CAPITOLO 24

«Grazie per aver organizzato tutto». Alice girò la chiave nel quadro.

Seduto sul retro, mi strinsi nelle spalle, prima di cancellare il messaggio di Shifty che mi diceva di non dimenticare le birre. «Ruth merita qualcosa di meglio di quello che ha avuto dalla vita». Una carriera promettente fatta a pezzi da un figlio di puttana con un bisturi, una sala operatoria privata e l’ossessione di torturare povere infermiere.

I tergicristalli cigolavano avanti e indietro in lenti archi, ripulendo il parabrezza dalla pioggia. La porta del numero tredici si aprì, proiettando sul vialetto un cono di luce calda. Ruth e Laura si abbracciarono, con un contatto fisico che sembrò impacciato e strano, nel tentativo di gestire il ventre prominente della donna incinta. Poi le sentimmo ridere. Si scambiarono un bacio sulla guancia, e Ruth venne verso la macchina, fermandosi due volte a guardarsi alle spalle.

Alice mi sorrise dallo specchietto retrovisore. «E se la gente scoprisse che non sei il vecchio musone pericoloso che fingi di essere?»

«Un po’ di rispetto, avanti».

Ruth aprì lo sportello dal lato del passeggero ed entrò in macchina. Si asciugò le guance bagnate di lacrime. «Grazie».

Alice si allontanò dal marciapiede, passando accanto a Camburn Woods e tornando verso Cowskillin, mentre Ruth raccontava quanto fosse stato bello rivedere Laura, e che erano di nuovo amiche, e quanto fosse meravigliosa la sua gravidanza, e che in fondo c’era speranza per tutti, ed era fantastico…

Sentii vibrare il cellulare mentre affrontavamo la rotonda della Doyle. Era il professor Huntly.

«Che c’è?»

«Ah, Mr Henderson, pensi di graziarci della tua presenza, stasera, al Postman’s Head?».

«Che diavolo vuoi, Huntly?»

«Insomma, è tradizione della squadra riunirsi alla fine della giornata per parlare di quanto accaduto. È così che ci teniamo aggiornati tra noi, di solito».

Fantastico… almeno un altro paio d’ore a sorbirsi le chiacchiere di tutti gli altri riguardo a quanto poco fossero riusciti a ottenere durante la giornata. Perfetto.

E non potevo sottrarmi a quella tortura… vero?

Be’, potevo almeno provarci.

«Jacobson è lì?»

«Un attimo».

Lo stadio sfilò alla nostra destra. Scuro e cupo. Qualcuno aveva appeso un paio di lenzuoli alla struttura metallica esterna. “RIDATECI IL WARRIES!” e “SUPPORTATE IL CALCIO, NON I TAGLI!”, vi si leggeva sopra in grosse lettere di vernice rossa. Dovevano essere rimasti lì da un po’: il tessuto era sporco e strappato, rovinato ai bordi dal vento e dalle intemperie.

Ruth guardò fuori dal finestrino, un gran sorriso dipinto sul volto.

Jacobson rispose al telefono, dando l’idea di essere molto impegnato a masticare qualcosa. «Ash?»

«Riguardo a questa riunione della squadra… potrei evitarmela? Mi sono beccato una fucilata di sale nelle costole da Wee Free, e ogni volta che inspiro è come se mi dessero una coltellata. Devo tornare a casa e ficcarmi nella vasca da bagno, prima di crollare del tutto».

«Ti ha sparato?»

«No, in realtà è stata Babs. Ma è successo perché i cani di Wee Free stavano cercando di strapparmi via la giugulare a morsi».

«Capisco…». Un sospiro. «Be’, sei appena tornato dal fronte, in un certo senso, faremo a meno della tua presenza».

«Mi spiace». Era bene mostrargli un briciolo di buona volontà. Per non dargli la possibilità di sbattermi di nuovo in carcere. «Comunque, vuole aggiornarmi? Farmi sapere a che punto siamo?».

La voce di Jacobson si riempì di echi, come se si fosse allontanato dal cellulare. «Bernard? Aggiorna Mr Henderson. Non verrà qui, stasera».

Si udì un tonfo e Huntly tornò al telefono. «Bene, mentre tu te ne andavi in giro, io, come sempre, sono stato un vero genio. Quella siringa che ho trovato conteneva del abetalolo cloridrato, un beta-bloccante spesso usato per trattare l’ipertensione nelle donne incinte. Abbassa la pressione sanguigna. Proprio quello che serve se hai in mente di tagliare la pancia a qualcuno, ma non vuoi che muoia dissanguato. E di solito non lo compri in farmacia».

