CAPITOLO 10
«…e questo era Mister Bones con Snow Loves A Winter. State ascoltando Jane Forbes, che terrà il fortino fino al ritorno di Sensational Steve per il Breakfast Drive-Time Bonanza delle sette. Seguiteci e non perdetelo, sarà… sensazionale!».
Sbattei le palpebre, fissando il soffitto. Non aveva la forma giusta, le luci erano tutte sbagliate. Perché diavolo era…
Sospirai sussultando, e il martellio nelle orecchie rallentò. Un altro profondo respiro.
Giusto. Non ero più in cella.
«A tra poco con il notiziario e il meteo – indovinate un po’? pioverà – ma prima ci sono gli Halfhead, con il loro singolo di Natale Sex, Violence, Lies and Darkness…». Il suono distorto di un piano e di chitarre dolenti si fece sentire dai piccoli altoparlanti della radiosveglia.
La voce del cantante sembrava filo spinato immerso nella melassa. «Bones in the garden, they sing like an angel…».
Mi girai e controllai: le sei e un quarto. Che senso aveva uscire di prigione se non si poteva neanche dormire fino a tardi? Maledetto Jacobson.
«The shadows are sharp and they burn deep inside…».
La riunione alla Centrale di Polizia, “la Preghiera del Mattino”. Sarebbe stato divertente. Forse, con un po’ di fortuna, avrei evitato di spaccare la faccia a qualcuno…
Dovevo mantenere la calma, quel giorno. Niente rabbia. Niente aggressioni. Niente che potesse farmi tornare dietro le sbarre prima che Mrs Kerrigan avesse uno sfortunato incidente.
«Her body is cold, her voice hard and painful…».
Niente pugni. Occhi sull’obiettivo.
Avanti, Ash. Alzati.
Tra un minuto.
Mi stiracchiai sotto le lenzuola, occupando l’intero letto a due piazze. Solo perché potevo farlo.
«A knife-blade of bitterness, spite, and hurt pride…».
Poi la pressione alla vescica finì per rovinare tutto. Mugolando, mi tirai su, misi fuori le gambe dal letto e sospirai. Iniziai a roteare il piede destro in piccoli cerchi. Da un lato e poi dall’altro. Arricciando le dita. Facendo grattare sottili lame di metallo rovente lungo le ossa, fin sotto al nodo rigonfio di tessuto cicatriziale lasciato dal proiettile. Una metafora della mia intera, maledetta vita, proprio lì.
«Sex, lies, and violence, a love filled with sharpness…».
Non aveva senso indugiare ancora. Dovevo alzarmi.
Zoppicai fino al comò.
«Stoking the fires to stave off the darkness…».
Dopo una breve ricerca, riuscii a trovare nel terzo cassetto due asciugamani di grandi dimensioni. Me ne avvolsi uno intorno alla vita, presi il bastone e girai la chiave nella toppa della porta, mentre la canzone alla radio indugiava in uno stacco strumentale, tutto accordi minori e tristezza.
Il suono di qualcuno che stuprava una vecchia canzone degli Stereophonics si udì dal fondo del corridoio, con un bollitore borbottante in sottofondo. Shifty fece capolino dal soggiorno e mi sorrise. Aveva gli occhi scintillanti e svegli, nonostante la sera prima avesse inghiottito abbastanza champagne e whisky da riempirci una vasca. Si era perfino sbarbato. «Spero tu abbia fame, perché abbiamo abbastanza cibo, qui, da sfamare una famiglia numerosa. La colazione sarà servita tra cinque minuti, che tu sia seduto al tavolo oppure no». E poi sparì di nuovo.
«Buongiorno, Shifty». Provai ad aprire la porta del bagno. Era chiusa a chiave.
