CAPITOLO 12

Un nastro blu e bianco con la scritta “POLIZIA” schioccava al vento, con un rumore simile a quello di un dito passato sui denti di un pettine. Terriccio e cespugli circondavano su tre lati il luogo in cui era stata abbandonata la vittima, mentre una fitta macchia d’alberi si allungava come una muraglia verde scuro dal lato opposto. Il cielo era una solida lastra di granito. L’erba alta si piegava sotto un vento gelido.

Voltai la schiena alle raffiche e mi infilai un dito nell’orecchio. «No, non… Senti, ho bisogno soltanto di avere accesso alle lettere originali dell’Inside Man. Quanto può essere difficile?».

Un profondo sospiro si udì dall’altro capo del telefono. «Dici sul serio? Vieni a dare un’occhiata tu stesso; sembra di stare ai saldi degli scatoloni, quaggiù. Sai quel pezzo alla fine di I predatori dell’Arca perduta? Ecco». Un altro sospiro. «Hai chiesto alle squadre di investigazione?»

«Vai al diavolo, Williamson, chi pensi che mi abbia detto di rivolgermi a te? Loro non le hanno mai viste».

Una delle malconce e ammaccate macchine di pattuglia di Oldcastle bloccava l’accesso alla scena, con un paio di agenti seduti all’interno, per stare lontani dal vento.

«Be’, non so cosa dovrei fare. Non sono Babbo Natale. Non posso far comparire per magia una serie di lettere se non ho la più pallida idea di dove siano».

«Vai a chiedere a Simpson. Lui di sicuro lo sa».

«Senti, ti sto dicendo che c’è…».

«Un momento». Premetti il cellulare contro il petto e bussai sul finestrino dalla parte del conducente.

L’uomo dietro al volante sbuffò gonfiando le guance e abbassò il finestrino. Non sembrava avere neanche l’età per votare, tantomeno per arrestare qualcuno; aveva un paio di baffi sottili e un brufolo infiammato in fronte. Lo sguardo annoiato e le labbra all’ingiù. Briciole di dolci sul davanti del giubbotto antiproiettile. Diede un altro morso a qualunque cosa fosse nella busta di carta con il logo di Greggs, parlando con la bocca piena. «Scusa, amico, ma non si può passare. Dovrai fare la tua passeggiata altrove».

Mi appoggiai al tettuccio dell’autopattuglia. Lo fissai. «Prima di tutto, agente, non sono tuo “amico”».

Ovviamente, riconobbe il tono di voce da precedenti lavate di capo, perché scattò dritto con la schiena e lasciò cadere la busta di carta sotto al sedile. Gli avvampò il viso, finché la punta delle sue orecchie non sembrò brillare. «Mi scusi, signore, non intendevo…».

«Il tuo nome?»

«Hill, signore, ehm… Ronald. Non volevo…».

«Secondo: non mi interessa da quanto tempo te ne stai seduto qui, sei un agente di polizia, cazzo, quindi cerca di sembrarlo. Sei un disonore. Terzo», indicai Alice e Huntly, «tira via il culo da questa macchina e fai vedere a queste persone la scena del crimine. Ora, agente».

«Sì, signore. Mi scusi, signore». Uscì goffamente dall’auto, calcandosi il berretto sulla testa. «Da questa parte, e…».

«Controlla prima i tesserini, cazzo!».

Alice si guardò alle spalle. «Ti sei divertito un mondo, vero?».

Mi voltai. L’agente Hill era sull’attenti, di schiena, intento a controllare il sentiero d’ingresso alla scena come se ne andasse della sua vita.

«Probabilmente sì». Forse non ero più un ufficiale di polizia, ma questo non significava che non potevo divertirmi a instillare il timore di Dio negli agenti pigri.

La divisione addetta al controllo delle scene del crimine aveva disposto un’unica via d’accesso, segnalata da un nastro blu e bianco, l’erba secca era coperta di brina e schiacciata. Il sentiero girava intorno alla scena, rigirando su se stesso verso un cordone interno di nastro giallo e nero: “SCENA DEL CRIMINE, NON OLTREPASSARE”. Un mucchietto di bandierine triangolari gialle punteggiava l’erba alta, ognuna marcata con una lettera e un numero.