Lui aveva trovato la siringa?

«Cosa dice Constantine riguardo all’autopsia?»

«Potrei darti tutti i dettagli medici, ma dubito che li capiresti, quindi proverò con la versione semplificata. Claire…».

«Pensi che non ti prenderò a calci nel culo, vero? Io e te faremo due chiacchiere, domattina presto, pomposo di un coglione». Solo perché dovevo trattenermi con Jacobson, non significava che tutti gli altri potessero approfittarsene.

«Uhm, mi sa che ho commesso un piccolo errore di valutazione riguardo al tuo senso dell’umorismo».

«L’autopsia».

«Sheila dice che Claire ha quattro costole rotte e contusioni coerenti con un prolungato tentativo di massaggio cardiaco: Tim non voleva davvero che se ne andasse. Il suo ultimo pasto è stato un cheeseburger con patatine fritte al bacon e sottaceto e qualcosa come chips di mais. E una fetta di torta al cioccolato, il tutto consumato sedici ore prima della morte».

Il campanile della First National Celtic Church si sollevava sui tetti delle case circostanti, graffiando il cielo di un arancione acceso. Ruth si strinse le braccia intorno al busto ed emise un profondo sospiro, come se avesse trattenuto qualcosa per anni, e finalmente lo stesse lasciando andare.

Tutto quel dolore e quella sofferenza…

Mi accigliai, fissando il mio riflesso. «Chi diavolo è Tim?»

«Ora lo chiamiamo così. T.I.M., The Inside Man. Tim. Sedici ore probabilmente vuol dire che aspetta che il cibo lasci lo stomaco della vittima, in modo che non possa soffocare in caso di vomito quando è sotto anestetico».

Un cheeseburger con patatine fritte al bacon. Non era difficile capire da dove fosse venuto quel suo ultimo pasto. Una chicca da tenermi in tasca finché non avessi avuto bisogno di dare un contentino a Jacobson. Guardi, sovrintendente detective, ho lavorato, dopotutto, non ho soltanto ammazzato il tempo, mentre aspettavo di fare lo stesso con Mrs Kerrigan.

«Sheila ha anche comparato i punti di sutura di Claire Young con quelli della giovane donna che avevano ancora all’obitorio».

«Natalie May».

«Secondo lei, sono abbastanza simili da far pensare che siano stati fatti dalla stessa persona. L’unica differenza è che i nuovi sono più rozzi e irregolari di quelli di Natalie. Pensa che chiunque abbia fatto quella sutura sia un po’ arrugginito. E nonostante Sheila sia per me peggio di una pustola purulenta, devo comunque ammettere che è un’ottima patologa». Si schiarì la gola. «Però non riferirglielo mai, siamo intesi?».

Non c’era nessuno per strada, solo macchine parcheggiate e finestre vuote. «E le telecamere di sorveglianza?»

«Bear ha fatto in modo di recuperare tutte le registrazioni sul percorso che Jessica McFee faceva di solito per andare al lavoro. Cooper è a metà del controllo. Finora, non ha fatto che lamentarsene. Quel ragazzo è piuttosto inutile».

«Be’, digli di svegliarsi. Non siamo all’asilo. E assicurati che Jacobson faccia fare un controllo a Sabir nell’HOLMES».

«A proposito di inutilità, davvero hai chiesto a Bear di scoprire se all’ospedale hanno fatto controlli per capire se il nostro uomo avesse stuprato le precedenti vittime?».

Alice si accostò al marciapiede di First Church Road, rallentando per permettere a un pastore tedesco apparentemente randagio di attraversare la strada, con la coda bassa mentre spariva tra due auto parcheggiate.

«Non voglio essere un guastafeste, Henderson, ma anche solo poche basilari conoscenze di biologia dovrebbero suggerirti che lo sperma non rimane a lungo nel corpo femminile. Quelle donne sono state rapite da tre a cinque giorni prima dell’abbandono, e sono state lavate, e il punto dell’incisione è stato disinfettato con clorexidina prima dell’operazione. Quindi non credo si otterrebbe molto da un controllo di quel tipo, a meno che tu non stia suggerendo che quell’uomo dopo essersi premurato di sterilizzare tutto e aver praticato un’operazione chirurgica di quella portata, salti addosso alle vittime per un’ultima sveltina prima di chiamare l’ambulanza».

