CAPITOLO 20
Wee Free richiuse il cancello a chiave dietro di noi.
Alice mi si appese alla manica, la voce bassa mentre i cani si muovevano silenziosi intorno. «Sembra di essere in un film horror…».
La discarica era un labirinto buio di carcasse d’auto in parte demolite, ammucchiate in blocchi monolitici, cumuli di rottami metallici e piramidi pericolanti di lavatrici, cucine e frigoriferi.
Un grosso container se ne stava al centro di tutto, circondato da queste enormi pile, con la scritta bianca “LA CAPPELLA” scrostata su un lato. Unito a due camper, a un vecchissimo autobus della Compagnia di Trasporti di Oldcastle piazzato su sei gomme sgonfie, e al retro tagliato via da un Ford Transit, formava una sgangherata costruzione tenuta insieme da pezzi di metallo ondulato. File di lampadine colorate pendevano come festoni intorno a un crocifisso alto due piani che torreggiava su tutto. Brillante di rosso e di giallo, con tutta l’aria accogliente e rassicurante di una ferita infetta.
Casa dolce casa.
Wee Free aprì una porta di legno nella parete del container ed entrò, facendo strisciare rumorosamente la mannaia contro il metallo arrugginito.
Fuoco e Zolfo entrarono dopo di lui, con le unghie che ticchettavano sul linoleum del pavimento, e Wee Free si voltò a guardarmi, il labbro superiore arricciato che mostrava i denti piccoli e candidi. Non stava più urlando, ora la sua voce era bassa e pacata. Con un accento quasi altolocato. «Vi offro un tè».
Babs sistemò Thatcher dentro a un paio di anelli di Velcro sul davanti del giubbotto antiproiettile, tenendoselo contro lo stomaco. «A dire il vero, non mi dispiacerebbe un caffè, se…».
«Stiamo bene così». Ignorai lo sguardo torvo che quelle parole mi attirarono. «Dobbiamo parlarle di Jessica».
La schiena di Wee Free si irrigidì per un attimo. Poi sbuffò, bevve un sorso dalla bottiglia di whisky e si allontanò lungo il corridoio.
All’interno, le pareti del container erano coperte di carta da parati a strisce che andava sbiadendo in un uniforme grigio sporco, in alcuni punti macchiato di muffa. Un divano marrone dall’aria malandata se ne stava al centro di un tappeto persiano, circondato da libri in edizione economica, giornali e lattine di birra, davanti a un piccolo televisore sistemato su una pila di gomme. Altri libri se ne stavano lungo le pareti, alcuni sugli scaffali, ma perlopiù ammucchiati sul pavimento.
L’odore metallico della carne cruda riempiva il luogo, così forte da poterne sentire il sapore in bocca.
Wee Free superò il divano, dirigendosi verso il fondo del container, dove una lampadina pendeva da un cavo sopra a un tavolo di legno coperto di fogli di giornale impregnati di sangue. Un grosso pezzo di carne, delle dimensioni di un bambino, era appoggiato sulla carta spiegazzata e scura. Qualunque cosa fosse, non c’era traccia di pelle, ma soltanto venature di grasso biancastro. Lui bevve un altro sorso di whisky, per poi piantare la mannaia nella carne, staccandone un pezzo.
Il pavimento di metallo del container era venato di ruggine e vernice scrostata. Risuonava ogni volta che lo toccavo con l’estremità della sbarra che mi faceva da bastone, come il rintocco di una campana a morto.
Alice si strinse le mani contro il petto. «Casa sua è molto… particolare».
Wee Free le rivolse un sorriso ferale. Passò il filo della mannaia sul pezzo di carne cruda, tagliandone una fetta sottile. «Come ti chiami, ragazza?»
«Sono la dottoressa Alice McDonald. Lui è Ash Henderson, e lei l’agente Crawford».
Lui prese la fetta di carne e la lanciò oltre il bordo del tavolo.