Sentii la voce di Alice dall’interno, soffocata e impastata come se avesse la bocca piena. «Un momento…». Poi il rumore di qualcuno che sputava e dell’acqua che scorreva nel lavandino. La porta si aprì e la vidi lì sulla soglia, con un accappatoio di soffice spugna addosso e un asciugamano intorno alla testa. Una nuvola di vapore all’arancia si espandeva dietro di lei. «Non sei ancora pronto? Abbiamo la riunione alle sette e sono…».
«Che fine ha fatto il dopo sbronza?»
«Caffè. Il caffè è fantastico, davvero, ed è come un… botto, se lo bevi al mattino presto, e poi credo di essermi alzata di notte a bere dell’acqua, e pensa, stavo facendo un sogno assurdo, c’era un incidente e un cane e poi inseguivo qualcuno in una stazione, ma poi invece era un concerto rock, e c’era una donna in tuta blu e tutti erano sudati… che strano, vero?». Mi oltrepassò e aprì la porta della sua stanza. Si bloccò sulla soglia. Una ruga le si formò tra le sopracciglia. «Forse è stata la pizza, forse non avrei dovuto mangiare un’intera quattro formaggi prima di andare a dormire, ma in realtà non stavamo per andare a dormire, cioè, abbiamo solo cenato un po’ più tardi del solito, e poi mi piace il formaggio. A te no? Insomma…».
«Okay». Sollevai una mano. «Niente più caffè, per te».
«Ma a me piace il caffè, è la cosa migliore, e Dave ha portato una piccola caffettiera di metallo, la metti direttamente sul fornello e metti il caffè da un lato e l’acqua dall’altro, e ottieni un espresso delizioso…».
«Shifty ha detto che avrebbe servito la colazione tra cinque minuti».
«Oh, certo, sarà meglio che mi vesta. Ma dovresti davvero provare quell’espresso, è meraviglioso e…».
Scivolai nel bagno pieno di vapore e mi tirai dietro la porta.
Alice si piegò verso di me, la voce ridotta a un sussurro. «Allora non era un sogno?».
La sala riunioni doveva essere stata ritinteggiata di recente: un soffocante odore di vernice emanava ancora dalle pareti. Uomini in uniforme e non si erano sistemati in un semicerchio di scricchiolanti sedie di plastica intorno al tavolo in fondo alla stanza, la distanza tra i gruppi faceva intuire le divisioni. Davanti a sinistra: gli uomini e le donne che sarebbero dovuti uscire a pattugliare le strade. Davanti a destra: i ragazzi della Divisione Speciale Anticrimine, con la loro aria distinta e i completi eleganti. Dietro di loro: il CID di Oldcastle, che somigliava a una rivolta in un negozio di abiti usati. Tutti con penne e taccuini pronti.
In fondo: Jacobson, l’agente Cooper, il professor Huntly, la dottoressa Constantine e Alice. Io avevo scelto il posto accanto al suo, verso l’esterno. La gamba destra distesa, il bastone appoggiato contro lo schienale della sedia davanti, mentre l’agente di turno scandiva con voce monotona le assegnazioni giornaliere.
«…i furti d’auto sono aumentati del quindici per cento in quella zona, quindi tenete gli occhi aperti. Quanto ai furti nei negozi…».
Mi spostai sulla sedia. «Certo che non era un sogno, volevi una storia della buonanotte e te ne ho raccontata una…».
Alice alzò lo sguardo su di me. «Davvero? Che dolce».
«Su come mi sono lasciato scappare l’Inside Man».
«Oh». Il sorriso le si smorzò appena. «Comunque, è il pensiero quello che conta, no? Dunque è vero che hai fatto radunare tutti quelli in tuta blu».
Annuii. «Rhona ne ha radunate nove. Due ore prima, sarebbero state a dozzine… l’intera maledetta squadra di calcio era venuta a pedalare su quelle cyclette. Il sovrintendente ha interrogato tutti, controllando gli alibi. Niente».
Lei puntò lo sguardo sul davanti della stanza.
L’agente di turno continuava a borbottare: «…effrazione negli appartamenti di Hudson Street…».
