CAPITOLO 50

Alice mi posò una mano sulla spalla. «Ash, ti senti bene? Hai la faccia di chi vorrebbe strangolare qualcuno…».

Già.

Lasciai andare il mouse. Aprii e chiusi le dita un paio di volte, respirando profondamente. «Sto bene».

Video successivo. Quattro ragazzi con il fisico da giocatori di rugby, con le canottiere della Oldcastle University, che divorano un mucchio di pasticci di pasta, con tanto di contatore digitale alle spalle. Quello con la fronte più alta vince, sollevando i pugni sopra la testa ed esultando sugli altri tre con un gran sorriso pieno di sugo.

«Okay, mi disconnetto. Ho altro da fare». Nella sua finestra, Sabir puntò un dito grassoccio verso l’inquadratura. «Alice, fai un salto a Londra e ti farò vedere come gestiamo i casi di omicidio nel mondo civile. E, Ash… riprenditi, eh? Goditi una notte di sonno. La tua crociata sarà ancora lì, domattina». Accennò un saluto. «Sabir, Signore della Tecnologia, passo e chiudo». E la finestra si oscurò. Chiusi la videochiamata e la finestra.

Alice mi passò le braccia intorno alle spalle e le strinse, baciandomi in cima alla testa. «Ha ragione. Devi cercare di rilassarti».

«E come?». Tirai fuori il cellulare. Lo posai sul tavolo. Lo ripresi. «Vorrei chiamare Wee Free, assicurarmi che Shifty stia bene. Ma se lo faccio, non farò altro che stuzzicarlo, no? E ricordargli che non ho ancora trovato sua figlia».

«Stai facendo tutto ciò che puoi».

«Davvero?».

«…cinque, quattro, tre, due, uno, zero!». Il gruppo di infermiere strilla e applaude, saltellando su e giù, mentre Ruth solleva le braccia in aria. Sorridendo. La bandiera “TRASFORMIAMO LE MIGLIA IN SORRISI!!!” sventola dietro di lei.

E il video finisce.

Di sotto, la musica era sempre più alta.

Cliccai di nuovo il pulsante di riproduzione del filmato.

Mi chinai in avanti, fissando lo schermo, osservando le facce nella folla alle spalle delle infermiere. Nessuno di quei volti mi sembrava familiare. A parte quelli di Ruth e delle sue amiche. Ma c’era qualcosa

Cosa?

Era soltanto il video di una donna che pedalava su una cyclette in nome di un’amica. Del tutto ignara che anche la sua vita stava per andare in rovina.

Sentii dei passi sui gradini della scala a chiocciola, poi la porta dell’appartamento si aprì e Rhona si fermò ondeggiando, un sorriso enorme sul volto e il respiro affannoso. Una bottiglia di champagne stretta in mano. «Capo? L’abbiamo beccato! Abbiamo beccato quel bastardo!»

Sullo schermo, Ruth pedala, con le ginocchia che si muovono su e giù, il sudore che scurisce il tessuto della maglietta. I volti sullo sfondo sorridono, la incitano, chiacchierano tra loro. La musica del palco principale si sente appena in sottofondo, oltre le voci che contano alla rovescia…

Mi raddrizzai. «Cosa? Docherty?»

Rhona sbatté la bottiglia di champagne sul tavolo, accanto al portatile. «Aveva ragione, capo!».

«…quattro, tre, due, uno, zero!». Ruth solleva le braccia in aria. Trasformando le miglia in sorrisi.

Grazie a Dio. «Erano al complesso delle case mobili?».

Lei aggrottò la fronte. «Cosa? No… abbiamo controllato la sua targa con il Sistema di Riconoscimento Automatico delle Targhe, come aveva suggerito, e indovini un po’? Una Volvo blu scura intestata al dottor Frederic Docherty ha lasciato i confini della città, diretta a nord, alle 10.03 di ieri sera».

«E lui…».

«Allora ho chiamato i colleghi di Aberdeen e di Dundee, dicendo loro di riprendere i filmati e il Riconoscimento Automatico delle Targhe dalle dieci e mezzo in poi». Rhona si mise a camminare avanti e indietro sul pavimento di legno, passandosi le dita tra i capelli lisci. «È arrivato ad Aberdeen alle dieci e mezzo. E indovini un po’? Sono riuscita a farmi mandare tutti i crimini denunciati in città quella notte. Qualche rissa, un paio di effrazioni, due denunce per molestie sessuali, una per atti osceni in luogo pubblico e…». Prese un foglio dalla tasca e me lo porse. «Ta-da!».

