CAPITOLO 11
«Con calma». La Ness indicò un lato della stanza. «Dottor Docherty?»
«Grazie, sovrintendente detective». Fred Docherty era cambiato parecchio, dalla prima indagine. Il completo color cemento era sparito, come anche i capelli ricci. Adesso indossava un completo nero di Armani, una camicia rossa e una cravatta bianca, e i capelli erano corti e lisci, pettinati all’indietro. L’aspetto giovanile e la voce nervosa erano stati sostituiti da una mascella squadrata e da uno sguardo d’acciaio. E niente più traccia del suo accento di Glasgow.
Fece una pausa, aspettando che tutti lo guardassero a dovere.
Alice mi prese una mano e la serrò forte. «Che emozione…».
«Signore e signori, consideriamo l’Ignoto-Quindici. È chiaramente… Sì, ispettore?»
Shifty aveva alzato la mano. «Chi sarebbe questo Ignoto-Quindici, quando è a casa sua?»
«Ottima domanda. “Ignoto” sta per “soggetto ignoto” e “Quindici” lo differenzia dalle altre quattordici indagini per omicidio al momento in atto a Oldcastle. Credo che non sia saggio dare al sospetto di un’indagine come questa ciò che potrebbe essere considerato un…», e qui Docherty sollevò le mani e mimò il gesto delle virgolette con le dita, «“soprannome affascinante”. Potrebbe contribuire a dare al sospetto l’idea di essere diverso e superiore agli altri. Qualcuno di importante. E, poiché dobbiamo ancora confermare il collegamento tra il nostro Ignoto-Quindici e l’omicida chiamato Inside Man, vorrei che ci togliessimo dalla testa ogni preconcetto riguardo a quello che sta succedendo da queste parti». Un sorriso. Aperto, ma non falso, né sarcastico. «Sono stato d’aiuto?».
Shifty si strinse nelle spalle.
«Bene. Dunque, dopo aver studiato gli indizi, credo di poter considerare l’Ignoto-Quindici come un uomo tra i trentacinque e i quarant’anni. È possibile che abbia fatto una serie di lavori modesti, senza mai eccellere in nessuno. È probabile che sia già stato arrestato, forse più di una volta, e per reati minori. Magari un incendio doloso, o forse atti di vandalismo. Forse anche per crudeltà sugli animali. Di certo dovremmo controllare chiunque sia schedato per infermità mentale».
Docherty incrociò le braccia sul petto e piegò la testa da un lato, stringendo gli occhi. Come se tutto gli stesse venendo in mente man mano che parlava. «È cresciuto in una famiglia con legami molto stretti, questo è certo, ma è possibile che ora sia completamente solo. Sua madre probabilmente lo maltrattava, psicologicamente più che fisicamente, sminuendolo, criticandolo e controllando ogni aspetto della sua vita. Deve essere questa la fonte del suo odio verso le donne. Quando lo troveremo, saranno tutti sorpresi all’idea che sia stato capace di atti così orrendi. E lo descriveranno tutti come un uomo timido, introverso, sulle sue, che non aveva mai causato problemi».
Docherty accennò a un mucchietto di fogli sul tavolo. «Ho fatto una lista dei particolari a cui dovreste cercare di fare caso, e ho aggiunto qualche domanda che potreste fare per restringere il campo». Tornò a sorridere. «A proposito di domande: ce n’è qualcuna?».
Una mano si alzò sopra le teste, verso le prime file. La voce che seguì era piatta, nasale e riconoscibile all’istante: Rhona. «Come mai non ha mandato una lettera dopo Doreen Appleton?»
«Be’, questa domanda riguarda più l’omicida noto come Inside Man, che non l’Ignoto-Quindici, ma comunque è fondata. Non l’ha fatto perché era ai primi tentativi, si stava scaldando. La prima vittima non conta. Lui non ha ancora capito cos’è che vuole davvero. Quindi ne abbandona il corpo, non usa il numero d’emergenza con la chiamata preregistrata, e punta a Tara McNab. Ed è stato lì che lo schema ha avuto inizio». Il dottor Docherty annuì, concordando con se stesso. «Altre domande? Non siate timidi».
Alice alzò la mano, con le dita tese, agitandola appena. «Io, io!».
«Sì…? Mi scusi, non conosco il suo nome».
