Dopo che Pran lo aveva avvisato delle porte aperte nei ponti inferiori, Devi aveva ispezionato le cabine una per una, senza trovare niente di anomalo. Niente mani che coprivano le videocamere, niente Signore in Bianco. E niente assassini o violentatori. Aveva ispezionato due volte le aree comuni, compresi bagni e ripostigli, e quella mattina presto aveva controllato bene i passeggeri rintanati nel Dare to Dream Theatre. Il modo in cui si erano organizzati là dentro l’aveva colpito. L’area era pulita, tranquilla, il cattivo odore ridotto al minimo grazie alle pulizie frequenti.
Cliccò per riesaminare i ponti inferiori. Possibile che Johansson si fosse gettato in mare? Si appoggiò allo schienale e si strofinò le tempie. I generatori non ci avrebbero messo ancora molto a esaurire la poca energia disponibile. Le luci di emergenza presto si sarebbero spente, e anche i monitor.
Non riuscì a trattenere uno sbadiglio: ormai era sveglio da quarantott’ore.
Un respiro contro la sua guancia. Trasalì e si voltò, scoprendo Rogelio in piedi dietro di lui. Non aveva timore che potessero sorprenderli insieme, gli seccava solo essere stato così stupido da appisolarsi; aveva perso del tempo prezioso che avrebbe potuto sfruttare per rintracciare il mostro. «Che ore sono?»
«Devi, ho una cosa da dirti.»
«Aspetta.» Controllò di nuovo gli schermi. Adesso i passeggeri si erano allontanati dal bar per raccogliersi in capannelli vicino all’ingresso del buffet al chiuso, e si sorreggevano a vicenda per resistere al rollio della nave. L’inclinazione stava peggiorando. Devi deglutì. Non poteva permettersi il mal di mare proprio adesso.
Rogelio si aggrappò allo schienale della sedia. «Devi, posso aiutarti.»
«Aiutarmi a fare cosa?»
«A trovare quell’uomo. Quello che stai cercando. Quello che ha ucciso Kelly.»
Uno slancio di speranza. «L’hai visto? Sai dov’è?»
«No. Però ti prego, devi venire nel teatro con me. Lei può aiutarti. Ci ho parlato, e vuole vederti. Dice che sa cosa vuoi, e te lo darà.»
«Di chi stai parlando, Rogelio?»
Il guizzo di un movimento sullo schermo che mostrava l’I-95 catturò la sua attenzione. Tre membri dell’equipaggio lo stavano percorrendo di corsa, reggendosi alle pareti. Indossavano giubbotti di salvataggio: era stata per caso ordinata un’evacuazione? No. Avrebbe sentito l’allarme. Forse erano solo previdenti, anticipando la decisione del comandante.
«Lei ti può aiutare, Devi. Vuoi trovare l’uomo che ha ucciso Kelly, giusto? Lei può aiutarti.»
«Rogelio, va’ al tuo punto di raccolta.»
«Il comandante non ha ordinato...»
«Fallo e basta.»
«Io non ti lascio, Devi.»
«Vai!»
Rogelio trasalì.
Devi addolcì la voce: «Ti raggiungo subito. Prima devo fare una cosa».
«Devi, nel teatro saremo al sicuro. Ti prego, fidati di me, su questo. E Celine può aiutarti.»
Devi ricontrollò gli schermi. Sul ponte di atletica della gente si era azzuffata all’imbocco delle scale, probabilmente per la fretta di entrare. Erano a poppa della nave, e uno spruzzo di acqua si sollevò in un arco.
«Rogelio, dopo vengo a cercarti.»
«Me lo giuri?»
«Te lo giuro.»
Devi fece un altro tentativo con la radio. Niente. Poi passò di nuovo in rassegna i ponti inferiori. Stava zoomando sulla porta della cabina di Kelly Lewis quando lo schermo improvvisamente si spense con un bip. Un secondo dopo le luci si abbassarono e svanirono, lasciandolo al buio. Staccò la torcia dalla cintura. Adesso la nave era decisamente inclinata.
Si alzò con l’intenzione di andare sul ponte di comando, quando un paio di luci si avvicinarono sobbalzando. Indirizzò il fascio della sua torcia in quella direzione e vide Pran e Madan che puntavano verso di lui, ammiccando quando la luce li accecò.
«Devi, che ci fai qui?» chiese Pran. Sembrava agitato, sull’orlo del panico.
«Non avete sentito che vi chiamavo per radio?»
«Devi... dobbiamo uscire di qui. L’equipaggio sta evacuando la nave.»
«Non ho sentito l’allarme.»
Una pausa. «Non... non c’è stato nessun segnale di allarme. Forse non funziona.»
«I passeggeri sono stati avvertiti?»
«Prima c’è una cosa che dobbiamo fare», disse Madan.
«Cosa?»
Madan sorrise ferocemente, si avvicinò al disco di back-up e c’infilò le punte del suo taser. Ci furono un’eruzione di scintille e un crepitio seguito da un sibilo.
Devi si gettò verso Madan. «Ma cosa... perché?»
L’altro gli allontanò il braccio con una manata. «Stiamo per abbandonare la nave, Devi. Ho avuto ordine di farlo.» Non sembrava ubriaco, anzi, pareva assolutamente lucido.
«Chi l’ha ordinato?»
«Ram, ovvio.»
Una fiammata di rabbia. «Non puoi distruggere l’equipaggiamento, Madan, è un reato! E lì sopra c’era la prova che è stato commesso un delitto.»
«L’equipaggio sta lasciando la nave, Devi. Te l’ho detto che dovevo andarmene da questa nave. Credevo l’avessi capito. Senza propulsione non resisterà alla tempesta. Potrebbe affondare da un momento all’altro.»
E allora gli fu tutto chiaro. «Non avete intenzione di evacuare la nave. Ve ne andate e basta.» E, se la nave fosse sopravvissuta alla tempesta e l’avessero prima o poi recuperata, non volevano lasciare in giro le prove di quello che avevano fatto.
«Hai visto anche tu i passeggeri. Hai visto come si comportano. Non potremmo organizzarli in tempo...»
«Non potete farlo, Madan. Non potete abbandonare questa gente.» Guardò Pran, ma il ragazzo aveva girato la testa dall’altra parte.
«I passeggeri possono sempre andarsene, se lo vogliono. Lo sanno anche loro dove sono le scialuppe.»
«Ma non sanno come funzionano!»
«Non possiamo farci niente. Vieni con noi, Devi!»
«Non potete lasciare questa gente sulla nave!»
«Sono una manica di stronzi, Devi. Ci trattano come spazzatura. Che te ne importa?»
«Non vi permetterò di andarvene.» Devi posò una mano sul taser che aveva alla cintura. «Non potete.»
«Devi, non farlo.»
Adesso Devi non vedeva più traccia di Pran. Il ragazzo doveva essere scappato.
«Mi dispiace, Devi», disse una voce alle sue spalle. La voce di Ram. Senza preavviso i muscoli di Devi si contrassero, un dolore lancinante gli sfrigolò lungo ogni nervo. Incapace di controllare il suo stesso corpo cadde, battendo la testa sul pavimento, il panico che gli faceva esplodere scintille luminose dentro la testa. E poi capì. Capì cos’era successo: Ram lo aveva colpito col suo taser. La sua torcia elettrica rotolò lontano da lui mentre la nave s’inclinava.
«Mi dispiace, Devi», disse una voce, non era più in grado di capire se fosse di Ram o di Madan.
Devi cercò di muoversi, lottò disperatamente per parlare. Non fatelo, c’è una cosa che devo fare a tutti i costi. E poi...