Si trattava di un rapporto di un incidente avvenuto alle quattro e mezzo del mattino. Qualcuno aveva trovato una donna mezza nuda, morta e coperta di sangue, poco oltre Midstocket Road. Quando l’autopattuglia era giunta sul posto, gli agenti avevano scoperto che non era affatto morta, soltanto sedata. E il “sangue” era finto. Quindi avevano chiamato un’ambulanza e l’avevano fatta portare al più vicino pronto soccorso.

Alice fece capolino in cima alle scale, con il bicchiere di whisky stretto al petto. «Ash? Che succede?».

Rhona si leccò le labbra e sollevò le sopracciglia. «E vuole sapere la parte migliore?». Tirò fuori qualcos’altro, la stampa di una foto sgranata. «L’uomo che ha chiamato la polizia ha scattato una foto con il cellulare. Le sembra familiare?».

Nello scatto, c’era una giovane donna distesa sulla schiena, in una buca. La pelle chiara sembrava brillare, in mezzo all’intimo nero. Il sangue finto, di un rosso scuro, le copriva il ventre, scivolando in rivoli ai lati dell’addome. Le braccia erano allungate sopra la testa, una gamba allargata di lato. La stessa posa di Holly Drummond.

La passai ad Alice. «Sta rimettendo in scena gli omicidi».

Lei prese la foto e aggrottò la fronte. «Perché mai dovrebbe…».

«E il colpo di grazia?». Un ghigno illuminò il volto di Rhona. «Hanno fatto un esame tossicologico alla vittima. E sono stati velocissimi, perché abbiamo detto loro esattamente quello che dovevano cercare».

«Tiopental sodico?»

«Tiopental sodico».

Alice mi restituì la foto. «Perché riprodurre i suoi stessi omicidi? Non sta cercando di ucciderle, le sta…».

«Non è fantastico?». Rhona allargò le braccia. «L’abbiamo incastrato. E scommetto che non è l’unica. Ho fatto diramare l’appello a tutto il paese, per scoprire se ha assalito anche altre donne».

Mi appoggiai allo schienale della sedia. Era come se qualcosa che mi premeva sul petto da una settimana si fosse improvvisamente… «No». Mi piegai in avanti, passandomi le mani sul viso. «Bastardo!».

«Capo?»

«Arrgh…».

«Ash, ti senti bene?».

Lasciai cadere le mani. «Ha lasciato Oldcastle poco dopo le dieci. Quando è tornato?».

Rhona aggrottò la fronte, poi controllò gli appunti sul suo taccuino. «Alle quattro meno dieci. Capo, non…».

«Laura Strachan è scomparsa tra le undici e le tre di ieri notte. Se lui era ad Aberdeen a drogare e spogliare una donna, non era certo qui a rapire Laura Strachan e Ruth Laughlin». Sbattei le mani contro il tavolo, facendo vibrare il portatile. «DANNAZIONE!».

Rhona fece una smorfia, stringendo i pugni. «Non è stato lui a rapirle». Colpì l’altra sedia con un calcio, facendola rovesciare all’indietro. «Lo avevamo in pugno!».

Ci fu una pausa, poi Alice prese a giocherellare con i capelli. «Ha un complice, ecco come fa a molestare le donne ad Aberdeen e a rapire Ruth e Laura nella stessa notte. Qualcuno lavora con lui…». Aggrottò le sopracciglia, una ruga profonda che si formava tra loro. «Qualcuno che può controllare e manipolare, una persona convinta che siano uniti, speciali e innamorati, quando in realtà lui la manipola e la usa… Una persona di qui».

Alice uscì dalla stanza, poi si sentirono i suoi passi giù per la scala. Tornò due minuti dopo con la borsa. Ne rovesciò il contenuto accanto al portatile, prese la cartina e la aprì. Era quella che aveva coperto di cerchi rossi, corrispondenti ai luoghi del ritrovamento delle vittime. «Pensatelo come un diagramma di Venn, in cui i cerchi rappresentano un viaggio di un quarto d’ora, e dove si intersecano avremo…».