«Alice McDonald. Prima di tutto, devo dire che sono una sua grande fan. Penso che sia stato grande in quel documentario sul Macellaio di Tayside». Non aveva ancora abbassato la mano.
Docherty gongolò. «Oh, l’ha visto. Ottimo. Grazie. Dunque, qual è la sua domanda… ehm… Alice?»
«Ha detto che attacca le donne perché sta sublimando sentimenti di vendetta nei confronti di una figura materna manipolatrice e soffocante, ma questo non spiega il significato delle bambole… o sì?»
«Bene, questa è un’altra ottima domanda. Vede…».
«Cucendo delle bambole all’interno delle vittime, l’Inside Man le feconda, giusto? Infila letteralmente un bambino nel loro grembo…». Si passò un braccio intorno al busto, poi abbassò la mano e se la passò tra i capelli. «Certo, poi confonde le acque vestendole con camicie da notte bianche, che sono chiari simboli di innocenza e verginità, ma se questa fosse una vendetta contro una madre che non l’ha amato, perché sta cercando di fecondarla? Cioè, non dico che non possa accadere, ho aiutato la Northern Constabulary a prendere un uomo che aveva fatto proprio questo, e poi l’aveva accoltellata sessantaquattro volte alla gola, al punto che la testa di quella povera donna si era quasi staccata, quando l’avevano infilata nella busta di plastica. Le foto erano davvero scioccanti».
«Capisco». Il sorriso di Docherty si fece più freddo di almeno cinque gradi. «Quindi, mi sta dicendo che secondo lei, il mio profilo è sbagliato?».
Alice piegò la testa di lato, imitando la postura dello psicologo. «Non ho detto che è sbagliato. Solo che non credo sia del tutto giusto».
All’altro fianco di Alice, la dottoressa Constantine bisbigliava, appena udibile: «Combatti, combatti, combatti, combatti…».
La mascella di Docherty si mosse lentamente, come se stesse masticando un boccone amaro.
«Senza offesa». Alice si premette una mano sul cuore. «Come ho detto, sono una sua grande fan. Grandissima».
La Ness si alzò. «Forse sarebbe più utile se il dottor Docherty e…». Controllò gli appunti. «La dottoressa McDonald portassero questa discussione fuori da qui e poi facessero sapere ai loro rispettivi capisquadra quello che ne è venuto fuori. Nel frattempo: devo ricordare a tutti voi che al momento deve essere mantenuto il più assoluto silenzio con la stampa. Ai piani alti non sono stati contenti del fatto che qualcuno abbia raccontato ai giornalisti di Claire Young. Non mi interessa chi siate, o a chi facciate rapporto: le uniche informazioni che devono uscire da questa indagine sono quelle delle conferenze stampa ufficiali. Sono stata abbastanza chiara?».
Un vago brusio riempì la stanza.
Il sovrintendente Knight si alzò, con l’uniforme ufficiale indossata alle sette e mezzo del mattino, come se dovesse impressionare qualcuno. «A proposito di ciò, uno dei miei della Divisione Speciale Anticrimine, l’ispettore Foot, inviterà alcuni di voi ad aiutarlo a scoprire chi sia stato a divulgare informazioni riservate al “Daily Record”, ieri. Mi aspetto onestà e integrità. E se non la otterrò… ci saranno problemi».
La Ness annuì. «Molto bene, questo è tutto, signori. Le riunioni individuali delle varie squadre inizieranno tra cinque minuti. Fumate una sigaretta o bevete un caffè, se potete. Sarà una lunga giornata».
«…ti trovo bene, vecchio mio». Il detective Brigstock mi batté una pacca sulle spalle, sorridendo a bocca aperta, le guance e la fronte butterati dai crateri dell’acne. «Non ti sembra che stia benone, Rhona?».
Lei mi sorrise, mostrandomi una bocca piena di fitti denti grigiastri. «È bello riaverla qui, capo».
La metà della squadra investigativa della Ness era rimasta indietro, mentre i loro rivali della Divisione Speciale Anticrimine erano usciti a fumare o a prendersi qualcosa dai distributori automatici.
Il gruppo di Jacobson si era diviso: l’agente Cooper era corso a sbrigare una commissione; la dottoressa Constantine era al telefono, in un angolo; invece Huntly era impegnato in quella che sembrava una conversazione molto animata con un tizio alto e magro in completo grigio, uno degli uomini di Knight. La discussione era punteggiata da ampi gesti delle braccia e sibili soffocati.
