XIX
Il programma segreto
Il segreto della rateta, la topolina dell’antica fiaba che tra mille pretendenti sceglie il gatto e si fa mangiare da lui, è al centro della narrazione del saggio di una psicanalista venezuelana intitolato Mujeres malqueridas, storie di donne impegnate in relazioni «distruttive e senza futuro». Mariela Michelena è nata a Caracas, ha cinquantatré anni, ha studiato e lavorato a lungo a Houston, Usa, vive oggi a Madrid. Dalla sua esperienza clinica sono nati numerosi libri di successo: quest’ultimo un autentico bestseller. Intervistata per la controcopertina della «Vanguardia» dice, nella sintesi giornalistica: «La topolina sceglie il gatto perché è l’unico che sicuramente la mangerà. Sceglie quello che soddisfa un programma segreto che ha a che fare con la storia infantile occulta. Io avevo una paziente che in realtà, attraverso le sue storie d’amore, la persona che voleva davvero conquistare era una nonna durissima che l’aveva cresciuta senza mai prestarle nessuna attenzione».
Senza entrare nei meandri della psicanalisi, ci possiamo tuttavia permettere di fermarci sul tema del «programma segreto». Michelena lo fa con prosa semplice, passaggi lineari. Proviamo a seguirla. Si domanda, al principio, come mai tante donne disinvolte, intelligenti, autonome ed emancipate accettino di subire maltrattamenti gravi e gravissimi spesso molto a lungo. Perché si aspettino che il loro personale aguzzino cambi quando è evidente che non cambierà. Perché quando si liberano di uno ne cerchino un altro esattamente uguale al precedente. Perché, insomma, risulti conveniente per queste donne una situazione tanto dolorosa dalla quale potrebbero, solo volendolo, liberarsi con relativa facilità. Simone de Beauvoir faceva discendere una certa passività femminile, la capacità di subire, dalla situazione di svantaggio economico culturale e sociale in cui le donne – negli anni in cui scriveva, e spesso ancora oggi – si trovavano e si trovano. Non è questo il nostro caso, però. Qui stiamo parlando di donne cresciute durante o dopo le battaglie per l’emancipazione, donne che possono contare su uno stipendio proprio, su una cultura solida, che hanno un loro posto nel mondo e non vivono all’ombra di alcuno: occupano spesso posti anche di responsabilità nella politica, negli affari, nei commerci e tuttavia sopportano in privato una soggezione che non subiscono in pubblico. L’argomento della subordinazione economica e sociale dunque da solo non basta a spiegare. Il problema non è solo fuori da sé ma dentro. Almeno: anche dentro. Ci dev’essere un programma segreto, appunto. Un’«agenda occulta» che ha radici lontane nel tempo e che sfugge alla logica e alla coscienza vigile.
Rileggiamo la favola della Rateta. La topolina compra un fiocco per essere più attraente – al fiocco si può sostituire evidentemente un naso nuovo o un pushup. Dopo di che passa alla ricerca del candidato idoneo. A tutti fa domande, compresa quella cruciale: cosa farai la notte? Informazione utile a una previsione di vita sessuale soddisfacente. Infine sceglie il gatto. In che momento del processo di selezione la topolina si sbaglia? O meglio: davvero si sbaglia? Ha fatto un casting laborioso, è vero, ma a nessuno ha posto la questione giusta. Se sei un piccolo roditore, suscettibile di essere mangiato la domanda giusta è: tu di solito cosa mangi? Ma nessuno dei piccoli e grandi lettori di questa fiaba rimprovera alla topina di aver sbagliato domanda perché è ovvio, dalla storia, che lei avrebbe scelto il gatto comunque. Gli amici glielo dicono: ti mangerà. Lei risponde: no, non lo farà. Il gatto, in effetti, non è per lei il peggiore dei candidati: è il migliore. È l’unico che possa ricoprire il ruolo che la topolina, nella sua presunzione, gli assegna. Vediamo. Michelena racconta di una sua paziente che, abbandonata dal padre a sette anni, continuava a intrecciare relazioni con uomini deludenti e inaffidabili. Provava a farli restare. Diceva di volere una relazione duratura (l’obiettivo esplicito: vorrei un uomo che restasse