XII

Eva

Anche Eva Kant poteva essere una sposa cadavere. Suo marito, lord Anthony Kant, ha cercato di ucciderla. L’ha chiusa in una prigione insieme a una pantera perché la bestia la sbranasse. «Non cercare di opporti, Eva. Tu sei soltanto una donna, debole e fragile.» È sopravvissuta a un tentativo di uxoricidio. A due, anzi. Anche Diabolik la aggredisce, la strangola, vuole ammazzarla. Perché lo fa? Perché lei gli ha disobbedito, come nella favola di Barbablù. È un episodio cruciale questo in cui Diabolik si avventa su Eva, allora ancora pettinata coi boccoli e vestita con una sottoveste di voile piena di fiocchi e di farpali. Succede all’inizio, è l’origine di tutto ed è, infatti, la nascita di Eva così come la conosciamo: fredda, seducente, implacabile, più acuta e preveggente di lui. Nella storia in cui Diabolik tenta di ucciderla lei sembra soccombere, al principio. Lui all’improvviso si ferma, allenta la presa al collo, dice: cosa sto facendo? Ha un momento di lucidità. Lei piange. Ha avuto di nuovo paura di morire: è un punto di non ritorno, quello. Ogni donna lo sa. Niente dopo è più come prima. Eva si lascia abbracciare. Lui le chiede perdono. Lei pensa: proverò, ci proverò a perdonarti. Non glielo dice però, tace. Nel quadro successivo è un’altra donna: ha il maglione a collo alto nero e attillato, i pantaloni di pelle, i capelli raccolti indietro tirati in uno chignon. Niente più boccoli, niente orecchini e collane, niente gonne né tacchi. Catwoman. Una giustiziera. Una pantera: adesso la pantera è lei.

A leggerlo più di quarant’anni dopo, a leggerlo oggi quell’episodio di Diabolik, sembra scritto stamattina. Nulla è cambiato davvero e se qualcosa sembrava lo fosse la storia ha fatto marcia indietro, a un certo punto: siamo ancora lì. Era il novembre del 1962 quando Angela e Luciana Giussani, due sorelle della buona borghesia milanese, uscirono col primo episodio di Diabolik, «fumetto per adulti». Angela e Luciana erano donne, come si sarebbe detto allora, emancipate. Guidavano l’auto, quasi nessuna lo faceva. Angela aveva addirittura il brevetto di pilota d’aereo. Erano modelle ma vollero essere fotografe, come Lee Miller. Lavoravano, avevano il loro denaro. Angela era sposata a un editore, Gino Sansoni. Decise di aprire una sua casa editrice, Astorina, la sorella la seguì. Diabolik – il criminale, lo scandaloso antieroe – era l’erede di una potente tradizione narrativa, il feuilleton. I suoi antentati sono francesi: Rocambole, Arsène Lupin, Fantômas. Un criminale seducente, un cattivo geniale e di talento, un attraente assassino con modi da gentiluomo. La rivoluzione è Eva. Prima di allora (e molto dopo, ancora oggi) gli eroi maschili del fumetto avevano al fianco eterne fidanzate dolci e fragili, a volte capricciose come Minnie, a volte ombrose come Dale, la ragazza di Flash Gordon. Comunque donne che si mettono nei guai e devono essere salvate: Spiderman, Superman non fanno altro che questo, salvarle. Mai, prima di Eva, una donna aveva ribaltato i ruoli, era stata lei a salvare l’eroe. Eva Kant lo fa subito, al principio della saga: salva Diabolik dalla forca dimostrando ingegno, coraggio, autonomia. Tutta la storia parte da qui.

