11
Novembre
Passa un’altra settimana, la decima dalla scomparsa di Rosie. Una settimana in cui l’autunno inevitabilmente arriva, e dopo l’estate che abbiamo passato accumula un anno di foglie a terra in una sola notte. Non vedo Jo neanche questa settimana, né ho sue notizie. È solo per caso, mentre torno a casa dopo un pomeriggio di lavoro, che vedo Delphine.
Sono i suoi capelli ad attirare la mia attenzione. Gli stessi di Rosie, solo più lunghi e legati dietro, lasciando scoperto il viso. Cammina sul marciapiede con un’andatura lenta e precisa, guarda dritta davanti a sé finché non accosto e abbasso il finestrino.
«Delphine! Sono io, Kate. Sai, l’amica di tua madre. Vuoi un passaggio?».
Prima paura, poi consapevolezza. Se lo chiederà per ogni passante? Magari quest’uomo che sembra un padre di famiglia, magari questa donna con i capelli chiari, che sembra tanto innocente ma potrebbe non esserlo… uno di loro ha ucciso mia sorella?
Sale sul sedile del passeggero. «Grazie», e non dice altro.
Aspetto che si allacci la cintura e spingo di nuovo il piede sull’acceleratore.
«Come va la scuola?»
«Bene, grazie». Ha una voce infantile, e del resto in fin dei conti ha solo dodici anni. È così giovane – troppo giovane per un dolore del genere.
«È da un po’ che non vedo tua madre», dico. «Come sta?»
«Bene».
«Sai se è a casa ora?». Sarebbe la scusa perfetta per entrare a salutarla.
Delphine fa una lunga pausa. «Forse. Non lo so».
Quando parcheggio, Delphine evita il mio sguardo. Prende la borsa e scende dalla macchina.
«Grazie per il passaggio».
«Figurati». Aggrotto la fronte. Sul vialetto ci sono sia la macchina di Neal che quella di Jo. «Sai, dato che è un po’ che non la vedo», ripeto, «potrei entrare a salutarla».
Ma Delphine non risponde. Cammina soltanto verso il portone, apre, lo lascia accostato per me.
Varco la soglia. «Permesso? Jo? Sono io. Kate…».
Esito un po’, forse è ancora arrabbiata con me. Ma poi, proprio quando sto per andarmene, sento una voce maschile.
«Kate? Ti ringrazio di aver dato un passaggio a Delphine. È stato gentile da parte tua».
Neal viene verso di me, indossa un paio di jeans e una camicia con il colletto slacciato.
«Figurati. Passavo da queste parti… Pensavo di fare un saluto veloce a Jo».
«Ah», distoglie lo sguardo, leggermente sulla difensiva. «Da quanto tempo è che non la vedi?»
«Un paio di settimane», rispondo alzando le spalle. E poi chiarisco: «Volevo solo sapere come sta, tutto qui».
Annuisce. «Sei gentile. Ecco, ha un paio di cose da risolvere al momento. È partita. E starà via per un po’».
«È tutto ok?»
«Starà bene». Poi mi scruta a fondo. «In realtà… Per caso hai un minuto?».
Mezz’ora dopo esco da quella casa con la consapevolezza che Neal tiene profondamente a sua moglie e che Jo sta soffrendo molto più di quanto sia disposta ad ammettere. Me l’ha detto lui, e la cosa non mi sorprende affatto.
«È partita per concedersi un po’ di riposo, più che altro. Ha lavorato troppo in questo periodo – per me, temo – senza tralasciare tutto il resto, poi. Spero soltanto che allontanarsi le faccia bene».
Siamo seduti al tavolo della cucina, uno di fronte all’altra. Neal si poggia sui gomiti, le mani conserte e gli occhi fissi sui palmi congiunti.
«Povera Jo. Non avevo idea che le cose andassero così male». Mi rendo conto troppo tardi dell’assurdità delle mie parole. Certo che vanno così male! Penso solo: se io avessi perso Grace…
Neal rimane in silenzio, con uno sguardo teso e fisso sul tavolo. Riflette, infine alza gli occhi. «Ti ha detto che è stata male?».
È la prima volta che sento parlare di una malattia. Scuoto la testa. «No, mai».
«Joanna…». Esita. «La sua non è sempre stata una vita facile. Ha avuto un esaurimento nervoso, Kate. C’erano un sacco di cose che la perseguitavano. Fatti del suo passato. Cose che ha cercato di seppellire per molto tempo. Ma è così che va. Proprio quando pensi che la tua vita si stia rimettendo in sesto…». L’emozione gli rompe la voce. «È sempre stata brava a nascondere ciò che provava. Di sicuro te ne sarai accorta anche tu. Soprattutto dopo che Rosanna è morta…».
La voce gli si spezza di nuovo ed è lì che capisco che per Neal e Jo non ci sarà mai una via di scampo da ciò che è successo, in questa casa infestata dai ricordi, ogni secondo di ogni giorno.
«Non sapevo nulla, ma Jo mi ha sorpreso», dico in tutta franchezza. «Quel suo modo di tirare avanti. Se ci fossi stata io al suo posto, non so davvero cosa avrei fatto».
«Il punto è…», ma non termina la frase. «Non è facile da spiegare. Vai avanti perché devi farlo, ma c’è sempre qualcosa che ti perseguita: il senso di colpa. Non puoi mai smettere di pensarci… E se per miracolo ci riesci, anche solo per una manciata di secondi, poi ti senti lo stesso colpevole, Kate. Così colpevole… Per il fatto che è successo e noi non abbiamo fatto niente. Perché noi siamo qui, mentre lei non c’è più». Le sue spalle crollano verso il basso, si arrende. «È così che siamo diventati ormai. Entrambi».
Vorrei poterli aiutare in qualche modo. Mi sento davvero molto vicina a lui, non solo perché sta chiaramente soffrendo quanto Jo, ma anche perché deve preoccuparsi di tenerla su di morale. Di fronte all’immensità di questa ingiustizia vengo assalita da un’enorme tristezza: un peso tanto gravoso sulle spalle di una sola persona.
Me ne vado consapevole che Neal è un brav’uomo, nonostante la sfuriata e le brutte parole che ha rivolto a Jo.
Soltanto più tardi mi viene in mente che ho scordato di dirgli che ho incontrato Alex.