Rosie

La Florida è grande. Grandi spiagge che si stendono per chilometri e chilometri sotto un cielo altrettanto grande. E così vicino che puoi quasi allungare una mano a toccare le nuvole.

È una di quelle vacanze che si fanno una volta nella vita, ci dice mamma. La ricorderemo per sempre, perché non ha niente a che vedere con le vacanze ordinarie. Non tutti viaggiano in prima classe, ci informa mentre saliamo sull’aereo e giriamo a destra, anziché a sinistra. Sorrido alle hostess, dico «Grazie», e non noto lo sguardo che si scambiano alle mie spalle quando mio padre sale a bordo. Sussurri maligni su quel coglione della tele che ha preteso un trattamento di favore e ha insistito alla morte, rifiutandosi di tirar fuori un solo centesimo in più.

Non noto nulla di tutto ciò. Ricordo soltanto il volo, qualcosa di magico, un vero sogno: coccolati nel lusso mentre l’aereo divora dolcemente i chilometri che mancano all’atterraggio. E poi, come un enorme uccello di un cartone Disney, plana verso una nuova avventura, che aspetta solo noi.

Io e Della dormiamo in una stanza con due letti enormi e una vista panoramica su Cocoa Beach. Visitiamo lo Space Center, Disney World, andiamo a fare shopping nei centri commerciali e mangiamo nei tipici diner con i neon vibranti e colorati. Io e Della affittiamo delle tavole da surf. Ricordo le onde. Come dei cavalli mi portano al galoppo fino a riva.

E mentre il sole mi abbronza la pelle e mi schiarisce i capelli, inizio a sentirmi più leggera. Mia madre è bellissima, mio padre affascinante e mia sorella felice. E per un pugno di giorni, lontani dalle nostre vite quotidiane, possiamo finalmente vivere.

Guardiamo mio padre che fa sci d’acqua. È bravo. Poi si mette a chiacchierare con il conducente della barca, un tizio di nome Ed che mi fa l’occhiolino mentre gli passa un biglietto da visita. Mio padre lo legge prima di metterlo via.

Provate a immaginare il monitor di un ospedale: all’inizio un attacco di cuore, linee agitate che schizzano verso l’alto, poi diventano piatte. Succede questo alla fine della prima settimana, anche se ora ne vedo i primi segni. Mio padre che alza troppo il gomito, che si annoia insieme alla famiglia. L’irrequietezza, la sua sete di pericolo. Il sogno è finito.

Per fortuna, una mano pietosa gira il monitor e mi impedisce di guardarlo. E vedo solo i miei genitori vestiti eleganti per una serata fuori – mia madre con un nuovo vestito da sera nero, la pelle color caramello e i capelli freschi di parrucchiere, si è fatta coccolare dal salone dell’hotel; mio padre con un papillon e la giacca magnifica.

Io e Della li salutiamo rapidamente, trepidanti per la serata che ci aspetta. Cinema e servizio in camera. Ci mettiamo un’ora a decidere cosa ordinare.

Nella nostra stanza divoriamo una pizza enorme con l’Atlantico che si stende sotto di noi e osserviamo le stesse onde con cui giocavamo poco prima. A un tratto vedo il costoso ristorante in cui vanno i miei. Le bottiglie di vino, le migliori: scelte che non sono dettato dall’amore per il buon bere ma solo dal prestigio. E dopo, altro whisky. Il casinò al piano di sopra, la smodatezza con cui mio padre spende i soldi della vacanza di famiglia, assurdamente convinto che l’unico modo per recuperare le perdite sia scommettere di più. Anche a costo di svuotare il conto in banca.

Vedo mia madre che prova a convincerlo ad andare, ma poi getta la spugna e sale su un taxi che non può permettersi, e che fa caricare sul conto dell’albergo nonostante la sovrattassa. Vedo lo sguardo angosciato e afflitto mentre si chiede come faremo a pagare il conto dell’hotel e il resto della vacanza e qualunque altra cosa. Manca solo una settimana alla partenza.

Dormo ancora quando mio padre ritorna all’alba, con la camicia spiegazzata e sporca del rossetto di qualcun’altra. Puzza di whisky e si butta nello stesso letto dove mia madre si è girata e rigirata, senza mai chiudere occhio, e dove lui invece dorme come un sasso, senza alcun senso di colpa.

È mia madre a svegliare me e Della. Apre le tende già lavata e perfettamente truccata.

«Andiamo a fare colazione, ragazze. E poi spiaggia! Papà farà un riposino oggi».

«Possiamo prendere le tavole da surf?», chiede Della.

«Certo». Mia madre ci guarda entrambe, e con una forza sovrumana costringe le sue labbra a piegarsi in un sorriso e gli occhi a illuminarsi – anche se ha un marito infedele e la preoccupazione la divora.

«Il sole splende: preparatevi a un’altra giornata perfetta, ragazze!».

E così è: una giornata perfetta. Solo noi tre. Non vediamo le pasticche che mio padre ingurgita per curare i postumi della sbornia, né il bicchierino che butta giù nella convinzione che solo l’alcol possa scacciare l’alcol, né la frenesia con cui si attacca al telefono e vende tutte le azioni per rimpinguare il conto in banca. Ci raggiunge nel pomeriggio, appoggia una mano sulla spalla di mia madre e dice che dovremmo andare tutti a cena fuori.

Non vediamo neanche lei che, sola con mio padre nella stanza, con il volto tirato dall’ansia e un malessere interiore che ancora la divora, gli chiede: «Neal, come faremo a pagare tutto quanto?».

Lui non risponde. Scuote la testa e ride soltanto – un suono orribile e crudele.

Mamma ci riprova di nuovo dopo cena. Lei non ha toccato cibo, troppo preoccupata per mangiare.

Stavolta, lui non ride. Solleva la mano e le dà uno schiaffo, forte. E poi rimane lì, continua a bere whisky mentre lei barcolla e sbatte la testa contro la porta del bagno.

Il giorno dopo, è mio padre che viene ad aprire le tende.

«Potete ordinare il servizio in camera», ci dice. «Poi scendiamo in piscina».

Io e Della studiamo attentamente il menù e alla fine ordiniamo fragole, croissant e cioccolata calda. Ci infiliamo il costume, siamo pronte per andare.

Nell’ascensore, mio padre parla con un’altra famiglia con quel finto accento americano che fa tanto ridere Della. Quando le porte si aprono siamo di nuovo sotto l’immenso cielo azzurro, in quell’aria che ha un odore diverso, in quel mondo che è così diverso dal nostro.

Non vedo cosa succede di sopra. Non vedo mia madre che, dolorante, si trucca attentamente per coprire i segni sul volto. Non la vedo mentre sceglie vestiti leggeri, larghi e a maniche lunghe che potrebbero nascondere tanto una scottatura tanto quanto dei lividi. Dietro gli occhiali da sole, non vedo i suoi occhi colmi di lacrime.