L’episodio si chiama L’arresto di Diabolik, è il numero 3 del 1963, 150 lire. Lui sta per essere ghigliottinato, lei lo salva. Ma chi è Eva, da dove arriva nella sua vita? In effetti ha il curriculum ideale per stare con un bandito: collaboratrice di un gangster, spia industriale, cantante, ballerina, sospettata di aver ucciso il primo marito. Forse uxoricida, sì, perché nella storia in cui lord Anthony cerca di farla sbranare dalla pantera (Eva Kant. Quando Diabolik non c’era in Il grande Diabolik, 2003) è lui alla fine a soccombere. «Io ero rimasta a guardarlo mentre moriva fra atroci tormenti. Avevo assaporato la mia vendetta, così dolce e così amara.» La vittima designata e scampata alla morte diventa oggetto di sospetto, come capita: in fondo il morto è lui, non sarà la moglie diabolica ad averlo eliminato per crudeltà, per calcolo, per capriccio? Ma torniamo a oggi: al giorno in cui è Diabolik a tentare di ucciderla. Tutta la vicenda è ripercorsa in una serie di tortuosi flashback in Eva Kant. Gli occhi della pantera, 2008. La storia comincia così, con «molti anni fa...». Quarantacinque, per l’esattezza, ma Eva è sempre quella: invecchiamo noi, non lei. Due pagine: lei è in camera da letto in camicia da notte di seta tutta trine e jabot. Lui in tuta nera e maschera. «Diabolik non perdona i traditori» le annuncia allungando le mani verso il suo collo «e ha un solo modo di vendicarsi.» Il modo è uccidere, naturalmente. Lei grida: «No, amore ti prego». Lui stringe. Due quadri muti, la morte si avvicina. Lui, però, all’improvviso molla la presa. «Cosa sto facendo? Non posso. Non posso uccidere la donna che amo. Ti prego, Eva, perdonami.» Lei piange a occhi chiusi. «Perdonami.» Lei lo bacia. Pensa: «Proverò».

Compare Eva, poi. Racconta, in questa nuova e più recente storia, come è diventata quella che è adesso. Lui tentò di ucciderla perché lei, fino ad allora devota e silenziosa assistente, aveva disobbedito a un suo ordine ed era tornata indietro a salvare un gruppo di marinai innocenti destinati da Diabolik alla morte. Quella che lui considera «irrazionale e pericolosa pietà». Da allora sei volte lo sottrae alla ghigliottina, alcune decine gli salva la vita. Per farlo rischia la sua, si allea persino con Ginko: il nemico. Mostra assoluta autonomia, spesso intralcia e modifica i suoi piani. Quando lui le manca di rispetto se ne va, lo abbandona: lo lascia da solo (Eva è scomparsa, numero 18 del 1978). È gelosa (a ragione, lui divaga spesso), è superstiziosa, rivendica tempo libero per loro: lavori troppo, gli dice come fosse una qualunque devota mogliettina. Ma è Gli occhi della pantera a rivelarci i più sottili risvolti psicologici della loro nuova unione e del riscatto di Eva. La pantera è un quadro che lei rubò per lui molti anni prima, proprio al tempo in cui Diabolik aveva tentato di ucciderla.