Huntly poteva essere uno stronzo, ma aveva ragione.

Certo, questo non significava che non stesse cercando di guadagnarsi a tutti i costi un pugno in faccia.

Alice si fermò davanti alla casa di Ruth. «Eccoci arrivati».

Ruth si girò, sporgendosi tra i due sedili anteriori, e la abbracciò stretta. «Grazie davvero».

«Henderson?»

«E un controllo per trovare eventuali peli pubici dell’aggressore?»

«Ah, questa è una possibilità».

Ruth si girò sul sedile e mi rivolse un cenno di saluto. «È come… come se nella mia vita fosse tornata finalmente la luce. È stato buio per così tanto tempo…». Si allungò e mi posò una mano sul ginocchio. «Grazie, che Dio la benedica».

«Sono lieto che siamo stati un minimo d’aiuto».

«L’unico problema è che non hanno fatto controlli. Ho verificato con lo staff dell’ospedale: erano troppo occupati a cercare di salvarle».

Ruth sbatté le palpebre. Si posò una mano sul petto, come se stesse spingendo il cuore al suo posto. Poi annuì e uscì dalla macchina.

«Ovviamente, se fossimo in un mondo perfetto, potremmo almeno controllare i cadaveri. Ma Sheila mi ha detto che due sono stati cremati, uno è scomparso e, a giudicare dalle fotografie dell’autopsia, si direbbe che Natalie May apprezzasse… come dire… una rasatura pubica alla Yul Brynner?».

Rovesciai il sedile del passeggero per poter scivolare sul davanti. «E Claire Young?»

«Ah, sì, una donna dal monte di Venere folto e lussureggiante. Un momento». Un pigolio, e il telefono tacque.

Ruth si fermò sulla soglia, girandosi a salutarci prima di entrare.

Non appena la porta si richiuse, Alice fece un’inversione in tre tempi. «Dobbiamo prendere del vino e qualche birra, oppure pensi sia meglio solo la birra? Forse entrambi, insomma, meglio andare sul sicuro, e…».

«Okay, okay: compreremo del vino».

«Pronto? Sei ancora lì? Sheila dice che il patologo dell’Operazione Balsamo di Tigre ha controllato. Ma, nel caso fosse un idiota, ha rifatto i controlli anche lei, e ha inviato i campioni insieme a quelli di sangue e tessuti. Dovremmo saperne qualcosa tra qualche giorno. Nel frattempo, posso chiederle di scatenarsi sulle vecchie autopsie».

Perché non funzionava come nei telefilm, dove le risposte delle analisi di laboratorio arrivavano dopo massimo un quarto d’ora? «Okay, fammi sapere quando arrivano». Attaccai, prima che potesse dire qualcos’altro e aggravasse ulteriormente la sua situazione.

L’insegna al neon ronzava e lampeggiava sopra un desolato registratore di cassa, mentre la pioggia batteva sulla vetrina del negozio di alcolici. Bottiglie di liquori dai colori improbabili e di alcolici a prezzi stracciati se ne stavano allineate in scaffali protetti da grate di metallo lungo la parete, a riempire lo spazio di tre metri tra l’ingresso e il corto bancone nero che divideva in due il negozio. Dietro di esso, whisky, vino, vodka e birra erano tenuti lontani dalle mani della gente del posto.

Alice aprì la borsa e tirò fuori le lettere dell’Inside Man, posandole accanto alla cassa. «Intanto che aspettiamo». Poi prese anche l’evidenziatore giallo.

Tracciò una linea fluorescente sopra qualche centimetro di scrittura confusa.

Voltai le spalle al bancone e mi ci appoggiai contro. «Henry pensava che si facesse chiamare “Inside Man” per via del fatto che cuciva cose dentro alle infermiere. Ma se non fosse così? Se fosse perché invece è un “insider”?»

«Mmm?». Altre strisce di un giallo accecante.

«Se fosse uno di noi?»

«Mmmmm…».

«Voglio dire, se fosse letteralmente un insider: uno che riesce a confondere le acque, che falsifica le prove, che seppellisce la verità in modo che non possiamo prenderlo?».