I cani si lanciarono avanti, con le fauci spalancate, e uno di loro afferrò al volo la carne non appena cadde sul pavimento di metallo, lasciando all’altro soltanto una traccia di sangue da leccare.
Wee Free si passò la mannaia nella mano sinistra e tese la destra. Il sorriso gli morì sul volto. «William McFee».
Alice fissò le dita sporche di sangue, scarlatto e marrone, con qualche punto già nero e rappreso. Deglutì a vuoto. Poi gli strinse la mano.
A quel punto, McFee la tese a me.
Il palmo era appiccicoso, le dita fredde e umide, e mi lasciò tracce rosse sulla pelle. Strinse forte, finché le nocche non mi fecero male. Restituii la stretta. Strinsi i denti, mantenendo un’espressione neutra, finché non mi mollò per stringere la mano a Babs.
Adottai la solita posa dell’agente che deve dare una brutta notizia: i piedi larghi quanto le spalle, le mani dietro la schiena. «Mr McFee, abbiamo motivo di credere che sua figlia, Jessica, sia stata…».
«È una puttana». Gli angoli della sua bocca scivolarono in giù. «Si è messa a fornicare con quel senza Dio di… Dundee». La mannaia affondò di nuovo nella carne. «Disonorando suo padre negli ultimi anni della sua vita. Voltando le spalle al Signore». Snudò i denti, fissando la bottiglia come se la sfidasse a contraddirlo. «Quella troia non è mia figlia».
«Ha mai sentito parlare dell’Inside Man?».
Wee Free mi fissò per un attimo, poi tagliò un’altra fetta di carne. Questa volta però non la tirò ai cani, ma ne strappò un morso. Masticò. Bevve un altro sorso di whisky. «Il giudizio di Dio è giunto. L’ha punita per i suoi peccati. A tempo debito, ci punisce tutti».
Qualcosa di umido mi sfiorò la mano destra, facendomi sobbalzare senza che potessi evitarlo. Uno dei pastori tedeschi era lì al mio fianco, intento ad annusarmi le dita macchiate di sangue. Non sapevo se fosse Fuoco oppure Zolfo, ma era comunque enorme. La testa a cuneo si muoveva avanti e indietro, i muscoli tesi sotto l’ampia schiena pelosa, mentre si spostava di lato, con le orecchie puntate in avanti.
«Quella troia meritava di morire». Girò la mannaia, ne premette la lama contro il petto, in mezzo alle altre cicatrici, e la passò lentamente da sinistra a destra. Per un attimo non accadde nulla, poi il sangue riempì la ferita, scivolando giù lungo il busto. Un sospiro gli sfuggì dalle labbra.
Alice schiuse le labbra, per poi serrarle di nuovo. Mi guardò, e poi tornò a fissare quella striscia scarlatta che sanguinava sul petto dell’uomo. «In verità non è morta, ecco, probabilmente no. Certo, potrebbe esserlo, ma le altre donne rapite dall’Inside Man sono rimaste con lui per almeno tre giorni, prima che le abbandonasse, quindi abbiamo motivo di credere che sia ancora viva…».
«Non è morta? E come è possibile? Certo che è morta, questo è il giudizio divino!».
La lingua del pastore tedesco mi raspò il dorso della mano, calda e umida. Assaggiandomi…
Resta immobile.
Alice si schiarì la gola. «Be’, potrebbe essere morta, ma ci sono buone possibilità che invece sia ancora…».
«Stai forse dicendo che è al di sopra del giudizio di Dio? È questo che stai dicendo?». Tagliò un’altra fetta di carne, stringendo il manico della mannaia al punto da farsi sbiancare le nocche. La voce bassa e fredda. «Stai dicendo che è al di sopra di Dio?»
«Io non…».
«Nessuno è al di sopra di Dio. Nessuno!». La mannaia si piantò nella carne.
Alice trattenne a stento uno strillo acuto e arretrò di un passo.
Il cane smise di leccarmi la mano e ringhiò, il pelo intorno al collo che si rizzava e le zanne in vista.