Huntly si fermò, petto in fuori e spalle aperte, con il naso che andava da una parte all’altra come se stesse annusando la scena. «Capisco…». E poi si allontanò, procedendo lungo il sentiero di erba calpestata. Continuando ad annusare mentre avanzava.

Mi ficcai le mani nelle tasche. «Non riescono a trovare le lettere originali dell’Inside Man. A quanto sembra, gli archivi sono un casino. Nessuno sa cosa c’è nei vari scatoloni. Sicura che non ti possano bastare le fotocopie di Jacobson?».

Lei arricciò il labbro superiore. «Sono state fotocopiate così tante volte che sono quasi illeggibili. Ho bisogno di vedere gli originali. Voglio sentire l’inchiostro sul foglio, vedere il peso che ha messo in ogni parola, la grafia. Devo toccare qualcosa che ha toccato anche lui. Qualcosa che non sia morto oppure orribilmente danneggiato». Si girò, seguendo con lo sguardo Huntly che si infilava sotto il cordone interno. «Avevi ottenuto qualcosa da quelle lettere, otto anni fa?»

«Abbiamo analizzato quelle lettere in ogni modo possibile. E anche le buste. Ma non abbiamo trovato nulla. Tutte e sei avevano il timbro postale di Oldcastle. Le uniche impronte digitali appartenevano al giornalista a cui le ha inviate. Ciò che può essere scoperto è solo nelle parole che ha scritto».

Per un attimo, mi sembrò che Alice stesse per replicare. Poi invece recuperò dalla borsa di pelle una busta da lettera e una busta di plastica. Fece ondeggiare la prima. «Foto». Poi sollevò la seconda. «E questo è il tuo kit per le indagini. La dottoressa Constantine ne ha confezionato uno per tutti noi».

Presi la busta di plastica e ne controllai il contenuto. Una macchina fotografica dall’aspetto accettabile – piccola ma ad alta risoluzione, con una memory card capiente. Cinque o sei paia di guanti in lattice in singole confezioni sterili. Un mucchietto di buste per le prove. Un righello. Un blocco per gli appunti. Un foglio con le istruzioni. E uno smartphone. Lo tirai fuori, rigirandomelo tra le dita. «Fammi indovinare: è monitorato e controllato con il GPS, così sapranno sempre dove mi trovo e cosa sto facendo, vero?».

Alice si limitò a fissarmi. Poi rispose: «No, è solo un telefono. Serve a chiamare e a caricare roba sul server dell’Unità. Vedi? C’è uno slot sul fianco per metterci la memory card della fotocamera. Se ci fosse bisogno di trovarti, hanno la cavigliera».

Giusta osservazione. Distribuii il contenuto della busta nelle tasche.

La voce di Huntly si fece sentire dall’altra parte del cordone interno. «Vado matto per una buona scena del crimine, ma questa non lo è. Davvero, guardatevi intorno». Sollevò le braccia, allargandole. «In quanti saranno passati a ripulire, lasciando impronte dappertutto? E perché, dico perché, perché non hanno montato una passerella? È tutto compromesso. Come pensano che possa lavorare in queste condizioni?». Girò su se stesso di centottanta gradi, lentamente, uscendo dal cordone interno per poi allontanarsi tra gli alberi.

Ed ecco i famosi esperti con decenni di esperienza scelti con la massima attenzione da Jacobson.

Mi abbassai sotto il cordone che marcava la via d’accesso alla scena e superai un tratto d’erba alto al ginocchio per raggiungere la zona interna. Mi fermai e tornai a guardare verso Alice, che se ne stava con le braccia intorno al busto. «Non vieni?»

«Non dovremmo restare sul sentiero autorizzato?»

«L’hai sentito cosa ha detto Huntly. L’Operazione Balsamo di Tigre ha calpestato tutto con i suoi grossi e stupidi piedi. Non c’è rimasto più niente da compromettere». Tornai ad avanzare tra l’erba ghiacciata. Mi fermai davanti al nastro. Aprii la busta di carta e ne tirai fuori le foto.