«Uhmm…». Un sospiro. Fece tamburellare l’estremità di plastica dell’evidenziatore contro la carta. «Senti qua: “Il suo respiro rotto dal panico mi fa cantare i nervi. Un coro di potere e controllo…”». Strinse gli occhi. «O almeno credo che ci sia scritto “rotto dal panico”. Potrebbe essere qualsiasi cosa».

«Che ne pensi?».

Lei aggrottò la fronte. «Non lo so».

Mio dio, una risposta di tre parole. Era la prima volta che succedeva.

Passò sulla carta un’altra linea di evidenziatore. «Non ti sembra un po’ prolisso, come se chiunque l’abbia scritto stesse cercando di far sembrare tutto interessante, quasi fosse un brano di un romanzo? Tutte queste frasi ricercate, il “respiro rotto dal panico”, il “coro di potere”, i “nervi che cantano”…».

«Allora è un pazzo pretenzioso con velleità letterarie».

«Uhmmm…». L’evidenziatore mise in risalto un’altra frase, poi Alice sporse la punta della lingua tra i denti. «Hai mai letto le lettere di Jack lo Squartatore? Alcune sono dei falsi, ma la “Caro Boss” e quella “Dall’Inferno” sono le più plausibili».

Non c’era ancora traccia di quell’inutile bastardo del negozio. La porta sul retro era e restava chiusa. «Ci sta mettendo un secolo».

«La lettera “Dall’Inferno” dice: “Mr Lusk, Signore, vi invio metà del rene preso da una donne l’o tenuto per voi un pezzo l’o fritto e mangiato era molto bono”, sì, bono, “posso mandarvi il coltelo insanguinato che l’ha strappato, se aspetate di piu firmato Prendimi quando ci riesci, Mishter Liusk”. Il tutto senza punteggiatura: né virgole, né apostrofi, né punti».

«Dannazione». Battei il bastone contro il bancone, alzando la voce. «Ci sei cascato in quel cesso e sei affogato, o cosa?».

Nessuna risposta dalla porta chiusa.

Alice prese la sua penna rossa e circondò un paio di avverbi già evidenziati. «Comunque, la scrittura della lettera “Dall’Inferno” non è affatto come quelle di “Caro Boss”. Nessuna ha la punteggiatura, ma la “Caro Boss” è molto più ordinata e la sillabazione è migliore. Molte persone pensano che la “Caro Boss” sia genuina, perché descrive eventi che soltanto Jack (o qualcuno che seguiva le indagini) avrebbe potuto conoscere. Tuttavia, insieme alla lettera “Dall’Inferno” è arrivato mezzo rene umano conservato nel vino».

«Michelle se li faceva spedire dalla Tesco». Sbattei di nuovo il bastone contro il bancone. «E muoviti cazzo!».

«Non possono essere entrambe di Jack lo Squartatore, no? Passano da una grafia ordinatissima a zampe di gallina piene di errori, e non si può certo comprare mezzo rene umano dal macellaio di fiducia, quindi è chiaro che quella lettera è arrivata da un individuo molto disturbato che probabilmente ha ucciso e mutilato qualcuno. Ma questo non significa che si tratti della stessa persona che ha scritto le altre lettere».

«Ok, e allora?».

Il rumore dello scarico filtrò da dietro la porta chiusa.

Lei cerchiò di rosso altre due parole. «Allora: il vero Jack lo Squartatore era quello di “Caro Boss” o quello di “Dall’Inferno”? Uno dei due era un imitatore? Oppure in nessuno dei casi si trattava davvero di lui?»

«Continuo a non capire come tutto questo possa aiutarci».

«Sto solo pensando a voce alta. “Un coro di potere e dolore”… è così che la metterei io. Potere e dolore”.

La porta sul retro si aprì e il commesso del negozio ne uscì, il volto pallido sotto al taglio a spazzola e alla barbetta curata. Si teneva una mano premuta contro il bottone centrale del pesante cardigan lavorato a trecce, le guance gonfie e un orecchino nero e appuntito al lobo sinistro. Sulla targhetta storta si leggeva il nome “Donald”, e c’era una piccola stella incollata sulla plastica. «Scusatemi… volevate una mezza dozzina di Cobra e qualche birra analcolica, vero?». Raggiunse gli scaffali a destra e recuperò un paio di confezioni da sei. Le posò sul bancone, accanto alle lettere di Alice. «Dio solo sa cosa ho mangiato, ma santo cielo…». Massaggiò il bottone. «Serve altro?».