Babs posò una mano sul calcio di Thatcher. «Stiamo calmi».
Mi spostai lentamente dal pastore tedesco. «Giusto, calmiamoci tutti quanti. La dottoressa McDonald non ha parlato affatto di Dio, ha soltanto detto che…».
«Nessuno è al di sopra del giudizio di Dio. NESSUNO!».
Ringhi e sbuffi.
Babs imbracciò il fucile a canne mozze e lo puntò al volto di Wee Free. «È ora di mettere giù quella lama, Mr McFee».
Io annuii. «Calmiamoci tutti, okay? Possiamo parlarne».
Babs tolse la sicura. «Non c’è bisogno di farsi saltare i nervi. Siamo tutti tranquilli, non è vero, Mr McFee? Calmo»
«“Dio della mia lode, non tacere, perché contro di me si sono aperte la bocca malvagia e la bocca ingannatrice, e mi parlano con lingua bugiarda”». La voce si fece più forte a ogni parola che pronunciava.
«Questo non è stare calmi, Mr McFee. È solo un altro modo per dire: “Per favore, sparatemi in faccia”».
Lui strappò un foglio di giornale dal tavolo. Era la prima pagina del «Telegraph», per metà cancellata dal sangue, ma si leggeva ancora il titolo principale: “SERIAL KILLER COLPISCE ANCORA”, sopra a una grossa foto di un padiglione della Scientifica tra i cespugli dietro Blackwall Hill, insieme a una più piccola di Claire Young in quella che sembrava una festa natalizia. Un ampio sorriso, un cappellino da party di un verde acceso storto in testa, orecchini a forma di pupazzo di neve con delle luci all’interno. «“Parole di odio mi circondano, mi aggrediscono senza motivo. In cambio del mio amore mi muovono accuse, io invece sono in preghiera”».
Il cane si avvicinò di un passo, gocce di bava che colavano sul pavimento di metallo. L’altro uscì da dietro il tavolo.
Serrai la presa sulla sbarra di ferro. «Avanti, Mr McFee, abbassi la lama».
«Stia calmo, Mr McFee, ragioni».
Lui aggirò il tavolo. Gettò il foglio di giornale ai propri piedi. «“Mi rendono male per bene e odio in cambio del mio amore. Suscita un malvagio contro di lui e un accusatore alla sua destra!”». Il volto di Wee Free era gonfio e arrossato, i tendini del collo tesi come cavi d’acciaio, la mannaia dondolava avanti e indietro, catturando la luce della lampadina nuda sopra di noi.
Babs si mise in posizione. «Mr Henderson, dottoressa McDonald? Sarà meglio che vi allontaniate di qualche passo…».
«Nessuno è al di sopra del giudizio di Dio!».
Sbattei la sbarra di ferro sul pianale del tavolo. «D’accordo, adesso basta!»
E Fuoco e Zolfo non si limitarono più a ringhiare: mi saltarono direttamente addosso.
In un attimo, il mondo si riempì di pelo e denti, ma un attimo più tardi – BANG! – il fucile a canne mozze sussultò tra le braccia di Babs, spargendo una nuvola di fumo. Uno dei cani mi balzò contro il petto. Finimmo all’indietro sul pavimento, in un caos di braccia e gambe, con una tonnellata di pastore tedesco ululante che mi bloccava contro il freddo metallo. Sentii bruciare le costole e pulsare tutto il lato destro del corpo. Oh, Cristo, mi ha sparato…
Alice urlò.
L’altro cane saltò, e Thatcher ruggì di nuovo.
Il rumore era assordante, all’interno del container e riecheggiava avanti e indietro, come un martello pneumatico piantato nel cranio, mentre l’animale crollava di lato contro il tavolo, latrando e guaendo.
Cazzo, mi aveva sparato!
Alice arrancò in avanti e mi spinse via il cane dal petto. Poi mi prese il viso tra le mani. «Ash? Oh, Dio, Ash, stai bene?».