Rhona si ficcò le mani nelle tasche, ingobbendo le spalle. «Senta, capo, io pensavo di organizzare una piccola festa, sa, per il suo ritorno. E…».
«Non credo ce ne sia il tempo, vero, Ash?». Alice si intromise, prendendomi a braccetto e sorridendo a Rhona. «Sono davvero felice di essere riuscita a farlo uscire, non potete capire gli ostacoli che ho dovuto superare lì al carcere, ma non potevo proprio permettere che marcisse lì dentro». Il suo sorriso si fece più affilato. «Sarebbe stato davvero orribile, no?».
Rhona raddrizzò le spalle. «Abbiamo fatto del nostro meglio».
«Sì, lo so. Comunque, non importa, ora è libero».
Non di nuovo quella storia…
«Non mi pare che tu sia andata a fargli visita ogni settimana».
Alice sollevò le sopracciglia. «E tu? Be’, sai, ai civili non danno l’accesso al…».
Un forte accento di Aberdeen si fece sentire nella stanza. «Detective Massie, Brigstock: avete sentito il sovrintendente. Le riunioni iniziano alle otto in punto». Non sembrava che le capacità degli uomini di Smith fossero migliorate, negli ultimi due anni. Aveva fatto il gesto di tirare su la manica del suo completo grigio di Markie’s per controllare l’orologio. Profonde rughe gli segnavano la fronte. Aveva un grosso naso fremente, i capelli quasi rasati a zero e un mento così piccolo da sembrare inesistente.
Il volto di Brigstock si rabbuiò per un attimo, poi la sua voce si ridusse a un sussurro. «Perché hanno dovuto promuovere a ispettore quel bastardo fottipecore?». E poi, più forte: «Sì, capo».
«Adesso, detective».
Rhona non si mosse. Restò lì a fissare Alice. «Sì, capo». Poi le voltò le spalle. «Andiamo, Brigstock. E quanto a voialtri: muoversi. Avete sentito l’ispettore Smith!». Guidò il resto della squadra verso il fondo della stanza, dove la Ness stava di nuovo giocherellando con il telecomando.
Smith ci guardò, per poi superarci, la schiena dritta e le spalle larghe. «Devo forse ricordarle, signor Henderson, che lei non è più un agente di polizia? Non ha alcun potere, a Oldcastle o in nessun altro luogo. E se sento che prova a fare il gradasso, le verrò addosso come una tonnellata di schegge di vetro. Sono stato chiaro?».
Avanzai di un passo, chiudendo le distanze fin quasi a sfiorarlo. «Pensa di essere un grand’uomo perché l’hanno promossa a ispettore, vero? Pensa che questo la renda invulnerabile. Be’, quel suo grosso naso si romperà come quello di un qualsiasi detective».
Lui fece un passo indietro. «Minacciare un ufficiale di polizia è un crimine e…».
«Ispettore Smith?». La voce della sovrintendente Ness si fece sentire dal fondo della sala. «Siamo pronti a iniziare». Premette un pulsante e sullo schermo dietro di lei comparve una mappa di Oldcastle, con un cerchio rosso che delimitava Blackwall Hill. Fece un cenno a Jacobson. «Simon, la tua squadra è la benvenuta, se volete unirvi a noi».
«Apprezzo l’offerta, Elizabeth, ma alcune questioni urgenti richiedono la nostra attenzione». Sollevò un braccio e guardò l’orologio. «E se non ci muoviamo, faremo troppo tardi».
«Non mi sento le dita dei piedi…». La dottoressa Constantine sbatté i piedi a terra. Si era avvolta la sciarpa intorno al collo e alla bocca, calcandosi il cappello di lana sulle orecchie e chiudendosi il parka fino al mento.
Jacobson si appoggiò al muro alto fino alla vita, con le mani sprofondate nelle tasche del giubbotto di pelle marrone, il respiro che si condensava in una fitta nebbia. «Ti fa bene. Tempra il carattere».
Kings Park si estendeva ai due lati del gruppo, l’erba irrigidita dalla brina. Ombre bluastre scendevano dal cuneo di granito di Castle Hill, i contrafforti in rovina aguzzi e irregolari contro il cielo ancora pallido. Una lama di luce perforava l’oscurità, frastagliata alle estremità, dove gli alberi la tagliavano, facendo scintillare il Kings River.