Lei annuì. «Una bottiglia di syrah, una di chardonnay, australiano se ce lo avete, e una di Gordon’s. E un po’ di acqua tonica».

«Bene. Perfetto». Donald sbirciò verso le fotocopie piene di tratti di penna rossa ed evidenziatore giallo. «Avete visto il documentario? Io l’ho visto per la mia tesi in comunicazione. Alcuni pensano che l’iperrealismo dei pezzi recitati spezzi l’implicito patto di veridicità tra regista e spettatore, ma secondo me rappresenta una verità interiore più fondamentale, che segue la narrazione emotiva di Laura Strachan». Sorrise lievemente, piegando la testa di lato. «Sto prendendo la specialistica».

Presi dal bancone la confezione di Cobra e me la misi sotto il braccio. «Buon per te, se ti sta bene».

Lui si strinse nelle spalle. «La recessione, sa com’è». Una bottiglia di vino rosso e una di vino bianco furono posate sul bancone, seguite da una di gin. «La maggior parte della gente non sembra capire che il documentario funziona su diversi livelli. Pensate ai personaggi: non sono semplicemente persone, hanno anche la funzione di archetipi. Laura Strachan è la Donzella in Pericolo, il sovrintendente detective Len Murray è il Cavaliere Tormentato, lo psicologo Henry Forrester è il Venerabile Mago, mentre il dottor Frederic Docherty è l’Apprendista Stregone, no?». Donald si avvicinò al frigorifero. «Come volete l’acqua tonica, normale o diet?».

Alice ripose le lettere nella borsa. «Normale».

«Ha addirittura un suo arco narrativo, avete visto? Da comprimario dai capelli ricci e lunghi a personalità televisiva in giacca e cravatta, no? E sappiamo tutti cosa dice Nietzsche riguardo al fatto di guardare dentro all’abisso. Non sarebbe una perfetta attualizzazione trasformativa, se fosse un classico di Thomas Harris? Lo psicologo che combatte i mostri interiori dei suoi pazienti, ma nella realtà è lui il mostro. Volete una bottiglia o preferite le lattine? Costano un po’ di più ma finiscono meno in fretta».

«Ehm… okay, lattine». Alice piegò la testa di lato, fissandolo mentre prendeva l’acqua tonica dal frigorifero. «Allora pensa che il dottor Frederic Docherty sia un cannibale?»

«Metaforicamente parlando: consuma le conoscenze del suo mentore e ne assume l’eredità, rinascendo come celebrità mediatica». Donald tornò al bancone con una confezione da sei lattine. «E quanto all’Inside Man, lui è il Drago. Che si aggira nell’oscurità e divora le vergini. Sì, lo so che non sono realmente vergini, ma l’analogia funziona, perché lui le ingravida con quelle bambole. Pagate con carta di credito?»

Il forno a microonde nuovo di zecca faceva sentire il suo ronzio monocorde in un angolo della cucina, mentre Shifty stappava una bottiglia di Holsten e la passava, per poi aprirsi una Cobra per sé. Fece tintinnare la bottiglia contro quella della mia birra analcolica e fece un paio di sorsi. «Ahhh…». Poi accennò alla bottiglia che avevo in mano. «Una bibita analcolica è una cosa, ma… birra analcolica? Non ti sembra un po’ gay?»

«Se lo dici tu».

Il bancone della cucina era sparso di contenitori di plastica da rosticceria. Curry, riso, dal, contorni vari, una busta di carta con del naan all’aglio che sporgeva dall’estremità aperta. Un contenitore di plastica di insalata. Piccole ciotole di polistirolo con le salse.

Bevvi un sorso di birra. Aveva un sapore di malto e frutta secca, amarognolo. Cinque anni in prigione e mi sembrava di essere di nuovo un undicenne che la provava per la prima volta, domandandosi che diavolo ci fosse di tanto speciale. Avrei dovuto prendere più Irn-Bru. «Allora, lei dove vive?»

Shifty sbirciò verso il soggiorno e abbassò la voce. «Cullerlie Road, a Castleview, hai presente? In una villetta vittoriana con un parcheggio privato e un grosso giardino sul retro. Ti ricordi quella famiglia in cui il padre ha pugnalato tutti nel sonno, per poi tagliarsi la gola in bagno? Ecco, la loro casa è poco più giù, lungo la stessa strada».