«E il treno per Edimburgo?»
«L’hanno perso ad Arbroath, ma erano ad aspettarlo a Carnoustie. Non c’era nessuno in tuta blu a bordo. Ma la telecamera di sorveglianza del treno aveva registrato un uomo che corrispondeva alla descrizione e che è sceso alla prima fermata».
«…ricordate che, anche se sono solo studenti, questo non significa che potete trattarli, e cito parole testuali, “come lavativi parassiti”. Fitzgerald, sto parlando con te…».
«Era lui?»
«Abbiamo lanciato un appello, ottenuto un nome, e fatto un raid all’alba. Ma abbiamo scoperto che si trattava di un insegnante di religione che era andato a fare la pedalata di beneficenza».
«Oh».
Il professor Huntly si chinò in avanti, lanciando uno sguardo di fuoco a noi due, oltre la dottoressa Constantine, mostrando i denti in un bisbiglio sibilante. «Volete smetterla, voi due?».
«…Charlie è scomparso tra le undici e mezzo di ieri notte e le sei di questa mattina. Ha solo cinque anni, quindi tenete gli occhi aperti. È scappato già altre due volte, ma la madre è già nel panico. Cerchiamo di fare del nostro meglio, signori».
Fissai Huntly di rimando, finché non si leccò le labbra e distolse lo sguardo. Lo vidi tornare ad appoggiarsi allo schienale della sedia.
Al suo posto, avrei fatto lo stesso.
Mi chinai di nuovo verso Alice. «Ma abbiamo comunque perquisito il suo appartamento. E abbiamo trovato del materiale pedopornografico e un’arma da fuoco non registrata. Credo che al momento sia in fin di vita in un ospedale: qualcuno gli ha spaccato la testa nella lavanderia della prigione».
«…ma non meno importante: un certo Eddie Barron, ricercato. È schedato per rissa e aggressione a mano armata, quindi non ditemi che non vi avevo avvertito…».
Dall’altro lato di Alice, la dottoressa Constantine si raddrizzò. «Oh oh, ci siamo».
In fondo alla stanza, l’agente di turno chiuse il discorso. «Bene, se non fate parte dell’Operazione Balsamo di Tigre, siete congedati». Sollevò un mucchietto di fogli con la scritta “AVETE VISTO CHARLIE?” a grandi lettere maiuscole sopra la foto di un bimbetto dai capelli neri, con le orecchie a sventola, un sorriso da piccola canaglia e il visetto pieno di lentiggini. «Prendete uno di questi volantini, portate le chiappe fuori da qui e arrestate qualche bastardo».
Metà della stanza si svuotò, mentre gli agenti in uniforme e quelli del CID si lamentavano per essere stati allontanati, si raccontavano gli aneddoti del weekend o borbottavano mezze imprecazioni all’idea di dover tifare per Aberdeen o Dundee, ora che i Warriors erano fuori dai giochi. L’agente di servizio uscì con loro, portando con sé una vagonata di scartoffie.
Il sovrintendente detective Ness prese la parola. «Qualcuno spenga le luci».
Ci furono un paio di scatti, e la stanza fu avvolta dall’oscurità. Poi la Ness puntò un telecomando verso il proiettore montato sul soffitto, e due foto comparvero sullo schermo alle sue spalle. Quella a sinistra ritraeva una donna decisamente pallida sulla spiaggia di Aberdeen, che sorrideva verso l’obiettivo, in bikini verde e con la pelle d’oca. L’altra foto era della stessa donna, raggomitolata su un fianco su un letto di rovi. La camicia da notte bianca era rimasta impigliata tra i rami spinosi, ed era sollevata al punto da mostrare la lacerazione violacea sul suo ventre. I lembi della ferita erano tenuti insieme da rozzi punti di filo nero, zigzaganti sulla pelle tesa.
«Doreen Appleton, ventidue anni. La prima vittima dell’Inside Man. Infermiera al Castle Hill Infirmary».