Erano le stesse che Jacobson mi aveva dato nella Range Rover, con i colori molto più vividi alla luce del giorno.

Le osservai una dopo l’altra, più volte, ma alla fine trovai quelle che dovevano essere state le prime due scattate dal fotografo. Mi fermai nello stesso punto, osservandole ancora.

La testa di Claire Young puntava all’indietro verso il sentiero da cui ci eravamo avvicinati alla scena, la pelle cerea e venata come marmo.

«Non è morta qui…».

Alice non si era mossa, e restava ancora dietro al cordone bianco e blu. «Cosa?»

«Ho detto che non è… Senti, vuoi portare qui le chiappe, per favore?».

Indicai un punto del terreno, mentre lei mi raggiungeva. «Non c’è abbastanza sangue. Lui l’ha aperta, le ha cucito dentro una bambola e poi l’ha richiusa. Il terreno dovrebbe essere impregnato di sangue. E anche la posizione è sbagliata».

«Ma sappiamo che l’Inside Man ha una sala operatoria, insomma, era sul DVD e…».

«Non dovremmo farci influenzare dai pregiudizi, ricordi? E il nostro Ignoto-Quindici non l’ha neanche trascinata qui dal parcheggio. L’ha trasportata. Altrimenti, ci sarebbero i segni a terra». Separai i piedi e sollevai un immaginario cadavere di Claire Young sopra una spalla. «Dunque: ce l’ha sulle spalle in questo modo. Cammina finché non ritiene di essersi allontanato abbastanza dal parcheggio perché non lo veda nessuno. E non la lascia al lato del sentiero, giusto? No, si gira di novanta gradi, e continua a camminare. Poi la abbandona». Mimai il gesto, spostando il corpo immaginario sull’erba. «La testa della vittima, in tal caso, avrebbe dovuto puntare in quella direzione, verso gli alberi, non dalla parte opposta».

«Be’… magari prima si è girato e poi l’ha lasciata a terra».

Possibile.

Del resto, avevamo già stabilito che il professor Huntly non poteva essere stupido come sembrava.

Continuava a girare lì intorno, spezzando rami e canticchiando tra sé e sé quella che sembrava un’aria dell’opera.

Alice frugò nella borsa. «Ash, per quanto riguarda quel grosso inseguimento in macchina… Sei finito coperto di vetri e sangue e ti sei rotto un polso e le costole… l’ho trovato nei rapporti dell’indagine… ma lì non dice come mai l’Inside Man non si è fatto niente nell’incidente».

«Fortuna? L’angolo di collisione? Il fatto che non aveva al volante un imbecille come O’Neil? Che ne so?». Riposi le foto nella busta. «Senti, non appena avremo riportato Rain Man al Postman’s Head, devo fare una commissione».

Alice sembrò interessarsi di colpo al sentiero. «Oh».

«Non è nulla di così importante. Devo solo andare a trovare un vecchio amico».

«Capisco…».

«Puoi restare in macchina, se preferisci. Probabilmente ci metterò poco».

«Ash, pensi che possiamo parlare di quello che è successo tra te e Mrs Kerrigan? Voglio dire, lo so che non sei…».

«Non c’è niente di cui parlare. Quello che è successo è successo; non c’è nulla che possa fare per riportare indietro Parker».

«Ash, è perfettamente normale essere…».

«Gli ha fatto sparare in testa due volte, e poi mi ha incastrato per l’omicidio. Cosa c’è di normale?».

Niente.

Silenzio.

E poi Huntly tornò indietro, uscendo dalla boscaglia a una buona ventina di metri da dove vi era entrato. «Guardate!». Sollevò in alto una piccola fotocamera digitale. «Il Potente Bernard Huntly è tornato».

Oh, che fortuna.

Tornò a voltarsi verso il bosco. Poi si bloccò sul posto. Si guardò alle spalle e mi fissò. «Allora? Non restate lì impalati… venite, siate testimoni del mio genio».

«Aah…». Alice inciampò, barcollando e sbattendo contro un albero. «Che stupidaggine».