L’odore di cipolle fritte nel grasso si espandeva nell’aria fredda, denso, dolce e cupo, proveniente dal chiosco mobile in fondo al parcheggio. L’agente Cooper era quasi arrivato alla fine della fila.
Huntly ci dava le spalle, intento a fissare il fiume, le braccia conserte e il cappotto di cammello avvolto intorno al corpo, le scarpe lucide che spuntavano da sotto. Sembrava depresso.
Jacobson si volse ad Alice. «Allora? Che ne pensi di Docherty?»
«È molto più basso di come si vede in TV». Si avvolse un braccio imbottito intorno al busto imbottito, mentre l’altra mano giocherellava con le ciocche di capelli che spuntavano fuori dal cappuccio del giaccone. «Sulla base di quel che sappiamo finora, è ragionevole essere cauti e dire che potrebbe anche non trattarsi dell’Inside Man. I giornali non parlano che dell’imminente “parto miracoloso” di Laura Strachan, e forse la notizia ha fatto scattare una scintilla nella testa di qualcuno. Cioè, immaginate di essere a casa da soli, pieni di rabbia e impotenza, alla ricerca di un modo per vendicarvi di un mondo che vi odia, e poi iniziate a vedere tutti questi articoli sull’Inside Man e magari pensate: ecco cosa posso fare, sarò come lui, anzi meglio, e farò in modo che tutta questa rabbia che ho dentro mi lasci in pace per un po’…».
Si girò, con gli occhi stretti e la bocca serrata. «Ma non può funzionare, perché questa non è una mia fantasia, bensì di quella di un altro. Eppure, finché non ci proverò, non potrò capire cosa voglio davvero, e forse c’è qualcosa di questa fantasia che mi fa sentire potente e capace di controllare le cose, ed eccitato per la prima volta da troppi anni, e quindi prenderò questa cosa e la rivivrò ancora e ancora nella mia testa, finché non sarà perfetta, e allora andrò lì fuori e lo farò di nuovo, solo che questa volta sarà fatto bene». Lasciò andare i capelli e alzò lo sguardo su di me. «Insomma, se fossi stata io, avrei ragionato così».
Annuii. «Quindi stai dicendo che non è lui?»
«Questo dipenderà dalla prossima vittima. Se è un altro, il modus operandi cambierà, perché proverà a sperimentare e a trovare un suo personale schema. Se invece resterà identico, probabilmente si tratta di lui». Si volse a Jacobson. «Alla conferenza, la Ness non ha risposto a questa domanda: ha o non ha mandato una lettera, dopo Claire Young?»
«Ecco… ieri era domenica, quindi se l’ha mandata dopo averla uccisa, le poste non la ritireranno prima di oggi, e non sarà consegnata fino a domani. Se siamo fortunati, la troveremo prima che sia pubblicata sui giornali».
Alice si fece più vicina. «Sovrintendente, posso parlare con le sopravvissute della prima indagine, e rivedere i rapporti sulle vittime? Vorrei dare un’occhiata anche alle lettere dell’Inside Man. Le fotocopie che abbiamo sono quasi illeggibili. Avrei bisogno di avere accesso agli originali».
Lui le posò una mano sulla spalla. «Qualsiasi cosa, per te. E, per favore, chiamami Bear».
Sì, be’, probabilmente non sarei dovuto scoppiare a ridere. «Sul serio? Non era una battuta? Vuole davvero che la chiamiamo “Bear”?»
«La dottoressa McDonald mi ha davvero compiaciuto, questa mattina, mettendo a posto quell’arrogante idiota della TV a caccia di pubblicità. Bernard?».
Il professor Huntly continuò a fissare il fiume, cupo come prima.
«Hai fatto sembrare un coglione il ragazzo della Divisione Speciale Anticrimine che ha chiesto della telefonata. Quindi sei perdonato per ieri».
Huntly alzò una spalla, fissandosi le scarpe. «Grazie, Bear».
Jacobson mi piantò un indice sul petto. «Finora, tu non hai fatto altro che zoppicare in giro, occupando spazio e mangiando la pizza di Sheila. Quanto a te, puoi chiamarmi “signore”, “capo”, o “sovrintendente”».
Un passo avanti e mi trovai a pochi centimetri dal suo naso, torreggiando su di lui. «Che ne dice se invece la chiamo…».