Era finita: colpito a bruciapelo. Disteso a dissanguarmi sul pavimento di metallo della baracca di un pazzo furioso, nel bel mezzo di una discarica…
Accanto a me, il cane si scosse, e poi lui e il suo compagno si rialzarono e fuggirono con la coda tra le gambe. Guaendo.
«Ash?». Il viso di Alice mi appariva distorto e sfocato. «No, ti prego, resisti, andrà tutto bene, okay? Ti prego, dimmi che andrà tutto bene». Lanciò uno sguardo colmo d’odio a Babs: «Gli ha sparato!».
Il vero dolore sarebbe arrivato da un momento all’altro, non appena lo shock iniziale fosse svanito. Tutta quella merda, tutti quei morti e quella sofferenza, ed ecco come sarebbe andata a finire. Non era giusto. Non così. Non mentre Mrs Kerrigan era ancora viva…
Wee Free fissò Babs a bocca aperta, mentre lei apriva il fucile a canne mozze e faceva cadere sul pavimento le due cartucce vuote. Poi ne infilò dentro altre due.
«Hai sparato ai miei cani!».
Clack, fece Thatcher, richiudendosi.
Sdraiato sulla schiena, cercai l’enorme squarcio da cui la vita mi stava abbandonando, spargendosi sul pavimento di metallo arrugginito. Le dita tremanti contro la giacca… forse si poteva usare un laccio emostatico? Premere forte, fermare l’emorragia, portarmi in ospedale?
Dove cazzo era il sangue?
«Ash? Mi senti?»
Babs non poteva avermi mancato, a quella distanza, non con un fucile a canne mozze.
Un dolore lancinante mi tormentava il fianco, dove i pallini dovevano essermi penetrati nella carne, facendomi a pezzi un polmone come…
No, un momento.
Come poteva non esserci traccia di sangue? Neanche una goccia. E neanche un buco nella giacca. Come diavolo…?
Wee Free tremava, sputando mentre urlava: «Hai sparato ai miei cani! Solo io posso sparare ai miei cani!».
Babs sollevò Thatcher fino a puntarlo di nuovo al volto di Wee Free. «Lasci cadere quella mannaia, Mr McFee, o scoprirà come si sono sentiti».
Spinsi via la mano di Alice e mi rialzai in piedi aggrappandomi a una gamba del tavolo. Ondeggiando, mi rimisi dritto. «MA SEI PAZZA? AVRESTI POTUTO UCCIDERMI!».
«Non c’è bisogno di urlare, Mr Henderson».
«Mi hai sparato!»
Lei ghignò. «Era sale grosso. Non proprio come i proiettili di gomma, ma a corto raggio funziona. E le dirò: brucia da morire». Fece ondeggiare il fucile verso Wee Free. «Vuole provare? Oppure ci siamo calmati, adesso?».
Lui abbassò la mannaia. Si leccò le labbra. «Loro… Forse Dio sta usando l’Inside Man per dare alla mia bambina una seconda possibilità. Forse sta mettendo alla prova la mia fede. La troverò e la salverò, per uno scopo più alto». Annuì. «Sì, è così. È la volontà di Dio».
Alice mi si avvicinò e mi strinse le braccia intorno ai fianchi, premendomi il viso contro una spalla. «Non farmi mai più uno scherzo del genere».
Quando mi strinse, sentii lame e pallini straziarmi le costole. «Dio… ti prego… togliti…».
«Scusa». Un’ultima stretta, poi mi lasciò andare.
Wee Free posò la mannaia sul tavolo, accanto alla carne. Recuperò la bottiglia di whisky e ne bevve un lungo sorso, prima di allargare le braccia. «Dio sia lodato!».
Babs rimise la sicura al fucile e lo mise via. «Okay. Adesso che siamo di nuovo tutti calmi, vorrei quel caffè. Con tre cucchiaini di zucchero. E biscotti come Dio comanda».