Il terreno del bosco era irregolare, sparso di radici e rami caduti. Scuro per il tappeto di aghi di pino marcescenti e i resti secchi delle felci. Sapeva di terriccio e decomposizione. E faceva freddo abbastanza da farci condensare il respiro, mentre ci addentravamo nel folto.

Huntly continuò ad avanzare, abbassandosi sotto il fitto intreccio di rami. «Al contrario, è quanto di più intelligente si possa fare».

Lei abbassò la voce a un sussurro. «Una stupidaggine totale, piuttosto». Poi alzò il tono. «Non è possibile che l’assassino sia venuto da questa parte… non c’è neanche un sentiero. Come si potrebbe trasportare un cadavere in mezzo a questi alberi? Resterebbe impigliato tra i rami, cadrebbe, si lascerebbe dietro una scia di rami spezzati e… questi orribili rametti continuano a tirarmi i capelli. Aah!».

Huntly si girò e le sorrise. «Ovviamente, hai ragione su tutta la linea. E stiamo procedendo in mezzo al sottobosco proprio perché il nostro Ignoto-Quindici non l’ha fatto. C’è un sentiero parallelo, a tre metri sulla destra. Non voglio che voi due finiate per calpestare qualche prova».

Attraversò un cespuglio di ginestre e sparì. Lo spiraglio che aveva aperto si richiuse, con un mucchio di tentacoli verde scuro che tremavano alle sue spalle, i baccelli che crepitavano come se fossero furiosi.

Alice si fermò e fissò i cespugli. Poi si voltò a guardarmi. «Non sono una persona violenta. Ma se guardo dall’altra parte, puoi spezzargli le gambe da parte mia?».

Scostai i rami di ginestra, creando un varco. «Tira su il cappuccio, andrà tutto bene».

Obbedì. Sospirò e abbassò la testa e si spinse oltre i cespugli, facendoli scricchiolare e crepitare di nuovo.

Tre, due, uno. I rami mi afferrarono i capelli e le spalle, mentre la seguivo a fatica, ingobbendomi e zigzagando in mezzo al fitto sottobosco, seguendo la scia delle imprecazioni.

Altri crepitii, e il cespuglio si aprì sul fondo di un fosso. Il terriccio umido e scivoloso mi risucchiò i piedi, mentre risalivo a fatica sul ciglio erboso.

Una strada si estendeva a destra e a sinistra, sparendo tra gli alberi. A una decina di metri da dove ero uscito, si vedeva la pensilina della fermata di un autobus, aliena e ammaccata sotto i rami sporgenti dei pini. Una serie di graffiti macchiava la cabina telefonica lì accanto, una forma distorta e rovinata, con la porta deformata e metà del Perspex mancante. Serpenti carbonizzati si sollevavano dai pannelli rimasti, la plastica contorta e sciolta dal calore.

Huntly si fermò in mezzo alla strada, con le mani sui fianchi e un ghigno che gli allargava quegli stupidi baffetti. «Ebbene? Cosa vi avevo detto?».

Alice si tirò via degli aghi di pino dai capelli. «…li avevo lavati giusto stamattina…».

Mi fermai a circa sei metri dalla pensilina. «Quindi stai dicendo che l’assassino ha preso l’autobus qui, si è caricato la ragazza morta su una spalla ed è entrato nel bosco? E secondo te i cadaveri pagano il biglietto intero o si considerano bagagli?».

Lui sospirò. «Puoi anche prendermi in giro, ma che ne dici di questo…?». Avanzò verso il retro della fermata, girando alla larga dal lato, e indicò. «Vedi?».

Lo seguii, posando i piedi dove li aveva messi lui, evitando di inquinare la scena per quanto possibile. Una singola macchia color ruggine si estendeva sull’erba per una quindicina di centimetri dall’estremità più lontana della pensilina.

«Visto? Quanto vuoi scommettere che il DNA è quello della nostra vittima?». Si spostò sulla sinistra, osservando un tratto d’erba schiacciata. Anche lì, era macchiata e scura. «Probabilmente è morta qui. Non c’è abbastanza sangue, ma immagino che molto si sia coagulato nelle cavità del corpo, prima che arrivasse qui. Dunque ecco spiegata la relativa mancanza della quantità di sangue che ci si aspetterebbe in casi del genere».