«Ash…». Alice mi tirò per una manica. «Ricordi quella cosa di cui abbiamo parlato? Di andare a dare un’occhiata al luogo dove è stato ritrovato il cadavere? Dovremmo andarci subito, non pensi? Insomma, abbiamo tanto da fare oggi, e vogliamo tutti fare del nostro meglio per portare avanti l’indagine, così potremo restare fuori dal carcere, giusto? Per favore…».
E perdere l’occasione di spaccare la faccia a quel piccolo bastardo e…
Non essere così maledettamente stupido.
Un rapido battito di ciglia. Un respiro profondo. «D’accordo». Forzai un sorriso e battei una pacca sulla spalla di Jacobson. «Mi spiace, sto cercando ancora di abituarmi al fatto che non sono dentro. Sa com’è…».
Jacobson sollevò il mento, restituendomi il sorriso. «Potete portarvi dietro Bernard. Lui non guida».
Huntly si schiarì la gola. «Possiamo almeno aspettare il mio panino con la salsiccia?».
«…piuttosto ridicolo, di certo è appropriato osservare un giusto periodo di lutto». Sul sedile posteriore, Huntly diede un altro morso al panino con la salsiccia, mentre la salsa al pomodoro scivolava fuori da ogni parte, macchiandogli le dita. Masticò, con le labbra rivolte in giù, come se avesse la bocca piena di cenere. «Non mi sono mica infilato tra le lenzuola della prima che ho visto, giusto? Le persone civili non si comportano così».
Alice accese la radio. «Forse un po’ di musica ti solleverà il morale…».
«…confermato che la famiglia di quattro persone trovata morta tra i resti in fiamme della casa di Cardiff mercoledì è stata brutalmente uccisa a colpi di martello. E torniamo alle notizie locali: continuano le ricerche di Charlie Pearce, il bambino di cinque anni scomparso, e la polizia…».
La spense di nuovo. «Forse no. Giochiamo a “Indovina chi?”».
All’esterno del finestrino della Suzuki, Oldcastle viveva l’ora di punta. Auto, furgoni e autobus scivolavano lungo le strade in un serpente di metallo al rallentatore, i clacson che componevano un coro mattutino.
Huntly esalò un profondo quanto teatrale sospiro. «È triste, oscura e solitaria, cos’è? Vi arrendete? È il resto della mia vita».
Piantai l’estremità del bastone contro il pianale dell’auto. Digrignai i denti. «Perché invece non ce ne stiamo tutti zitti finché non arriviamo?».
Alice mi lanciò uno sguardo severo dal posto del guidatore, una smorfia sul viso e le sopracciglia sollevate.
Huntly si spostò, piegandosi in avanti fino a sporgere la testa nello spazio tra i due sedili, riempiendo l’aria con l’odore di salsiccia nel suo alito. «Hai mai amato qualcuno, Henderson? Intendo amato davvero, con tutto il cuore? E poi… poi quel qualcuno sparisce, e non c’è niente che tu possa fare per riportarlo indietro?». Mi prese per una spalla, serrando le dita. «Dio, fa male».
Alice mi fissò a bocca aperta. «Ehm… a dire il vero, forse dovremmo…».
Io sbattei la mano sul cruscotto. «L’autobus!».
Alice frenò, sterzando bruscamente a destra e quasi finendo contro un taxi proveniente dalla direzione opposta. Ci fermammo di botto in mezzo alla strada.
Un’anziana signora con un carrello della spesa in tartan si fermò sul marciapiede, a bocca aperta, mentre il suo Westie terrier latrava contro la macchina, con la coda dritta e tesa.
Il tassista tirò giù il finestrino e ci indirizzò una sequela di imprecazioni, prima di alzare il dito medio e andarsene.
Alice sbuffò gonfiando le guance. «Bene. Riproviamo». Superò l’autobus e si rimise a sinistra della strada. «Scusate».
Huntly mi strinse nuovamente la spalla. «Donne al volante, eh?»
«Se non mi togli quella mano di dosso ora, penso che ti strapperò le dita e te le ficcherò in gola una dopo l’altra finché non soffochi».
Lui mi lasciò andare, si leccò le labbra e tornò ad appoggiarsi allo schienale del sedile. «Stavo solo scherzando».
«E non voglio più sentire una parola».
Silenzio.
Avanti, di’ qualcosa. Qualunque cosa.
Ma non lo fece. Non era stupido come sembrava, dopotutto.