con me), sceglieva però solo quelli che di certo se ne sarebbero andati (l’agenda segreta: i candidati migliori ad attuare il suo piano inconsapevole, replicare il fallimento). Per la topolina sembra che la cosa importante non sia sposarsi con un marito quieto e buono ma averne uno irrequieto e cattivo, invece, per dimostrare di essere diversa, forte, speciale. Un cane, un gallo, un asino qualsiasi non le avrebbero permesso di mettere alla prova i suoi superpoteri. Il gatto era l’unico che poteva darle modo di dimostrare il suo straordinario valore e la sua enorme capacità di sacrificio. La possiamo facilmente immaginare mentre dice: non ti preoccupare, gatto, io ti aiuterò. Con me le cose saranno diverse. Ti insegnerò ad avere fiducia nelle topoline, ad amarle. Sarò sempre qui. Ti amerò tanto e così bene che non potrai farmi male. Vedrai. E poi se anche mi farai male io lo sopporterò e aspetterò perché lo so che in fondo tu sei un gatto straordinario. Non sarà oggi né domani ma verrà un giorno in cui mi amerai e non desidererai più divorarmi. Qualcosa come, detto a un uomo: con me smetterai di bere, di drogarti, di avere paura delle donne e di picchiarmi, di sentirti insicuro e di offendermi. Con me un giorno, se io sarò forte e paziente tu sarai migliore. È questa la vanità che dà il titolo al racconto: la topolina presume di essere capace di domare il gatto. Ha un’idea grandiosa di sé. Un «sé» grandioso. Il suo casting è stato impeccabile, in effetti: ha scelto l’unico che potesse permetterle di esibirlo.
Del resto da sempre nella storia c’è una grande confusione di ruoli tra vittime e carnefici, tra schiavi e padroni. Non è mai perfettamente chiaro chi dipenda da chi fra il maggiordomo perfetto e il suo signore. Non è affatto sicuro che tra un gioco e la pila che lo fa funzionare il pezzo principale sia il gioco: senza pila resta buttato in un angolo come a Natale le magnifiche confezioni con la minuscola scritta «batterie non incluse». Senza il prezioso oggetto servile il mega robot non si muove. Quel che fa la differenza, certo, è la sproporzione di forze effettiva: tra vittima e carnefice uno soccombe e a volte muore, l’altro sopravvive. Questa è la parola finale della storia, quella che mette in chiaro una volta per sempre chi sia – agli atti – il colpevole. Tuttavia, senza giustificare nemmeno per un istante chi alza la voce e le mani, chi picchia, chi insulta, chi umilia, chi alimenta l’altrui debolezza, restano da capire fino in fondo le ragioni di chi si lascia umiliare. L’agenda segreta, e non solo quella individuale. Cosa ci sia in questo tempo per le donne che le rende così vulnerabili all’idea di dover sopportare in privato una sopraffazione inaccettabile in pubblico. Vergognosa, infatti. Non se ne parla mai, non si dice. Un pegno segreto da pagare, forse, in cambio di una non ancora tollerata libertà. Una redistribuzione di forze. La topina muore, comunque. Il gatto la divora. La sua idea di essere più paziente, più forte, più lungimirante del carnefice era sbagliata. Non l’avrebbe cambiato grazie alle sue grandiose qualità. I gatti mangiano i topi e basta. Se fosse fuggita al primo e ne avesse cercato un altro l’avrebbe mangiata il secondo, o il terzo, o il quarto. Se fosse stata così veloce da sfuggire a tutti sarebbe invecchiata spaventata e sfinita, probabilmente sola. I gatti mangiano i topi ed è inutile provare a cucinar loro carciofi. La più grande prova di forza è affrancarsene, liberarsi di loro, imparare a evitarli, lasciarli soli. Questo sì è uno straordinario successo: non dover dimostrare più niente, non mettersi alla prova. Non affezionarsi all’errore, inoltre. Non difendere la cattiva scelta. La sapienza delle fiabe lo sa. La tradizione dei «consigli utili» tramandati da generazioni lo dice: se fai lo sbaglio di comprare qualcosa che non ti sta bene non c’è ragione di commettere un secondo sbaglio, indossarlo. Non si indossano uomini che ci fanno stare peggio. Non ci si mette addosso qualcosa, qualcuno che ci sciupa. Sappiatelo, bambine, e ora andate sole.