Alice non si era spostata dal ciglio della strada. «Perché preoccuparsene, allora?». Si abbracciò il busto con un braccio, mentre la mano libera tornava a giocherellare con i capelli. «Voglio dire, avrebbe potuto semplicemente lasciarla lì, dietro alla pensilina. Perché raccoglierla e trasportarla nel bosco, fino al fosso dove è stata trovata? Non vi sembra una perdita di tempo?».

Misi una mano in tasca e tirai fuori un paio di guanti in lattice del kit di investigazione della dottoressa Constantine. Aprii la plastica sterile e li infilai. Avanzai attraverso l’erba alta fino all’estremità opposta della radura, allargandomi per evitare di calpestare eventuali prove. «Hai una foto di questa?».

Huntly tirò su con il naso. «Di cosa?»

«Di questa siringa». Era abbandonata in un cespuglio di romice, coperta di brina, con il cappuccio giallo a una trentina di centimetri di distanza.

«Ah…». Seguì il mio stesso percorso, la fotocamera digitale già pronta. «Di’ cheese».

Alice non si era ancora mossa. «L’Ignoto-Quindici ha cercato di salvarla. Porta Claire fino a qui, poi prende la registrazione della richiesta d’aiuto e va a chiamare un’ambulanza, ma lei crolla. Non respira più. Allora lui le somministra… forse adrenalina? Cerca di rimetterle in moto il cuore. Non vuole che muoiano, vuole che le raggiungiamo in tempo, come con Laura Strachan, Marie Jordan e Ruth Laughlin. Claire doveva restare viva. Il suo è stato un fallimento».

Huntly scattò un altro paio di foto. «E non voleva che collegassimo il corpo a questo luogo, in caso si fosse lasciato dietro qualcosa. Quindi ha spostato i resti». La fotocamera tornò nella sua tasca. «Naturalmente, non pensava di trovarsi di fronte a qualcuno del mio calibro. Non ci pensano mai». Sogghignò. «Eccovi un piccolo aneddoto: uno dei paramedici che ha salvato Laura Strachan è diventato lui stesso l’ultima vittima di un altro serial killer: l’Incubo. Personalmente, se vivessi a Oldcastle deciderei di traslocare altrove».

L’erba umida mi sfiorò le caviglie mentre raggiungevo la cabina telefonica. La porta cigolò quando la aprii a fatica. La puzza di plastica bruciata mi colpì le narici, insieme a un vago e acuto sottofondo come di candeggina. Il telefono sembrava più o meno intatto, sotto a tutti i graffiti osceni che ne ricoprivano la superficie di metallo. Alzai la cornetta e la tenni sollevata in modo che il ricevitore mi restasse lontano dalle labbra. Il tono del telefono libero mi risuonò nell’orecchio.

Funzionava. Digitai il 1471, per scoprire quale fosse stato l’ultimo numero chiamato, ma sul display LCD venne fuori “– NUMERO SCONOSCIUTO –”. Riattaccai la cornetta e uscii all’aria libera. Recuperai il mio nuovo smartphone e lo accesi. Il primo nome della rubrica era “IL CAPO!”, seguito da “ALICE”, “BERNARD”, “HAMISH”, “SHEILA” e “X – DOMINO’S PIZZA”. Fermai il dito sul primo nome. Ovviamente, in realtà sarebbe dovuto essere la Centrale a ricevere la prima chiamata, non Jacobson. D’altra parte, la Centrale non aveva la facoltà di rispedirmi dietro le sbarre.

E non volevo rischiare niente di simile. Non ora che ero così vicino…

Il telefono squillò per un po’, poi Jacobson rispose e mi ascoltò mentre gli riferivo i dettagli. Poi: «Eccellente. Bernard sarà pure un dito al culo, ma ci sa fare. Scattate più foto possibile, poi chiamate la Ness e fatele inviare una squadra per esaminare la scena. Voglio che il luogo venga isolato e controllato al millimetro. Dite loro che Bernard dirigerà le operazioni, e che se gli causeranno problemi, dovranno vedersela con me. Okay?».