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«Delphine? Sei stata tu a scrivere questo?».

Mi guarda con quegli occhi velati capaci di nascondere ogni cosa. E poi annuisce.

Sento un rantolo profondo. E capisco che sono io. «Perché?».

Ma lei torna al vasetto di cioccolata, misurandone attentamente la quantità giusta, senza parlare.

«Delphine».

Si volta di nuovo, come a chiedere: che c’è?

«Se sai qualcosa, devi dircelo».

Ma ha uno sguardo vuoto, come se quello che ha fatto non significasse nulla.

Ci prova anche Laura. «Va tutto bene, Kate». Mi guarda con la coda dell’occhio mentre si avvicina a Delphine.

«È troppo difficile parlarne, no?», chiede con voce gentile.

C’è un momento di silenzio. Poi, mentre mescola la sua bevanda dandoci le spalle, Delphine annuisce impercettibilmente.

«Mamma o papà hanno fatto qualcosa?».

Stavolta non si muove per niente.

«È più facile per te se me lo fai vedere?», chiede Laura.

Delphine si volta. Quegli occhi chiari che hanno visto fin troppo incontrano quelli di Laura. E annuisce.

 

Sta calando la sera mentre andiamo in città con la mia macchina. Quando apriamo il portone di casa degli Anderson ed entriamo, Delphine corre in garage. Torna pochi minuti dopo, con un piccolo borsellino di pelle. Lo apre e rovescia il contenuto nelle mani di Laura.

Lei solleva una collana fatta di tante minuscole pietre colorate, la stessa che ho visto al collo di Rosie. Quella che le aveva regalato Alex.

«È quello che penso?».

Annuisco.

«È di Rosie?», chiede a Delphine.

«Sì».

«Ce l’ha messa tua madre lì dentro?».

La risposta di Delphine è sempre la stessa. «Sì».

Si volta e va via di nuovo. La seguiamo in garage, dove corre verso la mensola con i suoi vecchi libri. Ne tira fuori uno con una copertina infantile e lo porge di nuovo a Laura.

Sembra uno dei tanti libri di fiabe per bambini, con bellissime principesse e draghi. Finché Laura non lo apre.

Dentro è tutta un’altra storia. In uno scompartimento scavato apposta c’è un iPhone. Laura mi guarda con la coda dell’occhio, e poi torna a rivolgersi a Delphine.

«È di tua madre?».

Delphine annuisce, poi senza esitare si volta ed esce. Supera il cancello e va nel giardino.

Attraversa il prato, io e Laura la seguiamo. Istintivamente so dove sta andando, anche se non ho idea del perché. L’albero di mele. E quando lo raggiunge, al centro dell’aiuola, fa una delle cose più strane che potessi immaginare. Si abbassa e lo bacia.

Noi tre rimaniamo lì impalate per qualche secondo, mentre il tempo resta sospeso. Alla fine Laura si volta verso di me.

La sua voce è urgente. «Puoi prendere una pala?».

 

Mi sembra di scavare per un’eternità, la luce intorno a noi svanisce e Delphine gironzola per il giardino. Si mette a giocare sull’altalena, i capelli chiari le volano all’indietro mentre fischietta una canzoncina. Alla fine la pala colpisce qualcosa di duro.

Mi inginocchio e osservo da vicino la terra, mentre da un piccolo varco tra le nuvole un ultimo raggio di sole illumina una superficie di metallo.

«Ho trovato qualcosa».

Ho il cuore in gola mentre con le dita cerco di estrarre con cautela il coltello.

Accanto a me, Laura sussulta. «Lascialo subito Kate, dobbiamo chiamare la polizia».

«C’è qualcos’altro», le dico.

È solo una normalissima busta di plastica sporca di terra. Ma quando inizio ad aprirla, si leva una puzza insopportabile. La prende Laura, la apre.

«Oh, Dio santo».