È il simbolo di quella trasformazione ed è rimasto – il quadro – in un loro antico rifugio. Ci tornano, oggi, perché Diabolik ha in mente un nuovo colpo. Lei è turbata dal ritorno, lui no. Lei glielo fa capire, allora: agli uomini certe cose bisogna dirle con le parole. «Mi sembra di fare un viaggio indietro nel tempo» gli dice. Lui dice: «Da allora il nostro rapporto è cambiato in meglio, spero». Si vede che si ricorda. Lei lo tranquillizza, lo bacia, ora vai. Lui esce. Nuovo flashback di Eva: ricorda il giorno dopo l’aggressione. Per farsi perdonare Diabolik la portò a cena fuori in un favoloso ristorante, una terrazza sul fiume. Lei aveva ancora boccoli e vestitucci, un neo dipinto in volto e il rossetto a far le labbra a cuore. A fine cena lui le regala una preziosa collana. «Un regalo per farmi perdonare, e tu sai a cosa mi riferisco.» Bastò questo a rovinare tutto, dice una voce fuori campo. Lei la notte non dorme, si gira nel letto. «Come può aver creduto che bastasse quella collana a cancellare tutto? E io come posso illudermi di dimenticare?» Si appisola, ha un nuovo incubo: l’immagine del suo primo marito che le dice «sei solo una donna debole e fragile» si sovrappone a quella di Diabolik che tenta di strangolarla e le grida «la tua vita è mia». Lui la sente gemere nel sonno, va da lei e l’abbraccia. Un abbraccio che dura più di venticinque secondi, dicono le neuroscienze, abbatte ogni capacità femminile di reazione. Lui si scusa, l’abbraccia ancora, lei cede. Fanno l’amore. Lei al risveglio, di nuovo sola, pensa ancora a quel giorno lontano: lui ha cercato di ucciderla, certo, ma lei forse aveva sbagliato a disobbedirgli. In ogni caso Diabolik si è pentito. «Ha fatto autocritica, sinceramente. Di più non avrei potuto pretendere per come era lui a quei tempi, ma ora devo sforzarmi anche io per spostare il rapporto su un piano più paritario anche nei piccoli gesti quotidiani.» Devo sforzarmi, un piano più paritario. Dice così. Ecco che ordisce il suo piano. Gli regalerà quella tela, gli occhi della pantera, che a lui piaceva tanto. La ruberà per lui, farà tutto da sola. Lo inganna. Comincia col fare il calco della sua mano che – solo quella – apre la cassaforte dei tesori custoditi in casa. Fino a quel momento è solo Diabolik ad avere accesso al caveau, Eva non può. Ora sì che hanno le chiavi in comune, come in una coppia un conto corrente a doppia firma. Lo inganna, dunque: prende i soldi dalla cassaforte e con quei soldi va a comprare il quadro. Comincia qui un’avventura classica, contrattempi, uomini malvagi, oscure trame. Eva è sola, questa volta. Per andare in fondo al suo piano si traveste da ballerina di night club, rischia di essere violentata da un cliente in quanto ballerina (dunque prostituta, evidentemente), torna a casa, trascina Diabolik in una rapina di cui solo lei, Eva, conosce il segreto. «Era la prima volta che seguivamo un mio piano, e lui non lo sapeva. Provai paura, ma fu un attimo.» Nuovi contrattempi, imprevisti. Nuovi malvagi in agguato. Eva resta sola, la catturano. La legano a un’asse del soffitto e mentre sviene lei ha quell’incubo, ancora, una visione: il primo marito che nell’atto di ucciderla le dice «sei una stupida donna», Diabolik che le grida «cosa volevi fare senza di me, senza di me non sei niente». Reagisce, aggredisce, si salva. Ottiene finalmente il quadro: la pantera. Lo consegna a lui impacchettato con un nastro. Prima di aprirlo Diabolik le dice: «Ho riflettuto molto su quanto sei abile, su quanto possiamo esserci utili a vicenda. Tu e io sullo stesso piano, capisci?». Lei certo che capisce, ma pensa e non dice: «Guardandolo intuii che le cose davvero sarebbero cambiate. Non subito ma sarebbero cambiate. Soprattutto ero cambiata io. Avevo superato un punto di non ritorno». Soprattutto ero cambiata io. Diabolik apre il quadro, vede la pantera, dice: «Che cara, come hai fatto a ricordarti che mi piaceva?». Lei gli parla come a un bambino di sei anni, gli spiega che si ricorda le cose, tutte, soprattutto quelle che legge sul suo volto, nei suoi occhi. Gli dice che la pantera è un simbolo. «Capisci cosa significa? Era il segno che le cose erano per sempre cambiate fra noi.» Lui esita, la guarda e risponde: «Sì, credo di capire». Crede. Sono passati quarantacinque anni e stanno ancora insieme. La più longeva coppia di fatto della storia del fumetto, Eva alla guida.