La Ness premette un pulsante sul telecomando. Doreen Appleton venne sostituita dalla foto di un’allegra ragazza bruna in abito da sposa, e dalla stessa donna distesa sulla schiena in un’area di sosta. Era vestita con una camicia da notte simile a quella della prima vittima, il tessuto macchiato di sangue sull’addome gonfio. «Tara McNab, ventiquattro anni. Vittima numero due. Infermiera al Castle Hill Infirmary. Qualcuno ha chiamato il numero d’emergenza da una cabina telefonica a un miglio da dove è stata trovata…».
Un click, e una crepitante registrazione di una vecchia audiocassetta si udì nella stanza, con la voce di un uomo, seria e professionale: «Servizio di emergenza, cosa posso fare per lei?».
La donna che rispose sembrava completamente ubriaca, le parole impastate e difficili da capire. La voce distorta. «Una donna è stata… abbandonata in un’area di sosta, a un… un miglio e mezzo circa a sud dello Shortstaine Garden Centre, su Brechin Road. Lei…». La voce sussultò per un attimo, come se la donna stesse trattenendo un singhiozzo. «Non si muove. Se… fate in fretta, potete salvarla. È molto debole… possibili lesioni interne… Oh, Dio… Gruppo sanguigno: B positivo. Sbrigatevi, vi prego…».
«Pronto? Può dirmi il suo nome? Pronto?».
Silenzio.
«Dannazione». Un rumore di fondo, come se l’operatore avesse posato una mano sul ricevitore del microfono, per non far sentire la sua voce. «Garry? Non crederai a quello che mi è appena…».
La Ness sollevò il telecomando. «L’ambulanza arrivò quindici minuti dopo, ma la donna era già morta. Le analisi dell’audio hanno confermato che era stata lei stessa a chiamare».
Uno degli uomini della Divisione Speciale Anticrimine alzò la mano. «È stata davvero lei a fare la chiamata?».
Ci fu una pausa, poi la sovrintendente aggrottò le sopracciglia e serrò le labbra. Chiuse gli occhi per un attimo. «Qualcuno vuole rispondere?».
Il professor Huntly scoppiò a ridere. «Esattamente, come credi abbia fatto una donna, con una grave emorragia interna, a effettuare una chiamata da una cabina telefonica, per poi camminare per un miglio fino alla fermata dell’autobus dove è stata trovata? Il serial killer l’ha registrata prima di scaricarla lì. Le droga, fa registrare loro l’SOS e poi le opera».
L’uomo della Divisione Speciale Anticrimine abbassò la mano. Poi si schiarì la gola, esitante. «La domanda era lecita…».
La Ness indicò la foto del corpo di Tara. «La squadra investigativa dell’epoca riuscì a scoprire da dove venivano le camicie da notte: tutte dall’Heading Hollows Market. Ne vendevano tre a cinque sterline. Il commesso, tuttavia, non ricordava a chi le avesse vendute e quando».
Premette di nuovo il pulsante del telecomando, e la vittima numero due fu sostituita da un foglio di carta strappato da un blocco per appunti giallo. La grafia sulle righe era in inchiostro blu, quasi indecifrabile. «Due giorni dopo il ritrovamento del corpo di Tara McNab, questa lettera è stata inviata a Michael Slosser del “Castle News and Post”. L’autore protesta per il fatto che i giornali hanno preso a chiamarlo “lo Squartatore della Caledonia”, dice che ci saranno altre vittime e che la polizia non sarà in grado di fermarlo, e si firma “l’Inside Man”». Tornò a sollevare il telecomando. «La prossima».
