CAPITOLO 3

«Purtroppo, il deplorevole livello di violenza perpetrato da Mr Henderson non accenna a diminuire». Il dottor Altringham picchiettò le nocche sul tavolo, come se fosse il coperchio di una bara. Poi si soffiò via dagli occhi la frangia grigia e pesante. Si aggiustò gli occhiali sul naso. «Non mi sento proprio di consigliare il suo rilascio, al momento. Rappresenta un chiaro pericolo per la collettività».

Venti minuti di quella lagna, e ancora non mi ero alzato dalla sedia per zoppicare fino a lui e fargli uscire il cervello dal naso a colpi di bastone. Il che sarebbe dovuto succedere, invece, considerata la mia “pericolosità”. Forse era l’influenza positiva dell’agente Barbara Crawford? Era in piedi alla mia destra, e torreggiava accanto alla sedia di plastica arancione in cui ero sprofondato, con il fitto mazzo di chiavi che portava alla cintura a pochi centimetri dal mio orecchio.

Babs aveva la stazza di un frigorifero, e tatuaggi che le uscivano dalle maniche della camicia e si avvolgevano intorno ai polsi e sul dorso delle grosse mani. Filo spinato e fiamme. “FEDE” scritto sulle nocche di una mano, “SPERO” su quelle dell’altra. I capelli corti erano ritti sul cranio in piccole punte grigie tinte di biondo alle estremità. Molto trendy.

Avevano disposto tutto come al solito, in modo che il grosso tavolo fosse di fronte a una singola sedia al centro della stanza. Io e Babs da un lato, tutti gli altri dalla parte opposta. Due psichiatri; un malandato assistente sociale dagli spessi occhiali quadrati; e la vicedirettrice, vestita come fosse a un funerale. Tutti a parlare di me come se non fossi lì. Sarei potuto restarmene in cella, e risparmiarmi la fatica.

Sapevamo tutti, del resto, come sarebbe finita quella farsa: libertà vigilata negata.

Mi chinai in avanti sulla sedia, con le costole che scricchiolavano dopo il pestaggio del giorno prima. Ogni volta, preciso come un orologio svizzero. L’unica cosa che cambiava era il cast scritturato. O’Neil era stato gambizzato nelle docce quattro mesi prima. Taylor era uscito dopo aver scontato metà della pena. Quindi erano stati altri due bastardi trogloditi ad attaccarmi nei corridoi, per farmi arrivare i “messaggi” di Mrs Kerrigan. E poi altri due la volta dopo.

Qualunque cosa facessi, finivo sempre lì dentro, pieno di lividi e contusioni.

E la libertà mi veniva negata.

Ero riuscito perfino a rintracciare il tipo che aveva sostituito O’Neil. L’avevo beccato da solo in lavanderia. Gli avevo spezzato entrambe le braccia e la gamba sinistra, gli avevo slogato tutte le dita e anche la mandibola. Mrs Kerrigan si era limitata a inviare un altro al suo posto. E in più mi ero guadagnato un pestaggio extra.

Il vicedirettore e gli psichiatri potevano fare tutte le riunioni che volevano, ma l’unico modo in cui sarei uscito da quel carcere sarebbe stato a piedi avanti, in una busta di plastica nera.

Chiusi gli occhi. Lasciai che quella consapevolezza mi bruciasse la mente.

Non sarei mai più uscito di lì.

Il bastone era freddo, tra le dita.

Avrei dovuto uccidere Mrs Kerrigan quando ne avevo avuto la possibilità. Avrei dovuto serrarle le mani sulla gola e strangolarla a morte, con gli occhi fuori dalle orbite, la lingua gonfia e nera e le mani strette intorno alle mie mentre io stringevo e stringevo. Il petto a sollevarsi in cerca di un’aria che non c’era…

Ma no. Non ero stato in grado di farlo, giusto? Dovevo comportarmi da bravo ragazzo. Idiota del cazzo.

E a cosa mi era servito? A farmi finire dietro le sbarre finché non si fosse stancata di me e non mi avesse fatto tagliare la gola. O pugnalare alle reni con una scheggia affilata sul muro di una cella e sporca di merda, per assicurarsi una ferita infetta. Sempre che fossi sopravvissuto alla perdita di sangue.

Niente più stupide riunioni, solo un rapido viaggio in infermeria, e poi all’obitorio.

Perlomeno, non me ne sarei dovuto stare lì ad ascoltare le stronzate di Altringham. Che continuava a ripetere quanto fossi violento e pericoloso…

Passai le dita sul bastone fino a raggiungerne l’impugnatura. Serrai la presa. Raddrizzai le spalle.

Tanto valeva assecondare le sue aspettative e rifargli i connotati. Sarei riuscito a massacrarla per bene, quella faccia da viscido mentitore, prima che potessero allontanarmi da lui. In fondo, non avevo più nulla da perdere. E almeno mi sarei preso la soddisfazione di…

La mano di Babs mi si posò sulla spalla, la voce ridotta a un sussurro appena udibile. «Non ci pensare neanche».