Zaffate di cumino e coriandolo si diffusero nella cucina quando Shifty aprì lo sportello del forno a microonde, prima che il timer iniziasse a suonare.

«Sicurezza?»

«Luci. Serrature alle finestre e una porta blindata con doppia serratura». I contenitori nel forno a microonde furono estratti e sostituiti da altri. «Secondo il mio amico, ha anche due cani. Incroci tra Dobermann e pastori tedeschi. Ho vinto la scommessa».

«Ci serviranno un paio di taser, allora».

Shifty risucchiò l’aria tra i denti, mentre programmava il microonde e lo faceva ripartire. «Non possiamo. Dall’unificazione delle forze di polizia, sono diventati molto più severi in quel campo. Potremmo semplicemente abbatterli, ma… sarebbe rumoroso. E poi anche un po’ ingiusto: non è colpa loro se la padrona è una stronza, no?».

Alice fece capolino in cucina. «Chi è una stronza?»

«Ehm…». Shifty si accigliò. «Abbiamo fatto un raid in un locale sadomaso nel Wynd, stamattina. E la tizia che lo gestiva ci si è rivolta in un modo osceno».

«Allora, è pronta la cena? Sto morendo di fame».

«Mancano solo il riso e il naan da riscaldare».

«Ottimo. Apparecchio la tavola». Aprì tre cassetti prima di trovare le stoviglie, poi tornò in salotto.

«E lo spray al peperoncino?».

Lui annuì. «Quello posso procurarmelo. Ne ho racimolato per mesi: Andrew…». Si schiarì la gola. «Quel bastardo mi tradiva. Tornava a casa che sapeva di Paco Rabanne, ma lui usa solo Lacoste. Come se non sapessi riconoscere la differenza». Si strinse nelle spalle. E poi si guardò le mani, mentre la luce accesa gli si rifletteva sul cranio pelato. «Volevo vendicarmi scambiandogli il dopobarba con lo spray al peperoncino. Ma alla fine non ho avuto il fegato di farlo. Non avevo voglia di affrontarlo, se poi avesse scelto chiunque stava frequentando al mio posto. Patetico, vero?».

Il forno a microonde trillò e si spense.

Gli posai una pacca sulla spalla. «Era uno stronzo. E tu eri troppo bello per lui».

«Sei un viscido bugiardo». Un lieve sorriso gli arricciò gli angoli delle labbra. «Ma ci crederò lo stesso».

«Senti qui, appena avremo finito con Mrs K, lo andremo a trovare con una mazza da baseball, che ne dici?».

Il sorriso divenne un ghigno. «Ci sto».

Tolsi i contenitori dal microonde e ci infilai quello del riso. Mi fermai con l’indice sui controlli. «Ah, un’altra cosa: mi serve un sedativo. Qualcosa per tenere Alice… tranquilla in macchina mentre noi…».

«Nah, neanche per sogno. Non puoi portartela dietro. Per me non è un problema aiutarti a fare fuori quella vecchia stronza, ma Alice? No. Non puoi farlo».

Mi abbassai e tirai su la gamba sinistra dei calzoni, mostrandogli la cavigliera. «Non ho altra scelta. Se ci separiamo di più di un centinaio di metri, questo coso mi farà piombare addosso il braccio violento della legge come una tonnellata di lardo incompetente. Attento, sta arrivando».

Shifty riaccese il microonde. «Non è giusto. Alice…».

«Starà bene. Sarà semplice: andremo lì in macchina… Che c’è?».

La smorfia di Shifty divenne un’espressione imbarazzata. «C’è stato un piccolo contrattempo: abbiamo bisogno di un’altra macchina».

«Cosa è successo alla Mondeo? Pensavo che tu avessi…».

«L’ho parcheggiata dietro l’angolo, ieri».

Oh, geniale. «L’hai lasciata a Kingsmeath?»

«Be’, ma che ne sapevo?»

«È Kingsmeath!»

Lui si mise a staccare l’etichetta della bottiglia di birra. Abbassò lo sguardo al pavimento. «Già».

Qualche respiro profondo. Okay… non era la fine del mondo. «Ruberemo un’altra macchina. Andiamo lì, disattiviamo gli allarmi, entriamo, stordiamo i cani, prendiamo quella stronza assassina, le scaviamo la fossa, bruciamo l’auto e torniamo a casa».

«Ma che facciamo se…».

«Filerà tutto liscio. Fidati».