Sullo schermo comparve la vittima numero tre. La pelle scura era piena di lividi su un fianco, gli occhi vitrei che guardavano all’esterno dal fondo di una fossa, entrambe le braccia sopra la testa e una gamba girata di lato. Aveva anche lei una camicia da notte bianca, strappata su un lato e scura di sangue. Nell’altra foto, era ritratta mentre rideva, nel mezzo di quella che sembrava una festa di compleanno, il vestito di seta rossa che le si allargava intorno mentre ballava. «Holly Drummond, ventisei anni. Anche lei infermiera al Castle Hill Infirmary. I servizi d’emergenza hanno ricevuto la chiamata preregistrata alle due e mezzo del mattino. La voce era quella della vittima. È stata trovata morta sulla scena».
Holly Drummond fu sostituita da un altro foglio scritto a mano. «Questa lettera è arrivata al giornale il giorno stesso in cui è stato ritrovato il corpo. Ormai stava seguendo uno schema preciso: nella lettera affermava di essere forte e astuto, e che non saremmo mai riusciti a prenderlo. Da quel momento in poi, le lettere sono state più o meno tutte uguali».
La vittima numero quattro era una donna robusta che indossava un tubino senza spalline. La seconda foto la ritraeva a faccia in giù in fondo a un cavalcavia ferroviario, la camicia da notte sollevata fino alla vita e le natiche pallide nude. La pelle coperta di lividi verdastri e neri. «Natalie May, ventidue anni. Infermiera al Castle Hill Infirmary. Questa volta non c’è stata alcuna chiamata. È stata trovata da un gruppo di operai della ferrovia che doveva sostituire dei cavi elettrici».
Uno scatto, e un’altra lettera riempì lo schermo. «Questa volta, l’Inside Man si è lamentato del fatto che la donna non fosse, e cito testualmente, “abbastanza pura da ricevere la sua ricompensa”».
Una pausa. Lo schermo si spense. «Poi, abbiamo avuto un colpo di fortuna».
L’ampio viso sorridente di Laura Strachan, con le lentiggini che sembravano brillare sul naso e le guance, comparve sullo schermo con una ruota panoramica sullo sfondo. L’altra foto la ritraeva mentre veniva caricata su un’ambulanza, il viso disfatto e pallido, le lentiggini parzialmente oscurate da una maschera d’ossigeno.
La Ness indicò la foto. «La nostra prima sopravvissuta. La chiamata è stata effettuata da un telefono pubblico di Blackwall Hill. Hanno dovuto praticarle due volte il massaggio cardiaco mentre la portavano in ospedale, ed è stata a tanto così», portò pollice e indice vicini, «dal morire dissanguata, ma alla fine sono riusciti a salvarla».
La Ness premette di nuovo il pulsante del telecomando, e il viso di Marie Jordan riempì metà dello schermo. Dall’altra parte, compariva in un letto d’ospedale, con cavi e tubicini che la collegavano a una mezza dozzina di macchine. «Marie Jordan, ventitré anni, infermiera. Ancora una volta, una chiamata preregistrata. È stata trovata avvolta in un telo poco fuori dalla strada di Moncuir Wood. Ha subito dei danni cerebrali dovuti all’ipossia e alla perdita di sangue, ma è sopravvissuta. Nella lettera, il serial killer la definiva una “brava ragazza”».
Pausa.
«L’ultima vittima». Un click. Ed ecco Ruth Laughlin, seduta su una cyclette in shorts e maglietta sudata, con le braccia alzate come se stesse tagliando un traguardo. Un cerchio di gente applaudiva sullo sfondo, sotto a uno stendardo con la scritta “TRASFORMIAMO LE MIGLIA IN SORRISI!!!”. Doveva essere stata scattata il giorno in cui si era presa cura di me.
Il giorno in cui mi ero fatto scappare l’Inside Man.
«Ruth Laughlin, venticinque anni, infermiera pediatrica. Non c’è stata nessuna chiamata questa volta, perché l’Inside Man non è riuscito a praticare che le prime incisioni. Da quel che abbiamo potuto intuire, è stato disturbato nel corso dell’operazione, è scappato e l’ha lasciata lì a morire».
Tutto perché si era fermata ad aiutarmi.