D’accordo.

Tornai a rilassare i muscoli.

La dottoressa Alice McDonald, la psichiatra numero due, sollevò una mano. «Un momento: l’accusa di omicidio si è rivelata infondata». Aveva i capelli ricci e castani riuniti in una coda di cavallo sulla nuca, da cui alcune ciocche leggere erano sfuggite, brillando sotto le luci della stanza. I polsini color lilla della camicia le spuntavano dalle maniche della giacca gessata. «Mr Henderson non ha ucciso suo fratello, le prove contro di lui erano false. È una questione di fatti. Il giudice d’appello…».

«Non sto parlando dell’omicidio del fratello. Sto parlando di questo». Altringham prese un foglio dal tavolo davanti a lui e lo sventolò in aria. «Negli ultimi diciotto mesi, ha attaccato e ferito gravemente diciassette altri detenuti. Ogni volta che è sul punto di farsi rilasciare, aggredisce qualcuno».

«Ne abbiamo già parlato, è…».

«Ieri, ha fratturato il naso di un uomo e lo zigomo di un altro!». Altringham fece di nuovo il gesto di bussare come sul coperchio di una bara. «Le sembrano le azioni di una persona che dovremmo sguinzagliare in mezzo a gente ignara?»

Sì, avevo piazzato un paio di pugni ben assestati, finché non mi avevano messo all’angolo. Ghignando e ridendo, ma lasciandomi mollare qualche altro pugno, così che la loro denuncia sembrasse più realistica. Ma cosa avrei dovuto fare, lasciarmi pestare senza reagire?

Anche dopo tutto quel tempo…

Alice scosse la testa. «Non è certo colpa di Mr Henderson, se continuano ad aggredirlo. Se il carcere si premurasse di gestire meglio le interazioni tra i detenuti, forse non dovrebbe passare tutto il tempo a difendersi».

La vicedirettrice strinse gli occhi. «Non sono disposta ad ascoltare alcuna insinuazione sul fatto che questa istituzione non stia facendo il suo dovere riguardo alla sicurezza dei detenuti».

Altringham esalò un profondo sospiro. «Nessuno è al sicuro, se c’è di mezzo Mr Henderson. È patologicamente incapace di…».

«Non è affatto così, è chiaro che nelle aggressioni nei confronti di Mr Henderson si possa osservare uno schema volto a…».

«Sì, e quello schema è la sua personalità autodistruttiva! Non è altro che una semplice necessità di autolesionismo dovuto al senso di colpa del sopravvissuto. Non c’è nessuna cospirazione, è semplice psicologia, e se fosse capace di vedere oltre i pregiudizi che ha nei confronti di questo caso, lo capirebbe anche lei».

Alice puntò un dito contro la spalla di Altringham. «Mi scusi? Sta per caso insinuando che sono incapace di…».

La vicedirettrice sbatté sul tavolo la cartellina che aveva in mano. «D’accordo, basta così!». Fulminò Alice con lo sguardo, per poi fare lo stesso con Altringham. «Siamo qui per parlare della libertà vigilata di Mr Henderson, o della necessità di prorogarne la detenzione, in modo professionale. Non per litigare e beccarci come ragazzini. Quindi, procediamo». Sollevò una mano. «Dottoressa McDonald, ha il suo rapporto?».

Alice prese il primo foglio dalla cartellina di pelle che aveva di fronte e glielo passò.

La vicedirettrice lo guardò aggrottando la fronte per un po’, poi lo girò e fece lo stesso anche per il retro. Infine, lo posò sul tavolo. «Dottor Altringham?».

L’uomo le passò il rapporto e lei osservò anche quello per un po’, altrettanto accigliata.

L’agente Babs si chinò appena su di me, la voce sempre ridotta a un sussurro. «Come va l’artrite?».

Mossi le dita della mano sinistra, le cui nocche erano gonfie e livide per aver spaccato uno zigomo all’ex ispettore Graham Lumley. «Vale la pena di averla».

«Continuo a dirtelo: usa i gomiti, o colpisci solo le parti molli».

«Sì, be’…».

Il vicedirettore posò il rapporto di Altringham su quello di Alice, poi si raddrizzò. «Mr Henderson, dopo un’attenta considerazione…»

«Non si disturbi». Scivolai più giù nella mia sedia di plastica. «Sappiamo tutti come andrà a finire, quindi perché non passiamo direttamente al momento in cui mi rimanda in cella?»

«Dopo un’attenta considerazione, Mr Henderson, e dopo aver riesaminato a fondo tutte le prove e le analisi degli esperti, è mia convinzione che il suo continuo utilizzo della violenza renda necessaria la sua detenzione in questo penitenziario finché non si potrà fare piena luce sugli eventi di ieri».

La solita storia, insomma.

Sarei rimasto bloccato lì dentro finché Mrs Kerrigan non si fosse stancata di me e mi avesse fatto uccidere.