«Ma è sbagliato». Rhona puntò l’indice poco sotto Cowskillin e lo fece scivolare fino all’autostrada. «Lui le abbandona di notte, o nelle primissime ore del mattino, quando le strade sono vuote. Si può arrivare dall’altra parte della città in cinque minuti, alle due del mattino».

Le spalle di Alice si afflosciarono. «Oh».

Rhona prese una penna da una tasca interna della giacca e tracciò una “X” sopra al Castle Hill Infirmary. Poi un’altra su Blackwall Hill. «Qui c’è una clinica privata. E qui c’è il vecchio ospedale della seconda guerra mondiale…». Un’altra X” fu tracciata sui Bellows. «E c’è un vecchio manicomio vittoriano su Albert Road». Schioccò le dita verso di me, mostrandomi le unghie rosicchiate. «Capo, dove altro? Qualunque altro posto dove potrebbero esserci strutture operatorie».

«I medici generici con gli studi più grandi possono occuparsi di piccoli interventi».

«Giusto». Tracciò altri segni.

Probabilmente era del tutto inutile, ma cos’altro avevamo? Quello, e un paio di file audio appena udibili.

La porta si aprì di nuovo, e Huntly si fermò sulla soglia, raddrizzandosi la cravatta. Un gin tonic in mano. Quando parlò, le parole erano un po’ impastate, ma non abbastanza da definirlo del tutto ubriaco. «Allora era qui che vi eravate rintanati, eh?».

Alzai al massimo il volume delle casse del portatile e riprodussi il primo file audio. Ecco la suoneria: distorta, metallica e, secondo Sabir, disponibile su milioni di cellulari. Era ripetitiva, saliva e scendeva, ma la qualità dell’audio era troppo bassa per poterla riconoscere.

Huntly si chinò su Rhona e Alice per dare un’occhiata alla cartina. «Sua Altezza Reale Bear mi ha mandato a chiamarvi tutti. Signore e signori, la cena è servita». Poi mi guardò. «O, per quelli di voi un po’ meno raffinati: è l’ora del rancio».

Sale operatorie e una suoneria.

Avviai il file M-Jordan.wav e lo ascoltai di nuovo. L’audio sibilò e crepitò nella sua finestra, accanto al filmato che stavo guardando. Bloccato sull’immagine finale: Ruth Laughlin con le braccia sollevate in aria. Trasformando le miglia in sorrisi.

Perché quel filmato? Perché continuavo a guardarlo? Cosa aveva di strano?

Huntly aggirò il portatile e cominciò a gesticolare con le mani come se volesse cacciarci via. «Avanti, non vorrete che le pizze si raffreddino, giusto?».

Riavviai il file audio. Sibili. Schiocchi. Una vaga melodia, così lontana da risultare quasi inudibile.

Huntly tirò su con il naso. Poi prese il mio taccuino. Era aperto sull’ultima pagina, dove avevo appuntato qualche nota mentre parlavo con Sabir. «Non sapevo che ti intendessi di arte campanaria, Henderson».

Me lo ripresi. «Cosa avevo detto sul fatto di non fare il coglione?»

«Intelligente sarcasmo, ricordi?». Indicò il taccuino. «Cambridge Quarters».

«Non hai qualcun altro da importunare?»

«Eccoti un’interessante curiosità. Sapevi che il Big Ben suona una variante che viene chiamata Westminster Quarters? Quattro rintocchi di quattro note per marcare ogni quarto d’ora. Da qui viene il nome».

Ruth Laughlin immortalata in un istante della sua vita. Le braccia sollevate in un gesto di trionfo. L’orario bloccato nell’angolo della finestra: “14:13:42”. Un gruppo di infermiere che la acclama. Una serie di volti felici alle sue spalle…

Oh. Merda.

Huntly incrociò le braccia e sorrise al soffitto pieno di macchie di umidità. «Ricordo che una volta ho dovuto controllare duecento mini Big Ben. Un intraprendente gruppo di uomini d’affari di Manchester aveva mischiato eroina e gesso, mettendoci pure della polvere di caffè per mascherare l’odore».

Quattro rintocchi di quattro note.

Non era una suoneria.

Spinsi indietro la sedia e mi alzai in piedi. Afferrai il bastone. «Chiamate Jacobson. Subito».

Alice mi tirò per la manica. «Che succede?»

«So dove sono».